La persecuzione delle navi umanitarie da parte delle autorità italiane continua: la Sea Watch 5 è stata colpita da un fermo amministrativo di venti giorni che l’ha bloccata nel porto siciliano di Pozzallo e alla Sea Eye è stata applicata a Reggio Calabria la recidiva, per la prima volta dall’introduzione del decreto Piantedosi, con una detenzione di due mesi e il rischio della confisca della nave. Ora tocca alla Geo Barents di Medici senza Frontiere, bloccata per venti giorni a Carrara, un provvedimento contro cui farà ricorso. E’ la ventesima volta che una nave di una Ong viene fermata.
La “motivazione” è sempre la stessa: non aver obbedito ai libici, nonostante una recente sentenza della Cassazione abbia ribadito che la Libia è un “porto non sicuro”, dove non si possono riportare i migranti in fuga da condizioni terribili. Proprio quello che succede con i respingimenti illegali operati dalle motovedette della Guardia Costiera libica, lautamente finanziate dall’Italia e dall’Unione Europea. Queste ormai non si limitano più alle minacce contro le navi di soccorso, ma in varie occasioni sono arrivate a sparare contro gli equipaggi e i migranti.
I ricorsi delle Ong contro questi provvedimenti ingiusti sono stati accolti in due occasioni: il tribunale di Brindisi ha sospeso il fermo amministrativo della Ocean Viking di SOS Mediterranee, con la motivazione che questo “violava il diritto di esercitare il soccorso in mare” e quello di Crotone ha liberato la Humanity 1 di SOS Humanity, sostenendo che il fermo costituiva una “compromissione dello svolgimento di indifferibili attività di carattere umanitario”.
Le dichiarazioni di Fulvia Conte, responsabile dei soccorsi di Medici Senza Frontiere, riassumono una situazione sempre più illegittima e preoccupante: “La Guardia Costiera Libica, finanziata dall’Italia e dalla UE, mette in pericolo la vita delle persone in mare e cerca di fermare le operazioni di salvataggio della società civile.
Vediamo un accanimento contro le ONG. Si vuole fermare chi, al contrario degli Stati costieri, cerca di garantire la vita delle persone in mare e le missioni di ricerca e soccorso, tra l’altro testimoniando la costante e deliberata violazione del diritto internazionale e di quegli stessi trattati che anche l’Italia ha firmato”.