Un centinaio di persone circa erano la mattina dello scorso 5 aprile[ndr] all’interno del porto di Napoli, in occasione dello sciopero nazionale indetto da diverse sigle sindacali per il rinnovo e l’adeguamento del contratto nazionale dei lavoratori dei porti (scaduto lo scorso 31 dicembre), per chiedere la limitazione del ricorso allo straordinario, al lavoro notturno e alle prestazioni di lavoro flessibili, contro l’accentramento di potere economico e politico dei grandi terminalisti che – denuncia nel suo comunicato il SiCobas – “lavorano con il governo Meloni per la privatizzazione delle Autorità portuali”.
I manifestanti hanno attraversato le strade dello scalo napoletano arrivando fino alle sedi dei concessionari privati Conateco e Soteco, riuscendo a rallentare con la loro presenza il transito delle merci e dei container. Della situazione di estrema difficoltà dei lavoratori di queste aziende abbiamo scritto più volte (per esempio qui e qui).
Altro tema centrale dello sciopero era la denuncia dell’enorme numero di decessi sul luogo di lavoro. Morti che, spiega sempre il comunicato, “si moltiplicano sia a causa del mancato rispetto e della scarsa vigilanza delle norme sulla sicurezza prescritte dalle legge 81/08, sia più in generale per l’aumento costante dei ritmi, dei carichi di lavoro, del ricorso costante allo straordinario notturno, dell’abuso di appalti e subappalti e dell’utilizzo irregolare di manodopera dipendente di imprese di servizi portuali”. A Napoli l’ultimo incidente mortale si è verificato sabato 23 marzo sul terminal GNV, dove un lavoratore marittimo è stato travolto da un semirimorchio.
Al termine di una lunga mattinata, i manifestanti sono usciti dal porto attraverso il Varco Pisacane, pigramente presidiato da due-tre auto e da un paio di blindati della polizia. A qualche decina di metri di distanza, all’esterno della sede dell’Autorità portuale, volantinavano una ventina di sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil, uniti dal vecchio mantra “un manifestante – una bandiera”.
Al termine dello sciopero abbiamo raccolto le voci di alcuni dei partecipanti sulla situazione negli scali di Napoli e Salerno e sulle estreme difficoltà di sindacalizzazione dei lavoratori portuali in questa fase storica.
(rosa battaglia)
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Giuseppe D’Alesio (esecutivo nazionale SiCobas): «Le difficoltà ci sono, ed è emblematico che ci siano proprio in un momento in cui la situazione in termini di condizioni di lavoro è estremamente grave. C’è una perdita di coscienza politica e di classe che è dovuta da anni di disallenamento alla lotta ma ancora di più dalla pacificazione sociale imposta dai sindacati confederali. Io stesso, se fossi un operaio del porto di Napoli, e dovessi aderire a uno sciopero lanciato da Cgil, Cisl e Uil, avrei seri dubbi: perderei una giornata di lavoro per uno sciopero fatto da venti persone, senza alcuna conflittualità. Qualche settimana fa c’è stato un fatto gravissimo, che dà un po’ il metro del livello di arretramento della lotta. C’è stato un morto e per la prima volta i lavoratori non si sono fermati. Io credo che questo sia dovuto da un lato a un senso di frustrazione dei lavoratori, dall’altro allo strapotere dei terminalisti, che operano di fatto in regime di monopolio: dagli operai ai vigilantes, qui tutto passa per il controllo di MSC. La situazione purtroppo rischia di farsi ancora più estrema se consideriamo che c’è un tentativo in atto da parte dei grandi armatori che stanno trattando con il governo Meloni per mettere mano alla legge 84/94 e far entrare i privati di prepotenza all’interno delle autorità portuali».
Francesco Collina (operatore portuale Salerno): «Anche a Salerno facciamo i conti con la presenza-non presenza dei sindacati confederali, che con il tempo sono riusciti ad annichilire il significato stesso della parola sindacato. Nella nostra azienda, la Logiport, che si occupa di automotive, operazioni di salita e discesa dei veicoli dalle navi, eccetera, siamo riusciti a radunare nel sindacato fino a venticinque operai (un dato interessante è che il nucleo più combattivo è costituito da noi più “vecchi”) e a ottenere un accordo di secondo livello con importanti miglioramenti in termini economici, grazie alla contrattazione aziendale e senza neanche dover arrivare allo sciopero. Ma gran parte degli operai, soprattutto i più giovani, hanno perso il senso d’appartenenza e lo spirito di solidarietà, e hanno introiettato una mentalità individualistica per cui si vedono in concorrenza l’uno con l’altro, il che è agli antipodi con l’idea di un sindacato di classe che agisce nell’interesse di tutti i lavoratori. Un tema centrale è quello dello smantellamento delle compagnie portuali, i cui lavoratori sono stati assorbiti dalle grandi aziende, aumentando il potere anche in termini di clientela e ricatto di queste ultime, perché nel frattempo compagnie e cooperative avendo meno lavoro hanno perso la loro forza e non possono sostenere i lavoratori quando sono fermi. Anche a Salerno è morto un lavoratore a settembre scorso, un marittimo che su un altro terminal è stato investito da un mezzo in retromarcia durante la fase di caricamento di una nave. È stato schiacciato di spalle, insieme a un altro collega che è rimasto gravemente ferito. Lo stato di agitazione siamo riusciti a portarlo avanti con grande fatica per un giorno, dal giorno dopo le compagnie già facevano lavorare gli operai sul luogo stesso dell’omicidio».
Teresa Sodano (Culp–Compagnia unica lavoratori portuali): «I lavoratori della compagnia vengono chiamati quando ci sono i picchi di lavoro per le imprese presenti nei porti, e quando queste non hanno abbastanza personale. La mole di lavoro non è molto diminuita, anche se è un po’ calata dopo la pandemia, a essere cambiate sono le condizioni di lavoro, considerando la riduzione dell’organico reclutato: dove prima lavoravano dieci persone ora ne lavorano cinque e questo compromette quotidianamente la sicurezza di tutte le operazioni. I lavoratori delle cooperative danno fastidio, o meglio danno fastidio le loro tariffe e le tutele che sono riusciti a mantenere. Per i terminalisti sarebbe molto meglio poter attingere alle agenzie di lavoro, che non essendo spesso ben regolamentate diventerebbero i discount delle compagnie di portuali. Negli anni passati c’è stato un piccolo esodo di portuali verso le aziende concessionarie, in generale si credeva che si andasse a migliorare economicamente, ma visto i ricatti padronali quotidiani in molti, se potessero, oggi tornerebbero indietro».
da NapoliMonitor