Lei è oggi tra i più interessanti guru della controcultura, quell’arcipelago di idee e movimenti che a volte guarda in cagnesco, a volte sbeffeggia ma sempre, dichiaratamente o implicitamente, combatte i modelli culturali dominanti. Un momento: “tra i più interessanti guru” non le piace. Rivendica un neutro al posto del maschile, non in forma di schwa bensì di asterisco, preferenza che ha anche un’origine sentimentale: Helena è convinta che sia stata la sua ex fidanzata Maya Checchi a introdurne l’uso in Italia prima che si diffondesse negli altri paesi, perché proviene dal sistema operativo Unix e Maya, grande programmatrice, lo prese da lì. Dunque, riformulo: Helena Velena è tra * più interessant* guru della controcultura. Molto battaglier*. E simpatic* (almeno quando non s’arrabbia, e allora diventa una furia, non consigliabile ai deboli di cuore). Si è mossa in tanti di quei campi che è quasi impossibile trovare un argomento che non abbia approfondito o qualcosa in cui non si sia buttata come protagonista, perché a lei piace agire, non soltanto pensare, per cui la si trova a manifestare, creare, produrre, argomentare e gridare, suonare e recitare un po’ ovunque nel mondo, a contatto con situazionisti e squatter così come con Presidenti della Repubblica (recentemente, quello della Lettonia) e grandi fumettisti. La inseguo tra un viaggio e l’altro, la blocco in chiacchierate di ore a giorni alterni. Chiacchierate in cui espone, in modo semplice e col tono piano e leggero dell’ovvietà, opinioni e giudizi da brivido. Un brivido sano, che come primo risultato ha quello di incrinare le certezze, e come secondo – lei lo spera, anzi ne è certa – di obbligarci a resettare l’intero sistema di pensiero da cui queste certezze sono scaturite. In particolare, è interessante ascoltare l’opinione di Helena sul transgender e cyborg, lei che forse è stata la prima in Italia a scriverne, all’inizio degli anni 90.
Parliamo di te, di Helena. Vieni registrata alla nascita come Giampaolo Giorgetti. Per molto tempo non hai voluto dire il tuo vero nome. Che male ti ha fatto il nome “Giampaolo”, che tra l’altro è la prima cosa che si trova nella tua voce su Wikipedia?
Ho fatto di tutto per farlo togliere senza riuscirci. No, non è quel nome specifico, figurati. È il fatto del nome maschile che non mi va, anche se adesso ho superato il fastidio. Mia madre creò quel nome unendo i nomi di Pier Paolo Pasolini e di Giangiacomo Feltrinelli. Io sono una loro fusione con in più, così la sento, il nome del primo Giovanni Paolo. Tutti e tre morti in modo non chiaro e i primi due anche violentemente. Sono affascinata dalle coincidenze legate alla morte. E qui si innesca la mia filosofia sugli opposti che si toccano, che devono convivere, che vanno vissuti. Tutto esiste perché esiste il suo contrario, che detto così è banale ma va sperimentato e profondamente compreso. Io dico che bisogna vivere tutto parallelamente. Ho formulato questa filosofia una ventina d’anni fa: «La teoria del (WA), la filosofia dei contrari». Cerco di veicolare questa visione soprattutto nella musica.
Tu sei anche una musicista e una cantante. Ora hai un gruppo, Tenerissimo Bagno di Sangue, che si rifà proprio alla logica WA (la musica può essere bagno di sangue e contemporaneamente tenerissima…) e si ispira alla leggenda della contessa Bartholdy, marchiata come rapitrice di vergini nel cui sangue si sarebbe fatta il bagno, ma secondo te, invece, una delle pochissime donne di potere di quel periodo che aveva una visione politica avanzata e aveva garantito diritti alle donne, per cui infamata per questo. Mi interessa una cosa: hai detto che tra poco il gruppo, che ha avuto varie sostituzioni, sarà completamente Lgbt. Ecco, perché Lgbt e non Lgbtq, Lgbtq+?
Perché dovremmo smetterla. Aggiungere costantemente lettere a questo acronimo vuol dire entrare in una trappola che è quella di creare ulteriori categorie. Non unione, ma debolezza. La bandiera solo transgender bianca con strisce azzurre e rosa che trovo orrenda (anche perché i colori sono sbagliati, dato che originariamente c’era il rosso per i maschi e il blu per le femmine), la bandiera solo lesbica (varie sfumature di rosso)… roba abominevole. La libertà di vivere la propria sessualità appartiene a tutti e trovare nuove categorie è assurdo.
Mi pare che tu sia anche contraria all’uso del termine “gay”…
La persona gay è gioiosa, è festaiola. Negli Usa “gay” è un insulto, è come dire “mollaccione”. Qui abbiamo paura della parola “frocio”. Massimo Consoli, che fu uno dei fondatori della Comunità Frocia Europea, mio maestro su molte cose e che ho sempre amato, ci teneva moltissimo a rivendicare questo termine. Il frocio ha una coscienza politica, il gay spesso no.
E invece “gender fluid” e “non binary”?
A livello tecnico non hanno senso. “Gender fluid” è sinonimo di transgender, che definisce già pienamente “una transizione tra i generi” e vuol dire che sei in transizione, magari costante. Per quanto riguarda “non binary”, siamo alla follia: tutto quello che esiste nell’universo è binario, pure in ambito elettronico dove si parte da un codice binario, quindi che fai, vai oltre la natura, l’esistente?
Tu sei stata la prima a parlare in Italia di transgenderismo, a portare il termine “transgender” nell’uso comune. Ci scrivesti anche un libro, Dal Cybersex al Transgender, pubblicato da Castelvecchi nel 1995 e poi ripubblicato più volte, ampliato.
C’erano allora i news groups di Internet che erano l’unico vero veicolo di informazioni “altre”, e attraverso quelli scoprii i collettivi punk di ambito transgender fuori dall’Italia, uno in Australia e uno a San Francisco. Partii per San Francisco e incontrai lì una persona fondamentale per me, la presidentessa del collettivo Transgender Nation, Anne Ogborn. Era una programmatrice Apple fisicamente enorme, sembrava un Buddha. Fu lei la mia guru. Mi fece una serie di test per capire se fossi in grado di cogliere davvero il significato di “transgender”, che non aveva nulla a che fare col transessualismo ma con una visione di genere di flusso. Mi coinvolse anche in un film che stava girando sul tema. All’epoca avevo i capelli lunghi fino alla schiena, le pantacalze aderentissime, la barba. Un look molto più transgender di quello che ho ora… elementi maschili e femminili fortissimi e insieme. Lei mi diede forza. In Italia conoscevo solo trans che facevano le prostitute e parlavano sempre di sesso, non avevo nulla a che fare con loro.
Sei innamorata del cyborg, è anche nel titolo di quel famoso libro, e vedi un futuro cyborg. Spiegami meglio.
Ho creato il progetto Festa Mobile delle Idee Cyborg che si basa sull’idea che dobbiamo recuperare le nostre radici (pagane, ovviamente) e contemporaneamente guardare al futuro. Il cyborg non ha genere, è la capacità del corpo di trasformarsi in qualcosa di diverso superando le problematiche legate alle differenze di genere, il gap tra uomini e donne. L’oltreumano di cui parlava Nietzsche, e che la Destra ha strumentalizzato, è questo, il superamento dell’umano, quando tu singolo essere umano potrai incontrare gli dèi, sfidarli, fare sesso con loro e anche ucciderli (cosa che già è presente in tutte le mitologie pagane). Prometeo regalò agli uomini il fuoco, ora abbiamo il fuoco 2.0, le tecnologie – compreso il nucleare – che ci permetteranno di diventare noi stessi dèi. Arriveremo così a quello stato di natura raccontato da Lucrezio e Ovidio e che corrisponde al primo Marx. Il mio progetto porterà le feste dionisiache, gratuite, per le strade, come si faceva nell’antica Grecia. Contro la violenza religiosa, il terrorismo, l’intolleranza.