Dopo i fallimenti a catena del governo Meloni sui principali dossier riguardanti la migrazione e l’asilo, con il rinvio a tempo indeterminato dell’attuazione del Protocollo Italia-Albania, il blocco delle procedure accelerate in frontiera tuttora all’esame della Cassazione e della Corte di Giustizia UE, il mancato avvio delle procedure per gli ingressi legali in Italia per lavoro, la implosione dei centri di detenzione (CPR) e delle procedure di espulsione, per una campagna elettorale ancora basata su discorsi d’odio e provvedimenti in forma di decreti legge che stravolgono i principi costituzionali, i risultati vantati nella collaborazione con la Tunisia rimangono l’unico punto che trova ancora spazio nella propaganda governativa diffusa sui principali media.

Tutti gli altri argomenti, che potrebbero fare perdere consensi, vanno nascosti. Si utilizzano così i numeri, che segnalano un forte calo delle traversate del Mediterraneo centrale, in particolare dalle coste tunisine, e si nascondono le conseguenze devastanti che la collaborazione con l’autocrate Saied a Tunisi stanno producendo sulle persone, anche più vulnerabili, come donne e minori. Mentre rimane alto il costo in vite umane di tentativi di fuga via mare, contrastati con crescente brutalità, se non con atti di abbandono e di omissione di soccorso, senza alcuna attenzione per la salvaguardia della vita umana e del diritto al salvataggio ed allo sbarco in un porto sicuro.

Neppure il nuovo Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, che pure ha visto sconfitta l’Italia sulla richiesta di una modifica delle regole sulla responsabilità dei paesi di primo ingresso (Regolamento Dublino per l’esame delle richieste di asilo), ha previsto espressamente missioni di ricerca e salvataggio in acque internazionali, oltre le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare affidate all’agenzia Frontex in collaborazione con le forze di polizia dei paesi UE ed extra UE.
Anche su questo versante, dopo gli accordi con le autorità europee ed italiane, la Tunisia di Saied ha approvato una nuova legge che mira ad aumentare le intercettazioni in alto mare, e la collaborazione (coordinamento) con le forze di polizia marittima dei paesi europei più vicini, dunque Italia e Malta.

La quotidiana reiterazione di crimini contro l’umanità in conflitti che sono al centro dell’attenzione mediatica e politica in tutto il mondo, come la pulizia etnica in corso in Palestina e lo stallo nel conflitto tra Russia e Ucraina, sulla pelle delle popolazioni civili, spostano sul versante orientale le esigenze di “protezione dei confini esterni” dell’Unione europea, e contribuiscono a creare una diffusa assuefazione nell’opinione pubblica. In modo da consentire ai governi impegnati nella campagna per le prossime elezioni europee di nascondere gli abusi e le violenze perpetrate dai regimi” amici” nei paesi africani, verso i quali si sono rivolte le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera, con una fitta rete di Memorandum d’intesa e di accordi bilaterali.

Il caso della Tunisia è emblematico delle conseguenze negative di queste politiche che il governo Meloni ha promosso e perseguito fin dal suo insediamento, con una intensa attività diplomatica, culminata, all’interno del cosiddetto Piano Mattei per l’Africa, in una raffica di accordi di settore, con i quali si sta cercando di saldare il contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement), da tradursi nel blocco dei potenziali richiedenti asilo, con aiuti economici anche per deportazioni a catena verso i paesi di origine, magari sotto forma di rimpatri volontari, ma anche con progettazioni comuni in campo energetico ed ambientale, in modo da contrastare la crescente presenza russa che dal Sahel si sta estendendo alla Libia ed alla Tunisia.

Quanto sta succedendo in queste ultime settimane in Tunisia, con gli arresti arbitrari di attivisti, giornalisti ed avvocati, appare direttamente collegato alla forte opposizione che la società civile tunisina ha esercitato dopo le leggi liberticide ed i proclami di odio razziale, al punto di paventare il rischio di una “sostituzione etnica”, che Saied aveva utilizzato contro i migranti presenti in Tunisia per aizzare il suo elettorato, una volta esautorato il Parlamento. Persone in prevalenza di origine subsahariana, inclusi nuclei familiari ormai residenti da tempo in quel paese, intrappolati senza uno status legale di soggiorno per effetto degli accordi con l’Italia e con l’Unione europea, oltre che per la mancata attuazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati ed il mancato rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso in acque internazionali, sanciti a carico delle autorità italiane e maltesi. E infatti queste autorità fanno rimbalzare sui guardiacoste tunisini e libici le richieste di aiuto che ricevono.

Rispetto all’Egitto, con il quale pure il governo Meloni ha concluso nuovi accordi di polizia, mentre Al Sisi continua a dare copertura agli assassini di Giulio Regeni, malgrado la pratica della tortura dei detenuti rimanga impunita, in Tunisia, dopo la fase delle cosiddette primavere arabe si era verificata una forte crescita civile, con un ruolo importante delle donne. Di fronte all’attacco generalizzato alle comunità degli immigrati presenti nel paese erano scattate molteplici forme di solidarietà, a partire della difesa legale, con una forte partecipazione di organi di informazione che cercavano di sottrarsi alla narrazione imposta dal regime, ormai diventato una” dittatura democratica”, con gli arresti dei principali esponenti dell’opposizione e l’esautoramento del Parlamento. Contro questo risveglio democratico della società civile tunisina si scaglia oggi la polizia e la magistratura dell’autocrate Saied, con il supporto di Giorgia Meloni e del suo governo.

Malgrado questa situazione nota da tempo, l’Unione europea e l’Italia hanno portato avanti la collaborazione con il governo di Tunisi, ed adesso tentano di nascondere gli effetti perversi che ne sono derivati, con una crescente pressione su giornalisti ed avvocati, e con una feroce spaccatura tra la popolazione, che in parte manifesta anche a favore di Saied, preoccupata dell’aumento incontrollato della presenza di immigrati irregolari che neppure possono passare (o ritornare) in Libia per la chiusura dei valichi di frontiera, in particolare di Ras Jedir, ormai in mano alle milizie locali ed ai contrabbandieri.

Le continue deportazioni di persone migranti versi i confini desertici con la Libia e l’Algeria trovano così un parziale consenso anche tra la popolazione tunisina, stremata dalla crisi economica, mentre si aggravano le forme più diverse di sfruttamento di migranti in Tunisia che da paese di transito o di origine, sembra diventato un paese di destinazione e di blocco. Se gli accordi con l’Unione europea e l’Italia continueranno ad avere attuazione, senza l’apertura di canali legali di ingresso e senza l’evacuazione dei potenziali richiedenti asilo, la Tunisia rischia di trasformarsi in un gigantesco Hotspot mediterraneo. E questo non potrà che aggravare anche la condizione dei giovani tunisini, che sempre più spesso sono costretti a migrare per la mancanza di prospettive di vita nel loro paese. Chi oggi in Italia si compiace per il calo degli “sbarchi”, tra qualche mese potrebbe essere costretto a rivedere le sue stime.

È questa la realtà della Tunisia che si cela dietro gli arresti di attivisti, giornalisti ed avvocati rispetto ai quali l’Unione europea non è andata oltre una timida “preoccupazione”, e che in Italia sono completamente ignorati dal governo e dai media che esso controlla. Si nasconde persino che avvocati possano finire sotto tortura per avere difeso i diritti umani della popolazione migrante – perché di questo si tratta – e non di discredito diffuso contro agenti governativi, o che altri vengano sottoposti ad arresti arbitrari per avere espresso sui social una qualsiasi opinione critica verso Saied. Di certo la Tunisia non si può qualificare come paese terzo sicuro, e neppure come “paese di origine sicura” nella diversa accezione che vale per i tunisini arrivati in Italia, che si cerca di rimpatriare anche se sono richiedenti protezione internazionale.

L’involuzione autoritaria imposta da Saied è purtroppo sostenuta da alcuni governi europei, ed in particolare dal governo Meloni che, con numerose visite a Tunisi, ha dato un grande impulso al Memorandum d’intesa UE-Tunisia. Un “Piano d’azione” ottenuto da Statewatch delinea gli obiettivi e le attività della cooperazione dell’UE sulla migrazione con la Tunisia, il cui governo è stato pesantemente criticato dal Parlamento europeo per “un’inversione autoritaria e un allarmante arretramento sulla democrazia, i diritti umani e la democrazia (rule of law).”

A differenza di quanto si sta verificando in quel paese, dove la magistratura obbedisce alle direttive dell’autocrate Saied, applicando il famigerato decreto n.54 contro la criminalità informatica, per mettere a tacere difensori dei diritti umani ed oppositori politici, in Italia la magistratura dà ancora segnali di indipendenza e riconosce come la Tunisia non sia un paese sicuro, né per i migranti in transito, né per gli stessi cittadini tunisini.

Ma anche in Italia i giudici sono sotto attacco quando decidono in senso difforme dalla linea che vorrebbe imporre il governo con i suoi decreti legge incostituzionali, e adesso la battaglia si potrebbe spostare sul controllo dei vertici della magistratura e sulla nomina dei nuovi giudici costituzionali.

Per questa ragione quanto sta accadendo in Tunisia riguarda tutti noi, perché dimostra le conseguenze di un totale controllo governativo sugli organi della giurisdizione, ed anche perché, malgrado questa involuzione autoritaria abbia prodotto un temporaneo calo degli arrivi, presto potrebbe esserci una inversione di tendenza, se non una vera e propria implosione della democrazia autoritaria riconosciuta con elogi a Saied da paesi come l’Italia.

Paesi che in questo modo, non solo stanno tradendo la loro tradizione democratica, come in tanti altri campi, ma che con le loro politiche di esternalizzazione potrebbero determinare una grave destabilizzazione del Mediterraneo, quando anche in Tunisia, come si è già verificato in Libia, il governo “amico”, alleato per le politiche di blocco dei migranti, in cambio di una manciata di aiuti economici, si ritroverà nella incapacità di governare la crisi interna, ed anche regionale, non solo migratoria, ma su scala più ampia, di portata economica e militare.

Perché la guerra rimane sempre conseguenza inevitabile dei regimi che cancellano la democrazia ed i diritti umani e per questa ragione le migrazioni attraverso il Mediterraneo non potranno che aumentare ancora in futuro.