Autonomia differenziata. Riforma della magistratura con separazione delle carriere. Vari tentativi di flat tax. E dulcis in fundo il premierato. Il governo Meloni non si ferma più nel suo attacco ai principi fondamentali e agli assetti istituzionali della nostra Repubblica figlia della Costituzione antifascista.
In molti hanno fatto notare come questa coalizione di destra, fatti i conti dei voti ottenuti e considerato l’alto tasso di astensioni, ha l’appoggio esplicito solo di un italiano/a su quattro. È vero che è così che funziona la democrazia e nessuno può negare a questa maggioranza il diritto di governare. Ma fare a pezzi la nostra storia e cercare di mutare il volto del paese va molto oltre una semplice attività di governo.
Fa impressione in particolare, l’apparente contraddizione tra una visione fortemente autoritaria e centralizzata del potere politico e del controllo sociale (premierato e subordinazione della magistratura) e il tentativo di smembrare l’unità nazionale, tanto cara alla retorica della destra, almeno dal punto di vista economico, grazie all’autonomia differenziata che favorirà ancor di più le regioni più ricche contro ogni logica di solidarietà.
Si è sottolineato da più parti come queste riforme proposte dal governo rappresentino un attacco alla nostra Costituzione. Ma detto così è ancora troppo poco! Ognuna di queste ipotesi di legge, anche presa singolarmente, rappresenta in realtà una negazione globale e uno stravolgimento radicale dei contenuti e dei valori della nostra Carta fondamentale, anche se in realtà solo la norma sul premierato necessita di una vera legge di revisione costituzionale.
Soffermiamoci su quest’ultima questione.
Personalmente resto convinto che le Costituzioni, specialmente quelle moderne, nate nel secondo dopoguerra e fondate sull’affermazione dei diritti, dovrebbero essere considerate immodificabili, anche oltre le condizioni di rigidità a volte previste. Esse sono infatti figlie di una fase costituente caratterizzata da un insieme di valori e di ipotesi istituzionali che definiscono nel loro complesso lo spirito della Costituzione come una totalità unitaria, coerente e indivisibile. Non una sola parola, né una sola virgola andrebbero modificate, fermo restando che sarà poi compito del legislatore reinterpretarne e farne rivivere i contenuti nelle leggi ordinarie, anche attraverso la capacità di saperli adeguare alle nuove esigenze dei tempi.
Inoltre va pur sempre considerata la possibilità di chiarire integrare ed esplicitare i contenuti letterali della Carta attraverso la promulgazione, attenta e straordinaria, di “leggi costituzionali” che integrano il dettato originario, e che non vanno confuse con le “leggi di revisione costituzionale” che invece modificano il testo (e dunque anche il senso) della norma, e che invece andrebbero assolutamente evitate.
La nostra Corte costituzionale ha di fatto recepito una tale logica avendo dichiarato non revisionabili i primi dodici articoli della Carta che si riferiscono ai principi fondamentali, purtroppo però ciò non vieta la possibilità che siano modificati gli altri articoli ed in particolare quelli che riguardano l’ordinamento della Repubblica, che di quei valori generali sono la concreta realizzazione sul piano istituzionale.
Questo processo di sostanziale sostituzione della Costituzione materiale non viene portato avanti dalle destre al potere attraverso l’apertura chiara e dichiarata di una nuova fase costituente, ma in modo subdolo e strisciante, attraverso singoli provvedimenti apparentemente non organici, ma che rappresentano a mio avviso un vero e proprio “colpo di Stato” che sancisce la vera e definitiva nascita della seconda Repubblica, che a differenza della prima, figlia dalla Resistenza, è il prodotto della sconfitta delle ipotesi più radicali di cambiamento e dell’arretramento delle lotte sociali.
Si tratta se volete di una iperbole. Un colpo di Stato soft, attuato nel rispetto formale (e apparente) delle regole istituzionali. Molto diverso dal colpo di Stato manu militari realizzato nel ventennio fascista, che proprio grazie all’uso esplicito della forza e della violenza, non ebbe bisogno di modificare lo Statuto Albertino (la Costituzione dell’epoca) lasciando che le norme restassero scritte, ma del tutto dormienti ed inefficaci. Esattamente la stessa cosa fece pochi anni dopo Hitler, non cambiando neppure una virgola della Costituzione di Weimar.
Un lusso che Meloni e associati non possono permettersi. Per quanto mostrare i muscoli e il manganello sia la loro vecchia passione, almeno in questa fase devono giocare con le regole per poterle cambiare. Domani però, per noi, potrebbe essere troppo tardi e le cose potrebbero precipitare.
Cosa possiamo fare per evitare questa deriva autoritaria, anticostituzionale ed antidemocratica? L’ideale sarebbe la mobilitazione di piazza capace di coinvolgere grandi masse di popolo contro le trame del governo. Perseguire questa via è comunque un nostro dovere, ma nelle attuali condizioni dei rapporti di forza non so quanto produttiva di significativi esiti positivi.
Un’altra arma sarà quella del referendum contro la riforma del premierato, che può essere considerata come la regina di tutti i cambiamenti sulla via dell’involuzione reazionaria del nostro paese.
E qui ci giochiamo veramente tutto, perché inevitabilmente il referendum sul premierato rappresenterà un vero e proprio plebiscito a favore o contro l’attuale governo. Perdere significherebbe sancire una vittoria storica della destra estrema con ricadute di lungo periodo e con l’istaurazione di un nuovo regime con la cancellazione, almeno di fatto, di ogni garanzia costituzionale. Vincere rappresenterebbe una sostanziale inversione di tendenza dalla quale potere ripartire.
Cerchiamo di farci trovare preparati per questa futura e fondamentale battaglia.