Arena di pace, 17 – 18 maggio2024: Giustizia e Pace si baceranno
18 maggio 2024. Dodicimila persone presenti all’Arena di Verona, a cui si è aggiunto papa Francesco, per ridare voce alla Pace. Parola estromessa dal linguaggio pubblico, dalla politica nazionale e internazionale. Una mattinata all’insegna della testimonianza di persone che vivono in territori colpiti dalla guerra e del richiamo ai contenuti espressi dai 5 tavoli che hanno preparato l’Arena di pace 2024: Pace e disarmo, Democrazia e diritti, Economia e lavoro, Ecologia, Migrazioni. Tavoli che hanno prodotto i rispettivi documenti, ai quali si è aggiunto il documento Donne in Arena di Pace,in cui viene espressa la visione delle donne sulle tematiche affrontate nei tavoli «… perché, in questa Arena di Pace … sia ascoltata sul serio la voce delle donne, e rispettata la loro dignità e i loro diritti, nella società e nella Chiesa».
Mi soffermerò sulla giornata del 17 maggio 2024.
Alla Fiera di Verona, l’incontro di circa 600 persone provenienti da tutte le regioni d’Italia, dalla Valle d’Aosta alla Sardegna. Dopo un primo momento in assemblea, in cui hanno preso la parola gli organizzatori e ci sono stati i saluti del presidente della Fiera, del sindaco Damiano Tommasi e del vescovo Domenico Pompili, ci si è divisi nei gruppi tematici coordinati dai referenti dei cinque tavoli, nei quali sono state proposte riflessioni e testimonianze.
Personalmente, ho partecipato al gruppo Pace e disarmo. Dopol’introduzione del coordinatore del tavolo, il primo intervento è stato quello di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Egli ha messo in risalto come la parola pace sia stata cancellata dal linguaggio politico, la diplomazia estromessa, mentre prevale la narrazione bellicista della vittoria, perciò della guerra come unica soluzione ai conflitti in atto nel Pianeta. «Bisogna guardare la guerra con gli occhi delle vittime», ha affermato. Non sappiamo il numero delle vittime, uccisi e feriti, dei profughi. Dall’Ucraina sono fuggiti a milioni; a Gaza s’impedisce persino la fuga ai palestinesi. E le guerre ignorate dell’Africa con milioni di vittime. La storia dice che la guerra non produce pace, ma nuove guerre (Balcani, Africa, Afghanistan e il conflitto israelo-palestinese), che lasciano i luoghi in una situazione peggiore. Si investe in armi e non in diplomazia. L’unica via è il Disarmo. La guerra elimina meno malvagi di quanti ne crea (Kant).
Dobbiamo impegnarci a creare, sostenere, propagare una cultura alternativa alla guerra. Liberarci e liberare gli altri dall’impotenza, che genera indifferenza.
Toccante è stata la testimonianza di Olga Karach, pacifista bielorussa perseguitata e in esilio in Lituania, candidata al Nobel per la pace. Dichiarata terrorista, in Bielorussia la attende la pena di morte. Le armi nucleari, nuova frontiera della guerra. Bisogna lottare per il disarmo, a partire dalla Bielorussia. Abbiamo deciso di strappare l’esercito dalle mani di Lukashenko. Sono in corso campagne mediatiche di odio verso obiettori e disertori; in Lituania non riconosciuti come rifugiati, sono considerati una minaccia nazionale e viene loro negato l’asilo politico. Parlare di pace è molto complicato: la pace è connessa alla giustizia sociale e ai diritti umani; solo i poveri fanno i soldati. La difesa non è contraria alla pace. Bisogna costruire l’opposizione alle armi nucleari, dare voce alla pace contro la retorica della guerra; appoggiare gli obiettori, aiutare i nostri uomini a rifiutare la guerra.
È seguito un dibattito con molti interventi interessanti; ne citerò solo alcuni.
Luisa Morgantini, fondatrice di Assopace Palestina, ha parlato di diplomazia dal basso: in Israele ci sono obiettori di coscienza ai quali dobbiamo dar voce, così come alle migliaia di palestinesi che lottano per la pace.
Non poteva mancare la voce della Sardegna, terra occupata dalla presenza nel suo territorio del 60% delle servitù militari in Italia, coi poligoni interforze, dove si preparano le guerre; e dalla presenza della RWM, fabbrica di bombe, di droni e di proiettili. Pierpaolo Loi, della Rete Radiè Resch, ha ricordato come anche in Italia non sia scontata la libertà di manifestazione, soprattutto se si tratta di manifestare davanti alle basi militari. Ha ricordato anche la necessità di superare l’incongruenza del discorso sulla pace nella Chiesa cattolica con la permanenza di un ordinariato e dei cappellani militari, e la partecipazione di cardinali e vescovi alle parate militari, come successo a Cagliari il 4 novembre scorso per la festa delle Forze Armate.
Arnaldo Scarpa, del Comitato per la riconversione della RWM e Co-Presidente con dell’Associazione Warfree, Presidente Cinzia Guaita, si è soffermato sul lavoro svolto dal Comitato per la riconversione della fabbrica di Domusnovas e Iglesias; e ha presentato la rete di imprenditori e imprenditrici associati con il Marchio collettivo Warfree – Libèru dae sa gherra, il cui scopo è «diffondere, a livello imprenditoriale e sociale, la cultura della sostenibilità etico-ambientale e della responsabilità sociale d’impresa, specialmente in riferimento al rapporto tra attività economiche e conflitti armati».
Di pomeriggio, ci si è riuniti in una ventina di gruppi misti (interattivi tra i diversi tavoli). Nel gruppo a cui ho aderito è stato letto il Documento Arena di Pace 2024. Si sono cercate le connessioni tra i tavoli tematici e suggerito integrazioni e/o sviluppi possibili. Personalmente, affrontando la tematica relativa ai migranti, ho indicato, come impegno da proporre, la chiusura dei CPR, veri centri di detenzione concentrazionaria, dove vengono negati i basilari diritti umani. Poiché si è parlato molto di educazione e scuola, è emersa la necessità di ascoltare le/i giovani, che sono presenti con le loro iniziative, le loro manifestazioni, ma vengono spesso repressi. Bisogna, inoltre, contrastare la militarizzazione delle scuole e promuovere la cultura del superamento nonviolento dei conflitti, del dialogo tra generazioni, dell’intercultura e della pace.