MERIDIOGLOCALNEWS – RASSEGNA SULLE SOGGETTIV₳ZIONI METICCE_
Le mobilitazioni universitarie? Un varco aperto per la pace: “il movimento chiede la fine delle collaborazioni degli atenei con le imprese produttrici di armi”
Le lotte studentesche si sono intensificate, spingendo due rettori a dichiarare l’intenzione di dimettersi dalla Fondazione Med-Or [vedi quì]. Il campo si è, dunque, dischiuso. Se fino a pochi mesi fa – sottolinea nel suo articolo Gennaro Avallone –, i temi del rapporto tra atenei e imprese produttrici di armi erano riservati a una serie di gruppi interni all’università, ora sono diventati parte del dibattito pubblico
La mobilitazione internazionale in solidarietà alla Palestina e a sostegno del cessate il fuoco definitivo e della riconsegna delle persone in ostaggio di Hamas si è concentrata sulla necessità di chiudere le collaborazioni in campo militare con le università israeliane. Questa richiesta è divenuta del tutto centrale nel movimento che si è sviluppato, e consolidato, all’interno degli atenei di molteplici paesi, tra i quali, in crescita continua, anche nel caso italiano. Nel contesto nazionale, questa mobilitazione si è collegata a quella già in corso dal 2022 per la chiusura delle collaborazioni delle università italiane con le imprese produttrici di armi, a partire dalla società a partecipazione statale Leonardo s.p.a., e con gli organismi a esse affiliate, in particolare la Fondazione Leonardo Med-Or in cui risultano presenti 19 rettori: mobilitazione avviata nelle scuole, promossa dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole, e ampliata poi agli atenei, tanto è vero che nel 2023 il nome di questo gruppo è divenuto Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Questa mobilitazione era stata anticipata dalle iniziative promosse presso il Politecnico di Torino da alcuni docenti al fine di annullare la collaborazione con l’agenzia di frontiera europea Frontex, al centro di diverse denunce e alcuni processi per comportamenti lesivi dei diritti umani. Questo caso fu aperto da una lettera promossa dal docente del Politecnico Michele Lancione, che, a ottobre 2021, dichiarò la sua contrarietà, sostenuto nei giorni successivi da una lettera firmata da una serie di docenti e ricercatori che dichiaravano la necessità di tenere Frontex fuori dalle università. Le mobilitazioni studentesche hanno amplificato questa rivendicazione, anche se essa si è concentrata quasi esclusivamente a Torino, sebbene la discussione, nel frattempo, sia andata allargandosi ad altri atenei. La pubblicazione del libro di Michele Lancione, “Università e militarizzazione. Il duplice uso della libertà di ricerca”, avvenuta nel 2023, le iniziative dell’Osservatorio contro la militarizzazione e una serie di incontri e seminari organizzati in alcuni atenei hanno alimentato il dibattito sui rapporti tra imprese produttrici (anche) di armi e università, evidenziando i significati e gli effetti di questa alleanza e iniziando ad avanzare richieste concrete, tra le quali, centrale, la fuoriuscita dei rappresentanti delle università (i rettori) dalla Fondazione Leonardo Med-Or, formalizzata in una lettera del 7 novembre 2023, che a gennaio 2024 avevo ottenuto tremila adesioni. Questa richiesta è stata rafforzata all’interno della più ampia mobilitazione a sostegno della popolazione di Gaza e della Palestina. La lettera di solidarietà e per il cessate il fuoco promossa dai e dalle docenti universitarie a novembre 2023 – che ha raccolto circa 5 mila adesioni – pose al centro la necessità di sospendere ogni collaborazione militare e di ricerca con lo Stato e il Governo di Israele e le sue università. Successivamente, questa richiesta, insieme alle altre per il cessate il fuoco e il ripristino del diritto internazionale, è stata ribadita da quanti hanno aderito allo sciopero e alle manifestazioni del 23 e 24 febbraio 2024. Un ulteriore rafforzamento del movimento che chiede l’uscita dei rettori dalla Fondazione Leonardo Med-Or e la fine delle collaborazioni degli atenei con le imprese produttrici di armi si è avuta a marzo-aprile con le mobilitazioni per il ritiro del bando di collaborazioni Italia-Israele (divenuto noto come bando MAECI).
leggi il contributo integrale su ResistenzeQuotidiane
Roma, 24-26 Maggio 2024, Seminario Euronomade all’ESC. “Rompere i Blocchi: Regime di Guerra / Guerre Culturali / Economia di Guerra”
Occorre fermare la guerra. Abbiamo messo al centro questo obiettivo in tutte le nostre analisi da quando l’invasione russa all’Ucraina ha materializzato la guerra in Europa. La terribile, feroce “risposta” israeliana all’attacco del 7 ottobre, di cui certo non abbiamo sottovalutato la violenza, ha ribadito la dimensione globale della guerra. Fermarla significa cercare di afferrare quella dimensione: mentre i processi di globalizzazione mettono in crisi qualsiasi dimensione unificante, a a partire dal tramonto della capacità egemonica americana, la guerra investe l’organizzazione politica dello spazio globale
Il mondo multipolare, da molti invocato ideologicamente come una bandiera da opporre all’imperialismo americano, è in realtà oggi già la reale immagine dello spazio globale: è però una multipolarità centrifuga e instabile, che rischia di assumere la guerra come normalità quotidiana, come un elemento inevitabile del funzionamento ordinario del mercato mondiale. Il regime di guerra globale finisce così per investire tutti gli ambiti della vita: il mondo multipolare si rivela abitato da un processo di costituzione di blocchi, che militarizzano l’ordine interno, si riorganizzano attorno all’economia di guerra, fanno del nazionalismo e della proclamazione di presunti quanto inevitabili scontri di civiltà la chiave per affermare una fantomatica ed asfissiante omogeneità interna ad ognuno dei blocchi. Il regime di guerra indurisce così le gerarchie di classe, di genere e di razza interne a ciascuno dei blocchi e prova a sottrarre ogni spazio alle lotte di emancipazione. Noi vogliamo leggere la guerra globale opponendoci tanto agli entusiasmi dei nuovi crociati della guerra permanente, quanto ai rassegnati alle geografie dei blocchi chiusi e militarizzati. Siamo invece convinti che i poli in formazione in questo spazio globale segnato dalla guerra siano attraversati da contraddizioni e conflitti che rendono questa instabile multipolarità rovesciabile da movimenti che si oppongono al regime di guerra e lottano per una transizione non segnata dalla catastrofe bellica, economica e ambientale. Nelle tappe del seminario dedicate ai nodi della guerra globale, delle “guerre culturali” e della organizzazione dell’economie di guerra, insieme ai laboratori dedicati alle prospettive dei movimenti globali, a partire dai fondamentali esempi dei movimenti femministi e ambientalisti, e dalla veloce e potente contagiosità dei movimenti universitari di solidarietà alla Palestina, proveremo a costruire un discorso comune, con all’orizzonte la sperimentazione di una pratica internazionalista rinnovata, con l’ambizione di ROMPERE I BLOCCHI e riconquistare spazi e tempi alle lotte per la libertà ed l’eguaglianza.
vedi il programma
Appello a firmare i referendum “sul Jobs act” per un lavoro tutelato, stabile, dignitoso e sicuro
Un gruppo di personalità della società civile e delle associazioni, tra cui molti della campagna Sbilanciamoci!, fa appello a tutti a firmare, anche online, per i 4 referendum contro la precarietà del lavoro lanciati dalla Cgil
Viene definito sulla stampa “referendum della Cgil sul Jobs Act” ma in verità dei quattro quesiti referendari proposti dal sindacato guidato da Maurizio Landini solo due si riferiscono alla riforma del mercato del lavoro voluta da Matteo Renzi e varata dal suo governo. La raccolta firme sui quesiti proposti dal sindacato è partita lo scorso 25 aprile e, oltre ai banchetti organizzati nelle piazze delle città e alle manifestazioni (come la manifestazione nazionale a Napoli del 25 maggio contro l’autonomia differenziata e il premierato), prosegue anche online sul sito di Collettiva (per firmare clicca qui, per la firma digitale serve avere lo Spid o il Cie della carta d’identità elettronica, qui le istruzioni su come fare). A partire dai primi giorni di maggio è stato lanciato un appello a partecipare alla raccolta di firme da un gruppo di costituzionalisti e di personalità del mondo delle associazioni, tra cui anche il portavoce di Sbilanciamoci Giulio Marcon e molti presidenti e portavoce di associazioni che fanno parte della campagna Sbilanciamoci! anche se a titolo personale. L’obiettivo per tutti è raggiungere, per ciascuno dei quattro quesiti, la soglia minima di 500mila firme necessarie per indire il referendum nel 2025.
vedere in dettaglio su sbilanciamoci
Il rapporto annuale- Istat smentisce la realtà parallela costruita dal governo della cosiddetta “destra sociale”. La linea del governo-Meloni si colloca in continuità con le politiche neoliberiste adotta dal 1991: “è l’espressione organica di una politica di classe che ha imposto la più violenta repressione salariale nei paesi Ocse”
«Record povertà, salari fermi: Meloni, fine della narrazione», così titola il Manifesto l’articolo di Roberto Ciccarelli, il quale traccia il “racconto di un paese in bilico dove aumentano le disuguaglianze dopo 30 anni di politiche complici: 5,7 milioni di persone sono in «povertà assoluta» in Italia: per l’Istat è un record dal 2014 quando in tale condizione erano poco più di 4 milioni”
Record della povertà, salari fermi, crolla il potere di acquisto, cresce il lavoro povero. La realtà parallela che il governo Meloni prova, inutilmente, a costruire da un anno e mezzo ieri è stata smontata dalla pubblicazione del rapporto annuale 2024 dell’Istat. Nel silenzio di quasi tutti gli esponenti dell’esecutivo e della maggioranza, di solito loquaci quando si tratta di equivocare e non capire i dati sull’occupazione, ieri è stato messo nero su bianco che la povertà assoluta ha raggiunto livelli mai visti da dieci anni a questa parte. Cinque milioni e 752 mila persone hanno gravissime difficoltà economiche, sociali, personali e 1,3 milioni di minorenni sono in grave deprivazione materiale e sociale. Dieci anni fa, nel 2014, erano state calcolate poco più di 4 milioni di persone in questa condizione. I dati non colgono ancora in pieno gli effetti della decisione, presa tra maggio e dicembre 2023, dal governo di restringere l’accesso all’«assegno di inclusione» e al «supporto lavoro e formazione» che hanno sostituito il «reddito di cittadinanza». Per questo, l’anno prossimo, i dati saranno peggiori. E sarà tutta farina del sacco di Meloni & Co. Nonostante il buon andamento del «mercato del lavoro» che ha registrato tra il 2022 e il 2023 un aumento dell’1,8% in entrambi gli anni, sono cresciuti contemporaneamente i lavoratori poveri («working poors»), quelli che sono in «povertà relativa», soprattutto nei settori «di punta» di un’economia ormai basata su ristorazione, turismo e servizi poveri. In questa cornice l’incidenza della povertà assoluta tra gli occupati è aumentata dal 4,9% nel 2014 al 7,6% del 2023. Non essendo cambiato strutturalmente il mercato del lavoro, e tanto meno il Jobs Act di Renzi e del Pd ( la Cgil si propone di abolire con un referendum), è certo che questa condizione sia cresciuta anche tra chi è stato assunto nell’ultimo anno.
leggi articolo integrale su ilmanifesto del 15 maggio 2024
La sinergia tra scuole e musei per avvicinare i più giovani. Ma l’istruzione pubblica mal si concilia con l’aziendalizzazione dei beni culturali, dove si privilegiano le visite guidate: pochissimi i laboratori didattici istituiti in partenariato con i presidi scolastici, tendenzialmente improntati all’insegna dell’impegno decrescente
Divari molto più ampi – complessivamente – si registrano sull’intero asse cultura-formazione, come quello – per esempio – tra città maggiori e aree interne: nei comuni periferici e ultraperiferici la quota di musei che ha attivato questi percorsi educativi è sistematicamente più bassa. Oltre alle differenze rispetto alle attività svolte dai musei, è la stessa disponibilità sul territorio a variare molto, specie se confrontata con i minori residenti nel paese. In media sono presenti in Italia 4,8 musei ogni 10mila residenti con meno di 18 anni. Un dato variabile tra le aree del paese: dai 7 musei ogni 10mila minori del centro Italia ai 2,9 del sud continentale. Ma questa distanza, già molto ampia, emerge ancora più netta man mano che si approfondisce il dato in chiave territoriale
In media, nel 2022 in quasi 3 musei su 4 si sono svolte visite guidate per gruppi scolastici. Parliamo di oltre tremila strutture sulle 4.416 censite da Istat come attive in quell’anno. 73,9% i musei che nel 2022 hanno organizzato visite guidate per gruppi scolastici. Una quota inferiore di strutture (44,8%) ha invece tenuto laboratori didattici dedicati ai gruppi scolastici. Mentre circa il 30% dei musei ha attivato vere e proprie partnership con il mondo della scuola. Un gap nell’offerta di strutture, prima ancora che nelle attività svolte. Si tratta evidentemente di attività a impegno crescente: perciò non stupisce che la quota di musei che hanno organizzato visite guidate sia superiore a quella delle strutture che hanno tenuto laboratori. E che, prevedibilmente, è a sua volta superiore alla costituzione di progetti formali di collaborazione con gli istituti scolastici. Con questa premessa, esiste un divario territoriale nell’attivazione di questi progetti, seppure meno marcato di quanto ci si potrebbe aspettare. Visite guidate sono state organizzate in oltre il 70% dei musei di tutte le aree del paese: dal 75,8% nel nord-ovest al 71,1% nelle isole, anche se tra le regioni il quadro è molto più differenziato: 80,5% in Lombardia, meno del 60% in Molise (54,3%) e Valle d’Aosta (47,9%). Nell’organizzazione di laboratori dedicati alle scolaresche, la quota del 40% è superata in quasi tutte le aree del paese (con l’eccezione delle isole, 35%): 48,5% nel centro Italia, 47,6% nel nord-ovest, 43,5% nel sud, 43,2% nel nord-est. Nell’attivazione di partenariati con le scuole, spicca ad esempio il sud continentale. Qui il 33,7% dei musei dichiara di averne attivati, più della media nazionale (30,1%), con differenze interne però tra il 40,4% della Campania e il 14,3% del Molise. Ma questa distanza, già molto ampia, emerge ancora più netta man mano che si approfondisce il dato in chiave territoriale. In Puglia e Campania vi sono circa due musei ogni 10mila minori, meno della metà della media nazionale. Questo dato, ovviamente, di per sé non è sufficiente a segnalare una situazione critica: la presenza di strutture da sola non è infatti un indicatore sufficiente, se mancano servizi ulteriori e percorsi didattici per la fruizione dei materiali educativi. Tuttavia, restituisce comunque un quadro sulla diffusione di tali strutture sul territorio nazionale.
abstract dall’inchiesta.openpolis