All’indomani della Seconda guerra mondiale e praticamente all’inizio di quella fredda, il 4 aprile del 1949 dodici Stati costituivano l’Alleanza Atlantica in funzione antisovietica. Erano paesi dell’Europa occidentale più due del Nord America: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti. Il fronte comune antifascista e antinazista che aveva retto nel conflitto sino al 1945 era finito e si profilava il periodo del bipolarismo (noto come Guerra fredda), cioè del confronto tra due sistemi fondato su una corsa agli armamenti senza precedenti nella storia, che però non sfociò mai in uno scontro diretto tra la NATO e il Patto di Varsavia, quest’ultimo costituito da Mosca e dai suoi paesi satelliti successivamente nel giugno del 1955.
La Guerra fredda, come è noto, terminò prima simbolicamente con la caduta del muro di Berlino nel 1989, poi concretamente con lo scioglimento del Patto di Varsavia nell’aprile del 1991 e con l’implosione dell’Urss nel dicembre dello stesso anno.
Apparentemente la NATO, alla quale precedentemente si erano aggiunti Grecia, Turchia, Germania e Spagna, non aveva più avversari e non aveva più ragion di esistere, ma ricercò la sua nuova ragion d’essere, trovandola facilmente nel caotico quadro internazionale. L’ultimo decennio del secolo scorso infatti vide un revival violento di etnonazionalismi come nel caso dell’ex Jugoslavia ed una diffusione del terrorismo islamico, che culminò con la vicenda delle Twin Towers di New York nel 2001.
Nell’ambito di questo quadro e dopo l’intervento contro la Serbia nel 1995, la NATO elaborò il nuovo Concetto strategico del 1999, in cui sanciva un importante mutamento negli scopi dell’Alleanza che si concentrava su quelle che vennero apertamente designate come “operazioni non art. 5”: «operazioni di risposta alle crisi, qualche volta con breve preavviso, distanti dalle proprie basi di partenza, al di fuori del territorio degli alleati». In pratica dall’area euroatlantica l’operatività della NATO si estendeva globalmente a tutto il mondo con implicazioni gravide di conseguenze. Essa infatti è intervenuta in Libia, Afghanistan, Iraq, tutte aree esterne a quella tradizionale dell’Alleanza.
Contemporaneamente ben altri 14 paesi dell’Est Europa (Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Albania, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord) sono entrati a farne parte tra il 1999 e il 2020, spostando ad oriente il baricentro dell’Alleanza e suscitando forte apprensione a Mosca, dove Putin nel frattempo puntava a rinverdire il ruolo di grande potenza della Russia. Come aveva già fatto ben vedere reprimendo, oltre ogni opposizione interna, l’indipendentismo della Cecenia, attivando un intervento in Georgia, impegnandosi nel sostegno al regime di Assad in Siria. Che il clima stesse cambiando è testimoniato dal Concetto Strategico del 2020, che tratta di difesa e deterrenza (prima si parlava di “difesa collettiva”), di prevenzione e gestione delle crisi (prima solo “gestione delle crisi”, anche fuori area euroatlantica) e di sicurezza cooperativa. Si nota che il Concetto Strategico passa dalla gestione delle crisi (se ne parlava in quello del 2010) alla “difesa e deterrenza”.
Nel 2022, con l’intervento russo in Ucraina, dove la guerra civile (largamente ignorata) infuriava già dal 2014 tra repubbliche separatiste del Donbass e il governo centrale di Kiev, il quadro internazionale è divenuto ancora più complesso. La stessa NATO ipotizzò l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza (accordi di Bucarest nel 2008, ribaditi nel vertice di Bruxelles nel giugno 2021), suscitando ancora più timori a Mosca (il cosiddetto e temuto accerchiamento). L’invasione russa d’altro canto ha provocato un ulteriore allargamento della NATO, a cui hanno aderito paesi tradizionalmente neutrali come Svezia e Norvegia, timorosi a loro volta delle azioni di Mosca. E il recente documento strategico del 2022 rispecchia il nuovo clima evidenziando la minaccia russa definita “la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli Alleati e alla pace e alla stabilità nell’area euro-atlantica”, aggiungendo anche la Cina dichiarata come una “sfida sistemica” alla sicurezza euro-atlantica.
L’aggravarsi della guerra in Ucraina, lo scoppio del conflitto a Gaza e la permanente tensione nell’area indopacifica con l’altra superpotenza cinese sono tre elementi che complicano un quadro internazionale che già deve affrontare crisi complesse quale quella delle migrazioni e quella dei cambiamenti climatici.
La NATO compie 75 anni e sta vivendo, nonostante l’espansione e le nuove adesioni, un momento difficile, anche per altri motivi. La potenza leader, gli Stati Uniti, che influenzano largamente le scelte dell’Alleanza, sta vivendo a sua volta una grave crisi interna, rappresentata da un lato dal candidato repubblicano alla Casa Bianca che non cela il suo disinteresse per la NATO e le sue tendenze sovraniste/isolazioniste, dall’altro da un presidente in carica che non riesce a risolvere nessuna delle tre questioni suddette (Ucraina, Gaza, Cina). L’unica risposta statunitense e di conseguenza dei suoi alleati consiste nell’aumento delle spese militari, giunte complessivamente nel 2022 a 1.200 miliardi di dollari, che, su un totale mondiale di 2.200 miliardi di dollari, ne rappresenta ben il 54,5%.
Se andiamo a osservare l’evoluzione storica delle spese della NATO troviamo che nel 2013 spendeva 1.060 miliardi $ (ancora non aderivano Montenegro, Macedonia del Nord e Finlandia) e quindi per arrivare ai 1.200 del 2022 registriamo un aumento reale di ben 140 miliardi $.
Secondo il Military Balance, le spese per la difesa degli USA nel 2023 sono giunte a ben 905,5 miliardi di dollari, a fronte dei 219,5 della Cina e ai 108,5 della Russia, mentre gli europei (compresa la Gran Bretagna) arrivano a 388 miliardi di dollari (quasi il doppio della Cina). Se si fosse di fronte ad un’impresa commerciale, la si potrebbe ritenere un’impresa fallimentare in quanto si rileva una spesa finanziaria enorme per ottenere scarsi risultati di mercato, dato che i vari leader dei paesi della NATO, unica alleanza militare organizzata al mondo, dichiarano continuamente di essere in pericolo e che le risorse economiche messe a disposizione sono insufficienti.
Eppure, riprendendo i calcoli sulle rispettive forze come quelli che si facevano durante la Guerra Fredda, secondo l’ISPI, la NATO nel 2022 aveva 5,4 milioni di uomini (a fronte dell’1,3 della Russia), 20.723 aerei (4.173 russi), 2.049 navi (605 russe) e 14.642 carri armati (12.420 russi). Sulla carta tra spese militari, mezzi a disposizione e uomini in armi il rapporto con Mosca è apparentemente soverchiante. Una situazione di parità, per così dire, emerge solo in campo nucleare: 1.710 testate operative per il Cremlino, 1.670 per la Casa Bianca. Il dubbio che sovviene a questo punto è che forse tutto questo apparato non basta per proiettare il suo raggio d’azione ovunque per controllare il globo intero, cioè fare il gendarme del mondo. Ma ciò forse non è quello di cui si ha bisogno, ma di una sicurezza condivisa e non unilaterale, basata sulle armi e magari sulla minaccia nucleare.
E’ un triste anniversario per un’organizzazione potentissima che sembra temere il mondo intero e per questo forse lo vorrebbe controllare secondo le proprie priorità e i propri interessi, tra l’altro non sempre coincidenti tra le due sponde dell’Atlantico.
Maurizio Simoncelli