L’Organizzazione Mondiale della Sanità invita a considerare la violenza come una sorta di “piramide” (WHO, 2014) il cui vertice può essere rappresentato dalle morti e dagli esiti acuti, più facilmente visibili e documentabili dalle statistiche ufficiali. Tuttavia, sotto l’apice della piramide si estendono i livelli meno facilmente visibili e documentabili ufficialmente, quelli rappresentati dalle sopravvissute e dai sopravvissuti della violenza e che riguardano una fetta molto più ampia della popolazione. Se consideriamo le forme di violenza di genere che possono emergere più frequentemente nei luoghi di lavoro, osserviamo poi come queste possano essere di carattere ancora più ambiguo e sfuggente; rappresentano infatti una quota di “sommerso” rilevante e che difficilmente emerge, come detto a causa di stereotipi che molto spesso permeano i luoghi di lavoro con livelli anche elevati di tossicità per le donne. Il lavoro non è dunque un’esperienza sicura. E tanto più si lavora, si fa carriera, tanto più si mostra talento, assertività, creatività, tanto più vengono ricoperte posizioni e ruoli cruciali, tanto più discriminazione, violenza e molestie di genere appaiono.
Il luogo di lavoro per una donna è quindi troppo spesso un luogo di violenza: due donne su cinque hanno subito contatti fisici indesiderati e spesso ad essere molestate sono proprio le donne ai vertici aziendali. Questo è uno dei dati della “Survey L.E.I. (Lavoro, Equità, Inclusione) 2024” della Fondazione Libellula https://www.fondazionelibellula.com/it/, il primo network di aziende unite contro la violenza sulle donne, dal titolo “Ti Tocca”, un titolo scelto – sottolinea la Fondazione – non solo per porre attenzione su questo dato preoccupante, ma anche perché, ora che lo sai, “ti tocca” prenderne la responsabilità.
Un’indagine condotta tra dicembre 2023 e gennaio 2024, che ha coinvolto 11.201 donne e fatto rilevare dati allarmanti circa la violenza di genere sul posto di lavoro: molestie, allusioni, complimenti indesiderati e molto altro, con il 40% delle donne che ha subito contatti fisici. Circa sette donne su dieci si sono dichiarate vittime di molestie, avendo ricevuto complimenti, allusioni e osservazioni sul proprio corpo che le hanno messe a disagio. Questo stesso 70% del campione raccolto dall’indagine ha dichiarato di aver ascoltato battute sessiste o volgari, rivolte a loro stesse o ad altre donne. Si tratta, inoltre, di un’esperienza sperimentata dalle lavoratrici che sostengono di non avere un partner stabile e che lavorano in aziende medio-piccole (inferiori a 50 dipendenti). Più di sei su dieci sentono circolare l’idea che una donna che fa carriera ha usato la leva della seduzione per ottenere i suoi obiettivi. La percentuale aumenta all’aumentare dell’età di chi risponde al sondaggio. Più di uno su due sente dire poi che le donne non hanno competenze da leader. Quasi uno su due sente che in generale sono meno competenti degli uomini. I settori dove capita più spesso sono quelli della Comunicazione/Marketing, il settore Legale, la Sanità e il Turismo/Ristorazione. Sei donne su dieci non vengono chiamate col titolo professionale, ma signora/signorina/ragazza. Chi non ha figli/e e chi lavora in aziende sotto i/le 49 dipendenti sperimenta più frequentemente questa situazione, insieme alle imprenditrici e alle libere professioniste. Più di una su due viene interrotta frequentemente o meno ascoltata del collega uomo durante una riunione o un confronto. Questa pratica è così diffusa che le hanno dato un nome: MANTERRUPTING (da “man”, uomo, “interrupting”, interrompere).
Per paura di incorrere in commenti o attenzioni indesiderate sul proprio corpo, quasi una donna su due modifica inoltre il proprio abbigliamento. Tale comportamento è più frequente tra le più giovani, chi non ha figli/e, chi non ha un/a partner stabile (o ce l’ha ma non convive) e tra chi dichiara di essere pansessuale o bisessuale. E per sentirsi più sicura di se stessa, il 64% cambia il proprio abbigliamento. Non è dato sapere quanto questa modifica sia influenzata dagli atteggiamenti di depotenziamento menzionati prima.
Ancora sembra lontana la genitorialità condivisa: la gestione del/la figlio/a è perlopiù in carico alla donna. Come le madri, anche il 76% delle caregiver si sente rallentata. La fascia d’età che presenta percentuali maggiori di risposte positive è quella tra i 30 e i 44 anni. Rispetto però ad altre ricerche più specifiche sulla questione, il 92% del campione analizzato da Libellula dichiara di occuparsi in autonomia della gestione delle proprie finanze e ben l’89% possiede un conto corrente a sé intestato. Tutto bello, ma c’è ancora da lavorare sull’empowerment e sulla consapevolezza, perché quasi una donna su due non ha mai chiesto un aumento di stipendio e una lavoratrice su tre ritiene che sia l’azienda a dover fare queste proposte
Se si vuol cercare di prevenire o evitare che nella realtà ove si lavora capitino episodi di discriminazioni, molestie o violenza, conclude la ricerca della Fondazione Libellula, occorre chiedere che: vengano attuati progetti di sensibilizzazione e formazione per tutto il personale su come riconoscere gli stereotipi e le discriminazioni che abbiamo interiorizzato e su come queste possano tramutarsi in micro-aggressioni più o meno consapevoli; informarsi sugli strumenti a disposizione in azienda per combattere discriminazioni, molestie o violenza; far sentire il proprio sostegno a una neo-mamma che ritorna al lavoro dopo il congedo di maternità e fare lo stesso con un neo-papà; proporre un’attività per supportare la genitorialità condivisa; essere parte attiva del cambiamento, cercando di formarsi su queste tematiche per diventare ambassador.
Qui per scaricare la ricerca: https://www.fondazionelibellula.com/it/ebook.html.