( Comunicato stampa dell’associazione Silos)
In questi giorni, l’aria che si respira in Silos è pesante.
La Prefettura ha comunicato l’intenzione di uno sgombero definitivo in tempi brevi.
Ancora una volta, l’unica “soluzione” a cui le istituzioni – nazionali e triestine – riescono a pensare è l’uso della forza.
Negli ultimi anni il campo scout di Campo Sacro, scelto come destinazione per le persone sotto sgombero, aveva 250 posti, numero insufficiente ad accogliere le persone richiedenti asilo, per non parlare di quelle in transito.
Non tutte le persone che vivono nel Silos sono richiedenti asilo in attesa che il Prefetto Signoriello le salvi.
Solo alcune richiedono formalmente accoglienza.
Di fatto, molte intendono ripartire per raggiungere altri Paesi già pochi giorni dopo aver raggiunto Trieste.
Come sempre, banalizzare e generalizzare le informazioni non aiuta a comprendere le esigenze di chi migra.
Uno sgombero comporta sempre violenza.
La Prefettura dice di voler salvare chi vive nel Silos, in realtà il chiaro obiettivo è nascondere sotto il tappeto un supposto problema di decoro, oltre che politico e mediatico. Per questo motivo, faremo in modo di essere presenti nel giorno dello sgombero, per prevenire o documentare gli abusi che potrebbero verificarsi.
Va inoltre detto che, nonostante le condizioni di vita al suo interno siano terribili, chiudere uno spazio grande e libero come il Silos senza aprirne uno alternativo non è certo una soluzione, anzi.
Il Silos è, tanto per chi transita quanto per chi richiede asilo, l’opzione migliore dove vivere e le persone non lo considerano solo come un dormitorio, ma anche come un luogo dove socializzare, giocare, cucinare e rilassarsi senza dover subire limitazioni per svolgere tali attività. Proprio come fanno di solito le persone con documenti nelle proprie case.
Con gli arrivi in aumento come ogni primavera, queste centinaia di persone dove potranno trovare riparo, se non nel Silos ? L’alternativa sarebbe che Prefettura e Comune aprissero nuovi spazi di bassa soglia, come il dormitorio di via Gioia, che la città chiede da quasi due anni.
Inoltre, la Prefettura di Trieste ha detto chiaramente che non si occuperà delle persone in movimento e dei richiedenti asilo che hanno iniziato la procedura in altre città.
Che fine faranno queste persone? Gli esseri umani in difficoltà non scompaiono solo perché le istituzioni si rifiutano di vederli.
Per questo, chiediamo a tutte e tutti di riunirci il 28 aprile in Largo Santos (ex Sala Tripcovich), a partire dalle 18:00. Vogliamo stare insieme, discutere, proporre alternative, ma anche semplicemente stare insieme e divertirci. Come abbiamo fatto il 2 marzo e il 10 aprile, non resteremo in silenzio. Se il Silos verrà chiuso, le persone in movimento troveranno altri spazi dove vivere liberamente.
ESSERE RICHIEDENTE ASILO A TRIESTE
Richiedere asilo non è semplice.
Dopo aver manifestato l’intenzione, per formalizzare la domanda è previsto che una persona rilasci le proprie impronte digitali presso la Questura. Nel farlo, attesta anche di non avere mezzi di sostentamento, chiedendo così alla Prefettura di provvedere un posto in uno dei centri di accoglienza per richiedenti asilo presenti sul territorio. A Trieste, come in altre città, i posti nei centri di accoglienza non sono mai sufficienti.
Il viaggio, se affrontato con un passaporto afgano, pakistano o bengalese, può costare fino a 15.000 euro. I debiti contratti per pagarlo inseguono le persone oltre le frontiere, più tenacemente dei cani della polizia bulgara.
Qualunque sia il Paese di provenienza, il primo pensiero all’arrivo in Europa è quello di trovare un lavoro per ripagare gli alti interessi del viaggio a strozzini e trafficanti, cosa resa impossibile dalla burocrazia italiana, a causa di tempi impietosi e strutture inadeguate e isolate. Per questo motivo, molti richiedenti asilo non hanno interesse a entrare nel sistema di accoglienza: l’obiettivo principale è ottenere un permesso di soggiorno per iniziare a lavorare.
Fornire una sistemazione adeguata e legale a chi vuole iniziare la propria vita e trovare un lavoro qui è una priorità, non solo perché il Silos è un ambiente di vita degradante, ma anche perché per il rilascio del Permesso di Soggiorno è necessario che ogni richiedente asilo abbia un indirizzo ufficiale.
La Questura di Trieste ha pensato bene di utilizzare un indirizzo fittizio, “Via della Casa Comunale”, per coloro che non ne hanno uno vero. Anche se questa procedura può sembrare utile, poiché permetterebbe di lavorare (quasi certamente sotto sfruttamento), produce in realtà un caos burocratico dovuto alla registrazione presso un indirizzo non esistente, dove non possono arrivare le comunicazioni ufficiali.