Il 24 marzo 1999 la NATO dava il via all’operazione militare “Allied Force”, senza l’autorizzazione dell’ONU e con lo scopo ufficiale di mettere fine alla pulizia etnica messa in atto dal regime di Belgrado nell’allora provincia serba del Kosovo ai danni della popolazione albanese.
In Serbia, ogni 24 marzo sono organizzati eventi di ricordo, manifestazioni politiche e religiose e quest’anno per il 25° anniversario la Russia, tramite il proprio vice rappresentante permanente all’ONU Dmitry Polyansky, ha più volte chiesto che fosse tenuta una sessione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per discutere del contestato intervento militare della NATO.
La richiesta di Polyansky, il quale ha poi reso pubblica la notizia, ha fin da subito provocato l’irritazione degli altri rappresentati per i quali l’argomento è sembrato “estremamente spiacevole” e che infatti successivamente, in sede di voto dell’ordine del giorno, hanno respinto la richiesta, con 12 astenuti e solo 3 i paesi a favore (Russia, Cina e Algeria).
Nei giorni successivi il diplomatico russo ha esortato nuovamente, tramite lettera ufficiale, la presidenza giapponese del Consiglio di Sicurezza ad organizzare al più presto tale riunione e il rappresentante permanente del Giappone presso l’ONU, Yamazaki Kazuyuki, ha preso atto della richiesta, ma ha deciso di informare gli altri membri dopo le consultazioni a causa dei brevi tempi di preavviso.
Le motivazioni dietro la richiesta russa
Polyansky attende adesso una risposta ufficiale da parte del massimo organismo ONU e motiva la propria richiesta ritenendo che l’intervento militare contro la ex Jugoslavia, e la conseguente separazione del Kosovo dalla Serbia, ha rappresentato la più importante crisi nella formazione dell’attuale sistema di relazioni ed ha causato la rottura del sistema internazionale costruito nel rispetto degli Accordi di Helsinki, firmati nel 1975, anche da Stati Uniti e URSS.
La questione secondo la Russia non avrebbe soltanto carattere storico perché la situazione in Kosovo è ancora oggi all’ordine del giorno del Consiglio.
I reali obbiettivi politici dietro tale richiesta russa sono da ricercare negli eventi geopolitici degli ultimi anni.
Mosca, anche in sede internazionale, ha portato avanti una costante politica denigratoria verso i paesi occidentali e la NATO e ha utilizzato ogni argomento possibile per giustificare il proprio intervento militare in Ucraina iniziato il 24 febbraio 2022.
Non a caso, Putin ha piu’ volte utilizzato il caso del Kosovo come giustificazione dell’azione russa in Ucraina, tacendo delle evidenti differenze tra le due situazioni.
Le reazioni dei protagonisti
Tra i delusi dalla decisione del Consiglio ONU, oltre alla Russia, anche la Serbia. Il ministro degli esteri Ivica Dačić ha commentato la scelta accusando i paesi occidentali di non voler ascoltare la verità riguardo i fatti di 25 anni fa.
Dello stesso parere l’ambasciatore russo all’ONU, Vasily Nebenzya e il rappresentante cinese il quale ha ricordato come in quei giorni della primavera del 1999 anche l’ambasciata cinese a Belgrado fu colpita da bombardamento e persero la vita tre persone.
Dall’altro lato, Donika Gervalla Schwarz, omologa kosovara di Dačić, ha definito la richiesta russa come “un assurdo e inaccettabile parallelo per annettere territori” e con lei si è unito anche il rappresentante francese, apparso tra i più convinti oppositori: “La Russia utilizza in modo cinico l’intervento armato del 1999 per giustificare la sua guerra contro l’Ucraina e la politica aggressiva in Georgia nel 2008 e in Crimea nel 2014”.
Anche il portavoce degli Stati Uniti, Matthew Miller, ha commentato il voto definendolo come “del tutto prevedibile”. A suo parere la Russia ha fatto perdere tempo al Consiglio cercando di costringerlo ad adottare i propri provvedimenti ed ha aggiunto che gli Stati Uniti non hanno nulla da nascondere riguardo al loro sostegno all’operazione NATO del 1999, ma non sono disponibili a “sostenere un incontro che strumentalizza in modo così palese i tragici eventi del secolo scorso per promuovere una campagna di propaganda”.
Operazione “Allied Force”: tra false notizie e dubbi di legittimità
Da molti anni si discute attorno alla legittimità dell’operazione militare della NATO del 1999. Gli alleati NATO, Italia compresa, hanno sempre sostenuto che tale operazione si fosse resa necessaria per fermare i massacri in corso in Kosovo che secondo le fonti più accreditate costarono la vita a circa 13.000 civili, di cui 10.000 di nazionalità albanese, e costrinsero circa 800.000 persone ad abbandonare la propria casa.
La cosiddetta goccia che fece traboccare il vaso e motivò l’intervento militare della NATO fu il massacro messo in atto dalle forze speciali serbe nel villaggio di Reçak e che costò la vita a 45 civili inermi tra cui un bambino.
La Russia e la Serbia ritengono invece l’operazione una aggressione ingiustificata verso un paese terzo.
I bombardamenti delle principali città serbe, compresa la capitale Belgrado, durarono 78 giorni e costarono la vita a circa 2500 persone.
La Russia, con una mossa azzardata e priva di fondamenti, paragona il Kosovo di fine millennio con l’Ucraina del 2022, usando le vicende del passato per motivazioni politiche del presente.
Tra falsità e preconcetti ideologici ancora una volta nel Palazzo di Vetro a New York non si è riusciti a costruire un dialogo tra le parti, ma si è invece rimasti prigionieri della retorica e della mera politica.