L’Alta Corte di Londra ha concesso ieri a Julian Assange la possibilità di presentare un ulteriore appello alla giustizia britannica contro la sua estradizione negli Stati Uniti. Ma solo in apparenza. In realtà, i giudici rimandano la loro decisione definitiva al 20 maggio, cioè:
- Dopo aver studiato le garanzie per i diritti umani di Assange che gli USA dovranno presentare entro il 16 aprile
- Dopo aver esaminato le obiezioni all’attendibilità di quelle garanzie che gli avvocati di Julian dovranno presentare entro il 30 aprile
- Infine, dopo aver esaminato le critiche a quelle obiezioni che gli USA dovranno poi depositare entro il 14 maggio.
Intanto, con la loro sentenza di ieri, i giudici Dame Victoria Sharp e Jeremy Johnson hanno spazzato via sei delle nove obiezioni alla richiesta statunitense di estradare Assange formulate dai suoi avvocati. Per esempio, non sarebbe valida l’obiezione che l’estradizione sarebbe politica. Ricordiamo che le estradizioni politiche sono proibite proprio dalla Convenzione sull’estradizione tra gli USA e il Regno Unito. Perché allora non sarebbe valida questa obiezione?
I giudici hanno fatto una distinzione tra “idee politiche” (è proibito estradare un individuo per le sue idee politiche) e “azioni a sfondo politico” che sarebbero sempre suscettibili di estradizione. Quindi, per Sharp e Johnson, la diffusione degli Afghan War Logs e dei Guantanamo files da parte di Assange sarebbero sì azioni politiche, ma non la professione di un’idea politica. Da non credere: Julian avrebbe agito in un vuoto ideologico!
Spazzata via anche l’obiezione più pesante contro la richiesta di estradizione USA, ovvero il pur documentato complotto, studiato dalla CIA, di rapire e/o assassinare Assange mentre era rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Non si può consegnare un imputato nelle mani di chi ha cercato di ucciderlo, dicono tutte le convenzioni sull’estradizione. Invece, per i giudici britannici l’esistenza di un complotto omicida non sarebbe stata sufficientemente dimostrata: in pratica, non bastano le testimonianze dei 30 whistleblower della CIA di cui all’indagine di Yahoo News, perché potrebbero essere illazioni. E comunque, per Sharp e Johnson, anche se fosse vero che gli Stati Uniti hanno complottato per uccidere Julian dentro l’ambasciata ecuadoriana, quando l’avranno tra le mani dopo l’estradizione non sarà più necessario ucciderlo, quindi quel pericolo non esisterebbe concretamente più. Una giustificazione incredibile!
E che dire dell’obiezione cardine sul piano legale, ovvero il venir meno della segretezza delle comunicazioni tra l’imputato e i suoi avvocati? Nel caso di Julian, un processo in corso in Spagna dimostra che l’agenzia spagnola incaricata di proteggere l’ambasciata dell’Ecurador in realtà spiava Julian, registrava i colloqui con i suoi avvocati e trasmetteva quelle registrazioni alla CIA, vale a dire proprio nel Paese che ora chiede l’estradizione. Quale più chiara violazione del privilegio cliente-avvocato garantito in tutti i Paesi del mondo? Ma non per i giudici britannici, in quanto il processo spagnolo è tuttora in corso e quindi, non essendo concluso, non può essere tenuto in considerazione. Puro arrampicarsi sugli specchi. E così di seguito per le altre obiezioni di Julian alla sua estradizione.
I giudici hanno dato credito soltanto alle rimanenti tre obiezioni, ovvero:
- La mancanza di garanzie contro un’eventuale sentenza di pena di morte da parte del tribunale statunitense che processerebbe Assange dopo la sua estradizione (le estradizioni sono proibite se l’imputato rischia la pena di morte nel Paese richiedente)
- La mancanza di garanzie che Julian, per difendersi, avrà il diritto di invocare il primo emendamento alla Costituzione statunitense (il diritto alla libera espressione) in quanto è cittadino australiano (le estradizioni sono proibite se l’imputato rischia di non godere degli stessi diritti dei cittadini del Paese richiedente)
- La mancanza di garanzie che Julian non subirà discriminazioni durante il futuro ipotetico processo proprio in quanto non può invocare la cittadinanza USA come protezione (una ripetizione, in qualche maniera, del secondo punto, ma in termini più ampi).
Tre mancanze di garanzie, dunque, che per i giudici Sharp e Johnson invaliderebbero la richiesta di estradizione formulato dal Department of Justice oltre-atlantico. Forse.
Infatti il condizionale è d’obbligo, giacché, come già spiegato all’inizio, i giudici hanno concesso agli Stati Uniti tre settimane di tempo per fornire proprio le garanzie mancanti. Dopo di che (e dopo aver scartato le contestazioni a queste presunte garanzie che la difesa sicuramente farà, come l’Alta Corte ha già fatto in una situazione analoga nel dicembre del 2021), i giudici potranno negare la validità delle tre rimanenti obiezioni della difesa e quindi rigettare la richiesta di Julian di riaprire il suo caso. L’estradizione potrebbe avvenire allora immediatamente – c’è già un aereo della CIA che attende sulla pista di un aeroporto militare vicino a Londra.
Questa è la previsione più pessimista.
Esiste anche, naturalmente, una previsione ottimista – e l’ha formulata Halo Benson, attivista statunitense di Assange Collective. “Le tre rimanenti obiezioni non potranno essere facilmente spazzate via come le altre,” sostiene Benson. “Questo perché ci sono già dichiarazioni da parte delle autorità statunitensi secondo le quali Assange non potrà invocare il Primo Emendamento non essendo cittadino americano. In quanto al rischio di pena di morte, gli avvocati statunitensi hanno già detto durante l’udienza del 21 febbraio che non erano in grado di escludere quella possibilità. Perciò – conclude Benson – nell’impossibilità di avere le garanzie richieste dalla Corte, rimangono in piedi le tre rimanenti obiezioni all’estradizione e il 20 maggio i giudici decideranno di consentire la riapertura del caso per poter dibattere più approfonditamente proprio questi tre punti. Se essi continueranno a rimanere in piedi dopo questo ulteriore dibattimento, l’estradizione verrà rifiutata e Julian potrà essere scarcerato.”
Staremo a vedere. Rimane fermo che, come già detto tante volte, è fondamentale mantenere alta la pressione dell’opinione pubblica sulle autorità statunitensi, britanniche e australiane. Stella Assange lo ha ripetuto anche ieri: “Julian è un prigioniero politico e le accuse nei suoi confronti vanno annullate.”