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L’Italia riconosca lo Stato di Palestina e sostenga la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale
“Bruciati vivi”. Negli ultimi giorni, decine di bambini e donne palestinesi sono stati uccisi così, dal fuoco delle tende in cui si erano rifugiati nel disperato tentativo di sfuggire ai bombardamenti più indiscriminati della storia. Mentre le immagini dell’orrore scorrono e si incollano in tempo reale negli occhi del mondo, in questi giorni tre paesi europei, Spagna, Irlanda e Norvegia, hanno riconosciuto formalmente lo Stato di Palestina. Perché lo fanno? Perché non lo fa anche l’Italia?
La decisione di Spagna, Irlanda e Norvegia è un segno concreto della volontà di riconoscere il diritto all’esistenza del popolo palestinese contro il folle ma evidente tentativo di disumanizzarlo e di espellerlo dalla propria terra. Riconoscendo formalmente lo Stato di Palestina si riconosce il diritto dei bambini, delle donne e degli uomini palestinesi di poter godere la stessa dignità, gli stessi diritti, la stessa libertà e la stessa sicurezza che sono riconosciuti agli israeliani. 139 Stati nel mondo lo hanno già fatto e presto saranno seguiti da altri paesi come la Slovenia, Malta e il Belgio. Perché non lo fa anche l’Italia? Il 10 maggio, 143 Stati dell’Onu si sono detti favorevoli all’istituzione immediata della Palestina come 194° Stato membro dell’Onu, con i confini del 4 giugno 1967 e capitale Gerusalemme Est. L’Italia si è astenuta. La continuazione del massacro di Gaza ci mette tutti davanti alle nostre responsabilità. Sappiamo, vediamo, ascoltiamo ma cosa facciamo? […]Le ordinanze della CIG e le richieste di mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale ci dicono che il Diritto internazionale è vivo, che gli stati hanno l’obbligo di rispettarlo e che il Consiglio di Sicurezza ha l’obbligo di agire per ristabilire la legalità internazionale. A Gaza deve subito operare, sul terreno, la Comunità Internazionale. Nessun governo, tanto meno quelli che violano la legalità, può invocare la sovranità nazionale e il principio di non-ingerenza negli affari interni per impedire che l’ONU intervenga per proteggere la popolazione palestinese e creare terreno fertile per l’attività della diplomazia e della politica del dialogo e della cooperazione. La stessa Carta delle Nazioni Unite, all’articolo 2 par.7, stabilisce che per quanto attiene al mantenimento della pace e della sicurezza l’autorità delle Nazioni Unite prevale sulla sovranità degli stati. I nostri governanti devono una volta per tutte decidere da che parte stare. Dalla parte dell’ONU, del multilateralismo e del diritto internazionale, oppure dalla parte di coloro che, in una logica ancora tutta hobbesiana, westfaliana, statocentrica e dunque belligena, rifiutano autorità sopraordinate agli stati, agiscono unilateralmente o per coalizioni e rifiutano di rispettare le norme internazionali stabilite con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale. Non c’è una via di mezzo. Quei governanti che rifiutano la centralità del diritto e delle istituzioni (democratiche) anche per il sistema della politica mondiale si pongono al di fuori dell’ordinamento giuridico internazionale e alla testa di un progetto di ordine internazionale gerarchico dove a prevalere è la legge della forza sulla forza della legge. Dunque un progetto criminale. L’Italia e l’Unione Europea che hanno nel loro DNA i valori del ripudio della guerra, del rispetto della dignità umana e dei diritti umani, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello stato di diritto non possono più tacere. Non hanno più alibi. Devono dire ai cittadini e alle istituzioni che invocano pace e giustizia, da che parte stanno.
Leggi qui l’appello integrale della Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace e Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, Università di Padova
Appello su “il Manifesto Sardo”: Il Governo italiano deve riconoscere lo stato palestinese, come stanno facendo anche altri Stati europei
Proprio come hanno fatto Spagna, Irlanda e Norvegia in questi giorni anche l’Italia deve premere verso la soluzione dei due popoli e due stati
La decisione della Corte internazionale di Giustizia di ordinare lo stop all’intervento militare israeliano a Rafah, di consentire la ripresa delle forniture alla popolazione civile con quanto è necessario per vivere, per curare i feriti e i malati, bloccare le epidemie con particolare riguardo ai bambini, va attuata immediatamente. L’Onu deve cogliere questa occasione per tornare ad affrontare la situazione a Gaza non solo riprendendo a pieno ritmo attraverso l’UNRWA i rifornimenti, ma anche avanzando una precisa proposta di stop ai combattimenti, anche con l’interposizione sul campo per fare cessare il fuoco in modo sostenibile e durevole, come richiesto da ultimo anche dalla Lega araba. Va convocata al più presto una conferenza di pace che faccia seguito al cessate il fuoco, con la partecipazione di Israele, dell’Autorità Palestinese, degli stati componenti il Consiglio di sicurezza, dei rappresentanti dei paesi arabi e dell’Unione Europea. Va realizzata la liberazione immediata degli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi in Israele, in modo da creare un clima favorevole a proseguimento delle trattative per la fine della guerra a Gaza.
firmatari: Pietro Adami, Elena Basile, Mauro Beschi, Mario Boffo, Susanna Braccia, Rocco Cangelosi, Giuseppe Cassini, Biagio Di Grazia, Roberto Di Leo, Domenico Gallo, Giovanni Germano, Alfonso Gianni, Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Roberto Mazzotta, Laura Mirachian, Enrico Nardi, Angelo Persiani, Antonio Pileggi, Massimo Villone, Vincenzo Vita
vedi l’appello quì
Cinquantamila a Napoli: da Torino alla Sicilia per la manifestazione nazionale de “La Via Maestra”… ma la stampa mainstream fa finta di nulla
160 associazioni con la Cgil contro autonomia differenziata, premierato, contro il riarmo, per la sanità, l’istruzione, il clima, contro il Ponte
I napoletani tra sabato e domenica hanno avuto due sorprese inaspettate dopo i terremoti. La prima è stata vedere l’imponente manifestazione nazionale La Via Maestra sfilare per le vie della città, la seconda è non vederne traccia o quasi il giorno dopo sui media nazionali, dai giornali alle televisioni. La manifestazione di sabato 25 maggio convocata dalla Cgil e dalle associazioni i che si raggruppano nel cartello La Via Maestra (tra cui anche quelle di Sbilanciamoci!) ha avuto una grande partecipazione, sia dal Sud che dal Nord. Tantissimi lavoratori sono venuti dalla Toscana, complice il nuovo collegamento ferroviario veloce con il capoluogo campano, ma anche dal Piemonte sono stati particolarmente numerosi, segno che le parole d’ordine lanciate dal sindacato per l’appuntamento a Napoli – contro l’autonomia differenziata e contro il premierato – si stanno facendo strada. C’è la sanità e il scuola pubblica alla base del rifiuto dell’autonomia differenziata e in effetti le categorie della Funzione pubblica e della sanità privata, specialmente dalla Campania, hanno dato il contributo maggiore alla riuscita della manifestazione nazionale, inventandosi anche modi creativi di sfilare con maschere di pulcinella e “Bella Ciao” cantata con tric-trac e tamburelli. Dalle trenta alle cinquantamila persone – l’ultima cifra è quella che è stata data dal palco – hanno attraversato il centro di Napoli, tante che in piazza Dante, al termine del corteo, non riuscivano ad entrare. Ma né i giornali né i telegiornali ne hanno parlato, silenzio. Derubricata a iniziativa locale, regionale, e quasi fosse mal riuscita, la Via Maestra è finita di spalla persino sul Mattino, il quotidiano di Napoli, nonostante un corteo nazionale in città non si fosse ancora mai visto e nonostante la presenza del sindaco Manfredi. Il Mattino ha preferito dare maggiore spazio all’annunciata presenza di Giorgia Meloni a Caivano mercoledì prossimo. La Rai, evidentemente tranquillizzata dall’autoironia della premier, l’ha confinata nel Tg regionale della Campania. Anche La Repubblica, nonostante il suo ex vicedirettore Massimo Giannini sul palco abbia condotto uno degli interventi più forti contro la deriva antidemocratica insita nelle riforme del governo Meloni, ha riservato spazio solo nelle pagine locali della cronaca. Il Corriere della Sera ha fatto lo stesso, salvo un inciso straniante nell’articolessa domenicale di Teresa Meli per far capire da dove provenivano le parole della segretaria del Pd Elly Schlein, che in effetti ha sfilato a Napoli ma non ha affatto parlato dal palco, come invece sembrava leggendo le agenzie, come non ha parlato, facendo solo un fugace passaggio, Michele Santoro. Non essendoci Conte invece il Fatto quotidiano ha pubblicato solo un trafiletto. L’unico giornale che ha parlato dei contenuti della manifestazione, degli interventi, dei manifestanti, è stato il manifesto, seppure senza nobilitare il pezzo con una apertura di pagina. Insomma, veramente una cattiva prova, che mostra quanto sia in arretramento il giornalismo italiano. Perché a Napoli c’era davvero uno spaccato interessante dell’Italia, certo, non governativo. Dai ragazzi dei sindacati studenteschi Udu e Link con il loro spezzone pieno di fumogeni e cori per la Palestina, contro i manganelli governativi che reprimono le loro proteste per il diritto allo studio, l’alloggio e i diritti, fino ai pensionati liguri che in solidarietà con il Sud intonavano ‘O Sole Mio.
Leggi il report integrale su sbilanciamoci
Poteri speciali di Roma Capitale: una proposta confusa e preoccupante oltre l’autonomia differenziata
Il Dossier dell’ufficio studi della Camera lo definisce un procedimento nuovo sotto il profilo delle fonti del diritto e derogatorio rispetto all’attuale riparto costituzionale delle competenze: “In tal senso il testo si verrebbe a differenziare dall’impianto costituzionale definito per le regioni sia ordinarie (anche nell’ambito del regionalismo differenziato) sia a statuto speciale, attribuendo alla sola decisione autonoma dell’ente locale la scelta delle competenze legislative che andrebbero al medesimo trasferite”. Detto altrimenti, così come era stata già stato messo in evidenza per le procedure previste dal DDL Calderoli sull’autonomia differenziata delle Regioni: “anche in questo caso il Parlamento sarebbe escluso da qualsiasi decisione sulle 19 materie oggi concorrenti Stato -Regioni, che sarebbe affidata alla maggioranza politica che si troverà a governare il Campidoglio all’entrata in vigore della legge costituzionale, con uno Statuto che l’Assemblea dovrà adottare entro un anno”
Nessuno ne parla, ma c’è un’altra Proposta di legge di modifica costituzionale in ballo in parlamento, quella che intende attribuire poteri speciali a Roma, conferendole potestà legislativa per 19 materie su 20 di quelle attualmente concorrenti Stato- Regione Lazio. E se da un lato non è chiaro se per Roma si intenda l’attuale comune o la Città metropolitana, dall’altro una delle proposte – peraltro identica a quella già approdata alla Camera nel giugno 2022 – ipotizza addirittura di affidare la scelta delle competenze legislative e delle materie che dovrebbero essere attribuite a Roma alla sola Assemblea Capitolina, con un procedimento che lo stesso Dossier parlamentare definisce “nuovo sotto il profilo delle fonti del diritto e derogatorio rispetto all’attuale riparto costituzionale delle competenze“. L’ennesimo esempio di un modello di accentramento di poteri e devoluzione di importanti funzioni che marginalizza il parlamento su decisioni che comportano modifiche profonde e di fatto irreversibili, portato avanti senza alcuna informazione e dibattito con i cittadini.
approfondimenti su carteinregola
Mobilità sostenibile e lavoro alleati nella transizione per contribuire all’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 sancito nel Green Deal con la riduzione dell’emissioni di gas serra del 90% rispetto ai livelli del 1990. “Eppure – evidenzia Alleanza/Clima/Lavoro – queste emissioni sono più che raddoppiate dal 1970 e continuano senza sosta ad aumentare”
In Europa il settore dei trasporti vale il 5% del Pil comunitario, impiega 11 milioni di lavoratori ed è responsabile di oltre un quarto delle emissioni di gas a effetto serra e di oltre il 30% delle emissioni di CO2. Parallelamente, l’industria dell’auto vale il 7% del PIL dell’Ue e impiega direttamente o indirettamente 13 milioni di lavoratori
Lo scorso 18 marzo, commentando in un convegno milanese lo stop alla commercializzazione dei veicoli con motore endotermico dal 2035, il nostro Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti è stato chiaro: «Prevedere che dal 2035 non si possano più né vendere né comprare auto se non elettriche è una follia: una follia figlia di – dipende – o ignoranza, o arroganza o convenienza». La posizione del Ministro è in linea del resto con quella di molti suoi colleghi, in Parlamento e al Governo. E probabilmente lo è anche con il senso comune di una parte tutt’altro che irrilevante dell’opinione pubblica. La transizione ecologica – in particolare verso la nuova mobilità sostenibile ed elettrica – è una minaccia per il lavoro ed è una roba da ricchi, il cui costo ricade sulle spalle di chi ha di meno: è questo il mantra che viene detto e ripetuto, giorno dopo giorno, tanto a livello politico e istituzionale quanto a livello mediatico. È in questo snodo tra aspetti e problemi ambientali, sociali ed economici che si pongono due domande cruciali: è possibile salvaguardare l’occupazione, e crearne di nuova, all’interno del processo di transizione alla mobilità sostenibile ed elettrica? E la transizione può rappresentare una leva strategica per trasformare il sistema produttivo italiano nel segno della sostenibilità e della giustizia, coniugando obiettivi di decarbonizzazione, riduzione delle emissioni inquinanti, lotta alle disuguaglianze e promozione del benessere? Dalla capacità di dare una risposta affermativa a tali domande dipendono sia le sorti della transizione ecologica sia quelle della tenuta complessiva del nostro ordine sociale, stretto come sappiamo in una morsa tra crisi climatica, crisi occupazionale e crisi industriale. Proprio sulla base di questi interrogativi e di queste sfide si sviluppa l’impegno dell’Alleanza Clima Lavoro: un tavolo permanente di confronto, elaborazione, proposta e iniziativa comune tra 11 organizzazioni sindacali e della società civile costituitosi formalmente a marzo 2023 per favorire il percorso della transizione e conseguire il traguardo della neutralità climatica entro il 2050 stabilito nel Patto verde europeo. E sempre queste sono le premesse da cui prende le mosse il recente report dell’Alleanza, Un Piano per il lavoro verde e la mobilità sostenibile, a cura di un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa formato da Simone D’Alessandro, Marta Bonetti, David Cano Ortiz e Michele Ceraolo. La pubblicazione si pone l’obiettivo di fornire – nell’ottica di una giusta transizione ambientale e sociale – un quadro delle possibili traiettorie di sviluppo produttivo, tecnologico e occupazionale nel nostro Paese sul fronte della mobilità e dei trasporti. In particolare, a partire dalla raccolta di un set di proposte su questi temi dalle organizzazioni aderenti all’Alleanza Clima Lavoro, il report delinea un Piano per il lavoro verde e la mobilità sostenibile (di seguito PLVMS) per l’Italia che si articola in tre macro-categorie di intervento: stimoli alla domanda di auto elettriche e a favore di una just mobility; investimenti in infrastrutture di ricarica ed elettrificazione del Paese; sviluppo del trasporto pubblico locale. Nel report si prevede che la realizzazione del Piano, con un costo di 13,5 miliardi di euro l’anno, sia finanziata dalla conversione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) che lo Stato destina annualmente al comparto dei trasporti in Sussidi Ambientalmente Favorevoli (SAF). Attraverso un ingente investimento sulle direttrici chiave del miglioramento del trasporto pubblico, dell’infrastrutturazione elettrica e del sistema di incentivi per la nuova mobilità elettrica destinati a famiglie e imprese, il PLVMS mira pertanto, da un lato, a dare un forte slancio alla nuova mobilità sostenibile e all’abbattimento delle emissioni inquinanti, e dall’altro a stimolare lo sviluppo sostenibile del Paese.
Qui il link di Alleanza Clima Lavoro al Report Piano per il lavoro verde e la mobilità sostenibile