Siamo appena tornati dalla nostra missione numero 110 a Gaza, dove ci siamo impegnati nell’ardua impresa di riaprire il corridoio umanitario marittimo. Il nostro obiettivo era chiaro: impedire che la fame fosse usata come un’arma contro un popolo che ha già sofferto troppo.
Dall’inizio del conflitto sono morte più di 33.000 persone in ciò che le grandi potenze non vogliono chiamare con il suo nome: genocidio.
Siamo tornati da Gaza, una terra dove uccidere è diventato routine, dove non solo si spara ai bambini e si distruggono ospedali e scuole, ma si uccidono anche coloro che cercano solo di salvare vite. L’aiuto umanitario e la verità diventano obiettivi, giornalisti e stampa diventano nemici. Coloro che dovrebbero essere protetti in ogni conflitto, medici e insegnanti, vengono giustiziati senza pietà.
Noi siamo tornati dalla missione, ma i nostri sette compagni di World Central Kitchen – Zomi, Issam, Damian, Jacob, Jim, John e James – sono rimasti in quella terra straziata. E sono stati uccisi.
Le condoglianze e le manifestazioni di cordoglio dei governi sono arrivate rapidamente, ma fino a quando permetteremo che ciò continui? Quante vite devono ancora essere perse prima che reagiamo come umanità?
Con profondo rammarico, siamo costretti a sospendere questo corridoio umanitario a causa dei troppi rischi.