Durante il mese di marzo, a Neve Shalom Wahat al Salam è stata creata la ‘Bereavement tent’, ‘una tenda del lutto’ immaginata per offrire uno spazio ed un tempo dedicati alla condivisione della perdita, del lutto e della paura, che in questi mesi sono diventate compagne fedeli dei residenti del villaggio e, allargando lo sguardo, della regione.
Nariya Mark è nata e cresciuta a NSWAS, appartiene alla cosiddetta ‘seconda generazione’, ai figli cioè dei primi abitanti di NSWAS. Oggi abita lì con la sua famiglia.
“Dal 7 ottobre ci siamo incontrati in colloqui comunitari per parlare della situazione, cercando di tenere unita la comunità e di condividere le convinzioni e i sentimenti degli altri in questo momento molto difficile. Ho trovato che durante i colloqui erano dominanti due cose principali. Una era la paura dei palestinesi di esprimersi a causa della persecuzione della polizia. La paura si esprimeva anche all’interno della comunità. Questa è una situazione davvero estrema e preoccupante: il governo è così potente da colpire questa comunità e non c’è abbastanza fiducia tra noi e non ci sentiamo tutti sicuri di dire qualunque cosa crediamo e pensiamo. L’altra era il desiderio di agire, a nome della comunità, contro la guerra.”
Dall’inizio della guerra la libertà di espressione ha subito una sostanziale contrazione in Israele. Alcuni dati raccontano delle conseguenze subite da parte di chi (sia ebreo che arabo) si sia espresso contro la violenza israeliana su Gaza: alcuni hanno subito procedimenti disciplinari sul lavoro anche solo per un like sui social media, altri sono stati minacciati di persona.
Continua Neriya: “Il Villaggio ha un gruppo WhatsApp molto attivo, anche politicamente maturo: a volte semplicemente ci si congratula con i propri vicini per un matrimonio o la nascita di un bambino, a volte si condivide il dolore per qualcuno vicino che muore. Circa un mese dopo l’inizio della guerra, una abitante del villaggio ha perso più di 40 familiari a Gaza. Nessuno ha scritto nulla sul gruppo WhatsApp. Non perché la gente non volesse piangere con lei, ma per paura di dire qualcosa che potesse suonare come un sostegno a Gaza e che potesse metterla in pericolo. Non poteva seppellire i morti, non poteva parlarne in pubblico e la sua famiglia non poteva aprire una tenda per il lutto. Doveva continuare la sua vita quotidiana come se nulla fosse successo. Ultimamente un altro abitante del villaggio ha perso 27 familiari. Ora le persone non sono più in silenzio come prima e tutti soffriamo con lui e con la sua famiglia. Quando sono andata a piangere la famiglia, ho appreso che questa non era una comune tenda per il lutto, ma solo un invito a visitare e condividere il dolore. Chiunque apra una tenda del lutto corre il rischio di essere indagato dalla polizia per ‘potenziale’ sostegno ad Hamas. È stato allora che ho capito che aprire una tenda del lutto nel villaggio, ‘comunitaria’ di questi tempi, è considerata un’azione radicale.”
Per ‘tenda per il lutto’ si intende l’usanza praticata nella tradizione ebraica di dedicare una settimana, la ‘SHIVA’, che appunto significa ‘sette’ in ebraico, a congedarsi dal familiare morto. Nella tradizione musulmana al lutto vengono dedicati tre giorni. È un momento di vicinanza, di condivisione, di preghiera e di ricordo, che permette di sostare nella perdita e di ricevere l’affetto di chi è vicino.
“L’idea di aprire una tenda del lutto per tutti e tutte è nata dal desiderio di agire, di alzare la voce contro questa guerra e di dare un palcoscenico e un luogo alle persone che hanno perso famiglia e amici nel sud di Israele e a Gaza per parlare della loro perdita e per tutti gli altri di stare insieme ed ascoltare.
Abbiamo deciso di appendere un cartello all’ingresso del villaggio, che esprime resistenza alla guerra, con sullo sfondo migliaia di nomi di vittime da Gaza e dal sud di Israele, in ebraico e arabo.
Sono stati pensati due momenti di incontro comunitario alla Tenda del lutto: un pomeriggio e una sera.
Abbiamo chiesto a persone specifiche che conoscevamo che avevano perso parenti e ad altri amici di venire e condividere tutto ciò che desideravano condividere. Ci siamo seduti in cerchio e abbiamo avuto un moderatore. Nel primo circolo ha parlato un medico che da anni andava regolarmente a curare a Gaza e lì ha molti contatti e ha perso molti colleghi e amici. Ha parlato della situazione sanitaria, di quanto fosse grave prima della guerra e di quanto sia estrema oggi. Un altro membro che ha parlato vive e lavora nella zona di Gaza e ha perso buoni amici e colleghi*. La sera dopo abbiamo avuto i due abitanti del villaggio che avevano perso così tanti familiari a parlare nel cerchio. La maggior parte del villaggio ha saputo della scomparsa dei primi solo questa sera. Lei ha parlato dei suoi ricordi di bambina in visita alla sua famiglia, di Gaza come di un bellissimo e divertente luogo di vacanza dove non vedeva l’ora di andare. Ha parlato della sua ricca famiglia che durante l’assedio ha perso tutto e aveva bisogno del sostegno economico dei propri familiari e ha parlato della tragedia che, a quanto pare, ad oggi ha raggiunto oltre 100 morti solo tra i suoi parenti. Ha continuato e ha condiviso quanto sia difficile per lei sul posto di lavoro, dove non esiste un ambiente sicuro in cui possa esprimere anche la sua sofferenza.
Le persone sono state molto attente e ci è sembrato un passo molto importante per cercare di colmare la distanza che si avverte in questi giorni nella comunità. Appendere un cartello all’ingresso del villaggio è un piccolo gesto, ma è un modo per esprimere la nostra resistenza nel villaggio ed è importante per molte persone qui.
Dopo l’evento la donna che ha parlato mi ha scritto che aveva condiviso cose che sentiva la stavano soffocando da quando era iniziata la guerra e che l’incontro è stato molto significativo per lei e molto umano.”
Neve Shalom Wahat al-Salam in questi mesi ha partecipato a differenti iniziative del ‘campo della pace’ per chiedere il cessate il fuoco e la ripresa del cammino di ricerca di una soluzione non violenta.
La convivenza a NSWAS, pur nella fatica di una tensione emotiva senza eguali nella storia del paese e del villaggio, si conferma vitale e generativa. Non si tratta di un dolore ‘colorato’, la sofferenza attraversa gli animi degli abitanti del villaggio in maniera indifferenziata rispetto all’appartenenza nazionale o religiosa. Ne è un esempio la perdita di Vivian Silver, un’attivista ebrea israeliana che molti al villaggio hanno considerato una maestra di pace, una compagna di impegno e di lotta; nelle prime settimane di ottobre si pensava fosse stata rapita, si è poi invece scoperto che è stata uccisa nel suo kibbutz proprio il 7 ottobre. Tutti e tutte ne hanno pianto l’uccisione. Questa comunione nel dolore è un passaggio coraggioso che racconta l’umanità aperta, ferita, ma non sconfitta.
Neve Shalom Wāħat as-Salām, è un villaggio cooperativo situato a ovest di Gerusalemme, in Israele. Fondato nel 1972 da Bruno Hussar, questo villaggio è un luogo di convivenza democratica ed equa tra arabi palestinesi ed ebrei israeliani, tutti di cittadinanza israeliana. I nomi “Neve Shalom” in ebraico e “Wāħat as-Salām” in arabo significano entrambi “Oasi di pace” . Al villaggio da sempre si dedica attenzione all’istruzione e all’educazione non formale, progettati per diffondere i propri principi: lì è nata la prima scuola binazionale e bilingue del Paese, una Scuola per la pace che si occupa di analisi e trasformazione del conflitto, un Centro spirituale pluralista di comunità in cui le tradizioni religiose sono veicolo di conoscenza reciproca e dialogo. Da alcuni anni, grazie a Gariwo, a NSWAS esiste un Giardino dei soccorritori. In Italia, l’Associazione italiana Amici di Neve Shalom Wahat al Salam si occupa di diffondere i valori del villaggio e di fare raccolta fondi per sostenerne le attività. È stata attivata una raccolta fondi per il Programma di Aiuti umanitari, che prevede l’acquisto di materiale sanitario da inviare nella Striscia di Gaza non appena sarà possibile.
*In questo caso si fa riferimento a vittime israeliane dell’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Fonte: Comunicato di Amici NSWAS