L’inflazione cala e diminuiscono anche i prezzi dell’energia, ma per tante famiglie si tratta di benefici inesistenti poiché i salari medi sono ancora troppo bassi e non hanno recuperato abbastanza per compensare il divario inflattivo.
A sottolinearlo è la nota congiunturale di marzo dell’Ufficio studi & ricerche della Fisac Cgil.
Come scrivono Davide Riccardi e Roberto Errico, coordinati da Davide Riccardi: “L’incremento dei salari, seppur in recupero grazie alla contrattazione, è ancora abbondantemente lontano dal compensare pienamente il divario inflattivo.”
Secondo l’ISTAT infatti “la decisa decelerazione dell’inflazione nel corso del 2023 ha ridotto la distanza tra la dinamica dei prezzi (IPCA) e le retribuzioni contrattuali a circa tre punti percentuali, meno della metà di quella osservata nel 2022.”
Ma la dinamica salariale non recupera in molti settori il potere di acquisto delle famiglie, tanto da influenzarne i consumi. Secondo una ricerca di NIQ-GFK, infatti, un italiano su 3 dichiara una condizione economica peggiore e ben il 62% di essi ha stabilmente condizioni di difficoltà.
Le famiglie con la condizione più difficile risultano essere quelle giovani e con figli ed in generale il 30% di queste si trovano a dover pensare prioritariamente alle necessità più contingenti.
A fine 2023 il tasso di occupazione è salito al 61,9% (fonte ISTAT), ma il reddito disponibile, al netto dell’inflazione, è risultato pari al decennio trascorso, diversamente da quanto accaduto nella gran parte dei paesi europei.
Il tasso di risparmio – vera specificità nazionale – a fine 2023 era per l’Italia pari all’8,75% contro il 13,05% per cento nella UE.
Un paradosso unico dove la concomitanza tra occupazione in aumento, salari in crescita moderata (ma risparmio in calo), utili in crescita non coincide con la crescita complessiva del Paese dove la ricchezza risulta ancora più polarizzata: come ricorda la Banca d’Italia il 5% delle famiglie più ricche detiene il 46% della ricchezza totale.
Altro dato allarmante, rilevato dall’ISTAT e sottolineato dagli autori del Report dell’Ufficio studi & ricerche della Fisac Cgil, è quello per cui il tempo medio di attesa di rinnovo, per i lavoratori con contratto scaduto, è aumentato dai 20,5 mesi di gennaio 2023 ai 32,2 mesi del dicembre 2023, mandando quindi in fumo un ulteriore anno.
Alla fine del 2023 nei 44 contratti in vigore per la parte economica solo il 47,6% dei dipendenti totali risultava coperto, mentre ben 6,5 milioni di lavoratori (il 52,6%) attendono il rinnovo dei loro 29 contratti nazionali.
Per quanto riguarda i tassi bancari, la notta della Fisac Cgil riporta che essi sono in calo, precisando però che il calo dei tassi di riferimento “non ha ancora determinato una inversione di tendenza: a febbraio 2024 il credito alle famiglie e alle società non finanziarie risulta ancora in contrazione del 2,7% Secondo dati del Crif (Centrale rischi finanziari) per il 2023 la domanda di mutui delle famiglie si è ridotta del 17,2% rispetto al 2022, mentre a settembre dello stesso anno i nuovi mutui erogati segnavano una diminuzione del 24%.”
Un dato interessante riguarda il fatto che il 38,8% dei mutui richiesti ha durata tra i 25/30 anni e l’età dei richiedenti è tra i 45 e i 75 anni per più di un terzo, mentre i più giovani sono meno del 30%.
Inoltre, secondo l’Abi, nel primo mese del 2024, risultano in aumento le sofferenze bancarie al netto delle svalutazioni.
L’incremento, pari a 2,2 miliardi di euro, è certamente collegato alle crescenti difficoltà del comparto piccole imprese nel far fronte al costo del credito. “Tuttavia, in termini assoluti, siamo ancora molto lontani – spiega la nota della Fisac Cgil – rispetto al picco di 88,8 miliardi di euro di sofferenze nette raggiunto dal sistema bancario italiano nell’ultimo trimestre 2015”.
Come ha osservato la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, davanti a questi dati: “Viviamo un momento di grandi contraddizioni.
Alti tassi di interesse fanno aumentare il rischio di un ‘hard landing’, di un atterraggio critico, che presuppone recessione, perdita di posti di lavoro e impoverimento delle famiglie.
Eppure queste conseguenze non si sono determinate: siamo in una dimensione di ‘soft landing’ dove però aumentano diseguaglianze e povertà e dove la ricchezza è sempre più polarizzata. Il nostro Paese è completamente immerso in queste contraddizioni, acuite dalle storiche carenze strutturali. Dopo alcuni ed eccezionali anni di crescita, frutto di politiche post pandemia, siamo tornati a valori poco superiori allo zero mentre viene consegnata agli effetti del Pnrr (e dei suoi ritardi ed incognite) una qualche risposta.
Le politiche del Governo, che celebra apparenti tassi di occupazione e reddito più elevati, mentre la disoccupazione giovanile continua ad essere la seconda più elevata d’Europa e la precarietà imperversa, ignorano i bisogni della maggioranza di lavoratrici, lavoratori e pensionate/i, favorendo viceversa, attraverso il fisco, le fasce più benestanti della popolazione.”
Per questo, con lo slogan “Adesso Basta” si terrà giovedì 11 aprile lo sciopero generale, proclamato da Cgil e Uil, di quattro ore in tutti i settori privati, otto in quello dell’edilizia, con manifestazioni ed iniziative che si terranno a livello territoriale.
Una mobilitazione indetta a sostegno delle comuni rivendicazioni: zero morti sul lavoro, per una giusta riforma fiscale, per un nuovo modello sociale di fare impresa
(https://www.cgil.it/ufficio-stampa/adesso-basta-11-aprile-sciopero-generale-cgil-e-uil-e-manifestazioni-in-tutta-italia-landini-a-brescia-hsrkpj83).
Qui la nota congiunturale di marzo dell’Ufficio studi & ricerche della Fisac Cgil.
https://drive.google.com/file/d/1OHwh4vI8h5COP2RIhNgOmHcyuVm-rCIz/view