Sul caso di Ilaria Salis, il ministro degli Esteri non smette di invitare a tenere un profilo basso e a non politicizzare il caso. Nascono nuove domande, chissà se anche queste politiche: qual è il futuro di un’Europa che non ferma genodici e guerre, che esternalizza le frontiere trasformando il Mediterraneo in un cimitero e che non riesce più nemmeno a garantire i diritti fondamentali dei suoi cittadini?

 

Giovedì 27 marzo, come noto, si è tenuta a Budapest la seconda udienza del processo a Ilaria Salis, detenuta da tredici mesi in Ungheria. Le notizie del ritorno in aula in catene e del respingimento della richiesta di arresti domiciliari sono state battute dalla stampa italiana in tempo reale. Erano 57 i giornalisti italiani accreditati per seguire l’udienza, ragione per cui gran parte della delegazione giunta a Budapest per manifestare solidarietà a Ilaria è stata costretta a seguire l’udienza in teleconferenza da una sala al piano di sopra. Alla delegazione hanno partecipato amici e compagni di Ilaria, il Comitato romano per la libertà di Ilara Salis, Giuristi Democratici, il CRED, la Clinica dei generi e delle discriminazioni multiple di Roma Tre, sette parlamentari e il fumettista ZeroCalcare.

L’audizione dei testimoni è stata rinviata al 24 maggio e oggetto dell’udienza è stata esclusivamente la richiesta dei domiciliari in Italia o in Ungheria liquidata dal giudice con un secco diniego. I motivi sono il pericolo di fuga e la gravità del reato di cui è accusata: due aggressioni che hanno provocato pochi giorni di prognosi con la supposta aggravante di essere avvenute nell’ambito di un’azione organizzata. Il parere negativo della PM alla richiesta della difesa è stato espresso con pochissime parole “Di crimine più grave c’è solo l’omicidio”.

Le pressioni del governo italiano su Orban, per non riproporre lo spettacolo medievale delle catene e per concedere i domiciliari almeno in Ungheria, o non sono state esercitate oppure sono state rispedite al mittente ed è molto probabile a questo punto che Ilaria sconterà in carcere, con un’ora d’aria al giorno, l’intera misura cautelare sino alla fine del processo.

Il ministro degli Esteri non smette di invitare a tenere un profilo basso e a non politicizzare il caso. Peccato però che la questione sia marcatamente  politica e non riguardi solo l’antifascismo o le relazioni tra Italia e Ungheria, bensì il futuro dello stato di diritto nell’UE. Una cittadina europea rischia dagli 11 ai 24 anni di carcere per un reato che in Italia finirebbe davanti a un giudice di pace.

La vera questione politica è: quali strumenti ha l’UE per arginare la regressione autoritaria di uno stato membro ed evitare un potenziale effetto domino sugli standard dei diritti fondamentali dell’Europa?

Attualmente pochi e anche strumentalmente applicati, come conferma il conflitto istituzionale che si è appena aperto davanti la Corte di Giustizia Europa proprio sul sistema giudiziario ungherese.

Il 4 marzo, Roberta Metsola ha dato mandato ai servizi giuridici del Parlamento europeo di presentare un ricorso contro la Commissione per lo sblocco di 10,2 miliardi di fondi all’Ungheria avvenuto a dicembre in cambio del voto favorevole di Orban all’avvio dei negoziati di accesso nell’UE di Ucraina e Moldavia. 22 miliardi di euro del Fondo di Coesione,  erano stati bloccati per una della varie procedure di infrazione nei confronti dell’Ungheria proprio relativa alla mancata indipendenza del sistema giudiziario dall’esecutivo.

A maggio del 2023 il Parlamento ungherese aveva approvato una blanda riforma finalizzata all’ottenimento dei fondi di cui il paese ha urgente bisogno. La Commissione ha ritenuto la riforma sufficiente a un’erogazione parziale proprio nei giorni in cui Orban teneva sotto scacco i negoziati sull’Ucraina.

In attesa di vedere come evolverà il contenzioso tra Parlamento e Commissione qualche giorno fa l’Ungheria ha ricevuto l’avviso dell’ennesima procedura di infrazione per la “Legge sulla Sovranità” , approvata lo scorso dicembre, che autorizza lo Stato a indagare su persone, organizzazioni e influenze straniere sospettate di minare la sovranità del paese, con potenziali condanne fino a tre anni di carcere.

La legge entrerà in vigore il primo giugno e a quel punto anche semplici azioni solidali con Ilaria Salis su territorio ungherese potrebbero essere prese di mira dal governo.

Qual è il futuro di un’Europa che non ferma genodici e guerre, che esternalizza le frontiere trasformando il Mediterraneo in un cimitero e che non riesce più nemmeno a garantire i diritti fondamentali dei suoi cittadini e la continuità degli standard minimi richiesti ai paesi per diventare membri dell’Unione? Per questo il caso  è più politico che mai e sarà inevitabile che prosegua in Europa.