A che punto è la risposta delle autorità piemontesi sull’Emergenza Pfas sollevata ben DUE mesi fa dal rapporto Greenpeace Italia circa gli elevati livelli di sostanze chimiche polifluoroalchiliche nelle acque potabili degli acquedotti pubblici di almeno diciannove comuni valsusini (e ne avevamo già scritto qui)?
E cosa è stato fatto per individuare le sorgenti di tali inquinanti, persino in zone montane… pochissimo industrializzare… senz’altro lontanissime dalle aree già notoriamente impattate da Pfas e Pfoa per la presenza di Solvay nell’alessandrino?
La risposta a queste domande, dopo due mesi di sollecitazioni da parte di una cittadinanza comprensibilmente preoccupata, è stata per il momento un Convegno in Pompa Magna al Centro Incontri del Palazzo delle Feste di Bardonecchia. Alle ore 11 di mattina di un martedì 9 aprile normalmente lavorativo, per cui di popolazione in platea ce n’era pochina…
In compenso c’era un bel po’ di ‘servizio d’ordine’ (nel senso di carabinieri in divisa, controllo a dir poco poliziesco sia agli ingressi che all’interno della sala) a ‘protezione’ dei vari rappresentati delle istituzioni presenti: il vice sindaco metropolitano Jacopo Suppo, per la SMAT Paolo Romano, Secondo Barbero per ARPA Piemonte, Loredana Devietti Goggia (Ato3 Torinese), la sindaca di Bardenecchia Chiara Rossetti, Luca Lucentini per l’Istituto Superiore di Sanità, oltre ai rappresentanti delle diverse Unioni Montane della Valli e molti altri (il convegno è durato oltre tre ore) che si sono avvicendati al microfono con copioso corredo di grafici e slides. E con il sostanziale obiettivo di confermare innanzitutto a sé stessi che, essendo da decenni in produzione per le più diverse e usuali applicazioni, i Pfas sono ormai proprio ovunque e dunque… bisogna conviverci.
E in ogni caso a) i valori riscontrati in val di Susa sono sotto controllo e comunque entro soglie accettabili; b) gli inutili allarmismi saranno presto tacitati dall’entrata in funzione dell’acquedotto collegato al lago artificiale di Rochemolle in grado di servire tutti i comuni, come l’esigua platea ha potuto visualizzare con un bel video introduttivo.
In rappresentanza della neo-nata “Associazione Acqua SiCura” è stata ammessa sul palco, non senza qualche ‘difficoltà’, una Mamma di Chiomonte, che ha letto il testo che qui riportiamo. Ma sull’argomento ritorneremo senz’altro presto in vista della prossima Pubblica Assemblea: giovedì 18 aprile, h 20.30. all’Auditorium di Avigliana.
“Vogliamo informare SMAT e le Istituzioni qui oggi presenti della nascita della Associazione L’Acqua SiCura: siamo decine di abitanti di tutti i comuni valsusini interessati dal problema di PFAS nelle acque potabili e non disposti ad accettare compromessi rispetto all’inquinamento delle acque e dell’ambiente, di cui vogliamo prenderci cura in prima persona. Non siamo disposti ad accettare che venga definita “nella norma” una situazione nella quale non secondo noi, ma secondo dati di SMAT, la concentrazione di queste sostanze ha raggiunto livelli molto più simili a quelli dei comuni inquinati dell’alessandrino, dove è presente il produttore di PFAS Solvay, piuttosto che a quelli delle altre vallate alpine o di tante aree industriali. Sembra esserci poi una disparità di gestione del problema in Piemonte, dato che nell’alessandrino, con valori pari o inferiori ai nostri, si è provveduto a un cambio di fonte di approvvigionamento delle acque potabili. Qui invece, solo rassicurazioni.
Rassicurazioni possibili solo grazie a un limite di legge di 100 nanogrammi per litro. Ma è oggi dimostrato, voi lo sapete meglio di noi ma non lo dichiarate, che questo valore limite è stato stabilito in modo generico e per compromesso, e che studi recenti dicono che già pochi nanogrammi per litro rappresentano un rischio per la salute: nel 2023 l’ Organizzazione mondiale della Sanità ha stabilito che il PFOA è “sicuramente cancerogeno” e il PFOA è proprio uno dei principali PFAS riscontrati in Valsusa. La stessa Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare ha stabilito dei limiti di assunzione di PFAS: questi limiti sono stati qui spesso superati. Un esempio? Dai dati di Smat, un bambino di Chiomonte che ha bevuto 1 solo litro di acqua potabile nel marzo 2023, ne ha assunti il doppio della dose massima settimanale. ASL e L’Istituto Superiore di Sanità cosa possono dirci su questo? Come fate a definire “sicura” da bere un’acqua con 96 o 82 nanogrammi per litro di un PFAS sicuramente cancerogeno, come nel caso di Gravere e Chiomonte? Con soli 5 nanogrammi in più diventa improvvisamente “insicura”? È il rispetto di un limite di legge o la tutela della salute quello che vi interessa? Perché oggi in Veneto, grazie a una legge regionale, si beve un’acqua che contiene nel peggiore dei casi la metà dei PFAS che qui vengono considerati “normali”? Forse perché purtroppo il veneto ha già dovuto fare i conti con danni da PFAS alla salute? La stessa direttiva che imporrà dal 2026 il limite di 100 nanogrammi impone l’obbligo di un’analisi del rischio. La stessa SMAT nel 2019 ha dichiarato che si sarebbe occupata insieme ad ASL e ARPA di analisi approfondite sui PFAS. Dove sono?
L’ origine della presenza anomala di PFAS nelle acque di un ambiente alpino, apparentemente privo di industrie produttrici o utilizzatrici, ad oggi non è stata presa in considerazione dalle istituzioni qui presenti, e chi lo ha fatto è stato dichiarato un “allarmista”. Consideriamo invece inevitabile da parte vostra l’avvio di una indagine approfondita, a partire dalle zone nelle quali valori elevati di PFAS sembrano coincidere con la presenza di cantieri e depositi di materiale di scavo per autostrade, tunnel e TAV, dato che l’utilizzo di PFAS in questo tipo di infrastrutture è documentato.
Dai dati parziali comunicati da SMAT su richiesta di Greenpeace, sappiamo che almeno 19 comuni della valle sono interessati da inquinamento da PFAS nelle acque potabili. Una situazione del tutto anomala e meritevole di indagini a detta di importanti ricercatori. Ulteriori analisi e dati sono appena stati negati sia a Greenpeace che alle amministrazioni comunali della valle, costrette dal rifiuto di SMAT alla procedura di “accesso agli atti” per poterli ottenere.
Chiediamo perché non sono stati presi in considerazione tutti questi elementi per mettere urgentemente in campo analisi rivolte all’individuazione delle fonti inquinanti. Chiediamo la pubblicazione di tutte le analisi svolte, indagini per identificare le fonti inquinanti, bonifica dei siti inquinati, mitigazione del danno attuale e prevenzione del rischio futuro. Non accetteremo più rassicurazioni generiche rispetto alla nostra salute, già smentite dai dati e dalle evidenze scientifiche che abbiamo citato, e non ci presteremo al balletto di cifre e di nanogrammi in più o in meno nelle nuove analisi, che le istituzioni qui presenti utilizzeranno per evitare di andare alla fonte del problema e risolverlo: vogliamo sapere come l’acqua della valle viene inquinata e vogliamo al più presto ZERO PFAS nelle nostre acque.”