L’Italia resta in ritardo nella formazione continua rispetto ai principali paesi europei: tra gli adulti di 25-64 anni, il tasso di partecipazione alle attività di formazione (formali o non formali) è pari a 35,7% (quasi 11 punti percentuali sotto il valore medio europeo) e colloca il nostro Paese al 21° posto nel ranking Ue27. Sono dunque lontani gli obiettivi del Consiglio europeo per il 2025 che, per i 25-64enni, fissano un minimo per il tasso di partecipazione alle attività di istruzione e formazione pari al 47%. Sono alcuni dei dati presenti nel Report dell’ISTAT dell’8 aprile scorso.
I dati del Report che riguardano i giovani continuano ad essere preoccupanti e confermano che siamo ancora in un’emergenza sociale e politica. Un quinto dei 18-21enni non si forma e non lavora, nel Mezzogiorno quasi un terzo. E’ la Generazione Neet. Tra i più giovani (18-21 anni) il 27,5% (29,7% dei maschi e 25,1% delle femmine) non è in formazione, non segue, cioè, alcun tipo di corso formale o non formale; ciò avviene nonostante il 35,6% abbia conseguito al più il diploma di scuola secondaria di I grado e meno di un quarto (23,8%) si dichiari occupato. Al Sud, la quota dei 18-21enni non in formazione sale al 35,1% e di questi appena il 15% dichiara di essere impegnato in un’attività lavorativa. Ne deriva che tra i 18-21enni quasi il 21% non si forma e non lavora e nel Mezzogiorno si sale al 29,8%. Se si considerano, invece, i ragazzi appena più grandi (22-26 anni), la quota di chi non è inserito in un percorso formativo sale al 38,3% (il 40,8% dei maschi e il 35,5% delle femmine); tra questi nel Nord circa il 70% si dichiara occupato, nel Mezzogiorno la percentuale quasi si dimezza (39,2%), portando la quota di coloro che non si formano e non lavorano al 26,1% (11,6% nel Nord e 17,5% in media nazionale). Solo l’11,1% dei 22-26enni che non si formano ha conseguito un titolo terziario almeno di I livello, il 57,3% ha conseguito un titolo di scuola secondaria di II grado e ben il 31,6% ha un titolo inferiore o nessun titolo.
Tra i giovani di 27-34 anni, infine, coloro che non sono più in formazione rappresentano la maggioranza (54,9%), con una forbice molto ampia tra Nord e Mezzogiorno (50,4% e 61,5% rispettivamente); inoltre, se nel Nord i tre quarti si dichiarano occupati, lo sono meno della metà nel Mezzogiorno. Ne deriva che la quota di coloro che non si formano e non lavorano rappresenta il 18,9% e varia tra il 12,3% nel Nord e il 30,9% nel Mezzogiorno. Il divario di genere appare molto evidente, essendo la quota delle donne che non si formano e non lavorano più che doppia rispetto a quella degli uomini (il 25,2% contro il 12,6%). Tra chi non si forma, solo il 17,6% ha conseguito un titolo terziario almeno di I livello, il 49,9% ha conseguito un titolo di scuola secondaria di II grado e ben il 32,5% ha un titolo inferiore o nessun titolo. La mancata formazione per le donne è anche la diretta conseguenza della difficile conciliazione con gli impegni familiari (17,2%) – comunque meno diffusa rispetto alla media europea (18,7%) –, oltre ai motivi economici legati ai costi troppo elevati: li indica come ragione principale il 26,2% delle donne, a fronte del 20,5% degli uomini, quote comunque entrambe superiori a quelle medie europee (14,9% e 12,2% rispettivamente).
Dai dati dell’Istat emerge come un elevato titolo di studio, anche dei genitori, faciliti la partecipazione alla formazione continua (dal 25,6% nel caso i genitori abbiano un basso livello di istruzione al 66,3% di chi ha almeno un genitore con titolo terziario) e si riduce drasticamente, per i 18-24enni, il rischio di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione (dal 24% se i genitori hanno al più un diploma di scuola secondaria di I grado al 3% se almeno uno dei genitori possiede un titolo terziario).
Un altro dato del Report che colpisce riguarda i cittadini stranieri, che restano penalizzati se arrivano in Italia dopo aver compiuto 10 anni d’età. “I nati all’estero, scrive l’ISTAT, partecipano con minore frequenza ad attività di istruzione e formazione rispetto ai nati in Italia (26,9% e 35,3% rispettivamente), soprattutto se arrivano nel nostro Paese dopo aver compiuto 10 anni di età (24,2%). Coloro che arrivano in Italia in età precoce mostrano infatti un’attitudine a partecipare analoga a quella di coloro che nascono in Italia (38,4%), evidenza che risulta confermata anche a parità di età e di livello di istruzione dei genitori.”
In una nota dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi superiori, che nei prossimi giorni manderà in libreria il Rapporto Giovani 2024 “La condizione giovanile in Italia” (ed. Il Mulino), si legge: “ L’Italia è uno tra i Paesi europei con maggiori squilibri generazionali: in termini demografici, rispetto al peso del debito pubblico e nella distribuzione delle voci della spesa sociale. Le difficoltà dei giovani nella transizione scuola-lavoro rallentano quella alla vita adulta. La fragilità dei singoli, i grandi mutamenti in atto, i limiti delle politiche pubbliche aumentano il rischio di polarizzazione tra coloro che sono capaci di cogliere nuove opportunità e altri che scivolano verso i margini. La riduzione quantitativa dei giovani fa però crescere l’attenzione nei loro confronti e con essa la consapevolezza della necessità di investire sul successo formativo e sulla solidità dell’ingresso nella vita adulta.”
Qui il Report Istat: https://www.istat.it/it/files//2024/04/Formazione-adulti-Anno2022.pdf.