Quattro catanesi a Bruxelles e a Colonia – no non è l’inizio di una storia (o di una barzelletta) – per approfondire e confrontarsi sulla “questione curda” e sulla inaccettabile detenzione del leader politico Abdullah (Apo) Öcalan, ristretto in un carcere di sicurezza turco dal 1999, di cui né i familiari, né gli avvocati hanno notizie da quasi tre anni.
In premessa, va ricordato che il nostro Paese ha un debito nei confronti di Öcalan, poiché fu il governo D’Alema a indurlo a lasciare l’Italia, nonostante il processo per il riconoscimento del diritto di asilo fosse in corso. Ocalan, giunto in Kenya, venne rapito da agenti segreti turchi per essere, successivamente, recluso nel carcere di Imrali, dove è ancora detenuto.
Il 16 febbraio 2024, presso il Parlamento Europeo, si è svolta una conferenza internazionale sui prigionieri politici in Turchia e sul “cammino verso la libertà e la pace”.
“Patrons” dell’iniziativa: Shirin Ebadi, avvocata iraniana Nobel per la pace; Leyla Zana, prima donna curda a essere eletta al parlamento turco; Noam Chomsky MIT USA e Bianca Jagger, Human Rights Foundation.
Il tema dei prigionieri politici non può essere separato dalle riflessioni sui problemi dello stato nazione, della pace e della guerra elaborate dal movimento curdo.
La popolazione curda è distribuita tra quattro Stati-nazione: Siria, Turchia, Iran e Iraq. Ma l’obiettivo condiviso non è quello di dare vita a un nuovo, e autonomo, stato nazionale, bensì di permettere ai vari popoli presenti in quei territori (yezidi, armeni, siriaci e arabi) di auto-organizzarsi e convivere. Un’idea negata, in particolare, dalla Turchia, con la connivenza degli Stati occidentali e delle organizzazioni internazionali.
Il che, come ha sottolineato Abha Bhaiya (1 Billion Rising, India) rappresenta un enorme ostacolo per costruire percorsi di pace e di giustizia sociale, necessari per individuare un nuovo orizzonte di civiltà, fondato su tre pilastri: la democrazia diretta, la liberazione delle donne e l’ecologia. In particolare, l’oppressione del genere femminile viene definita da Öcalan come “la prima colonia dell’uomo”. Conseguentemente, una società può essere democratica soltanto se le donne partecipano attivamente alla sua formazione e si organizzano in tutte le aree della vita.
Non a caso Paolo Ferrero (ex Ministro della solidarietà sociale), paragonando Öcalan a Gramsci – per le tremende condizioni di reclusione – ha ricordato che la proposta del confederalismo democratico (una democrazia senza stato)“ apre nuovi territori di pensiero”.
Malgrado queste elaborazioni e, in Rojava, lo sviluppo delle comuni, assemblee popolari per la democrazia diretta, come hanno ricordato Elisabeth Decrey (ex deputata ginevrina) e Walter Baier (Presidente del Partito della Sinistra Europea), le organizzazioni democratiche del popolo curdo, nonostante l’enorme contributo dato nella lotta contro l’Isis, continuano a essere definite terroriste, mentre il governo turco, malgrado le condanne internazionali, prosegue indisturbato nella sua politica repressiva.
Una vera e propria politica del “doppio standard”. Ovvero l’applicazione di due pesi e due misure in rapporto ai soggetti che violano la legalità internazionale: Putin viene condannato, Netanyahu non viene incriminato, Erdogan prosegue indisturbato.
Rezan Sarica (Collegio di difesa di Öcalan) ha ricordato che “Apo” è detenuto in una condizione di totale isolamento – privato persino del diritto di visita – in un carcere che si trova in un’isola di difficile accesso. Tutto ciò nonostante la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia stabilito che la sentenza inflitta a Öcalan ha violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (nessuno può essere sottoposto a tortura o trattamenti degradanti). L’avvocato ha, infine, concluso denunciando le connivenze e la subordinazione dei governi europei alla Turchia, che continua impunemente nella negazione dei diritti civili più elementari.
Tanti gli interventi dei vari esponenti politici e della società civile, provenienti soprattutto da paesi europei. Gianni Piazza (Università di Catania) e Nino De Cristofaro (Cobas) hanno sottolineato come la questione curda non sia sufficientemente conosciuta, ma quando gli studenti entrano in contatto con queste problematiche ne colgono l’importanza e sono immediatamente disponibili all’approfondimento. Hanno, quindi, sollecitato un particolare impegno del mondo della formazione per contribuire attivamente alla mobilitazione per i diritti del popolo curdo. Hanno anche suggerito la promozione di una “staffetta/carovana” che attraversi i principali paesi europei, con l’obiettivo di “ripudiare” le guerre in corso e indicare la necessità di un nuovo ordine internazionale, nel quale il popolo curdo possa autodeterminarsi nelle forme che riterrà più opportune.
Il giorno successivo, si è svolto un enorme corteo a Colonia, con manifestanti delle comunità curde provenienti da tutta Europa, ma anche con la presenza di tanti “internazionalisti”, in numero decisamente maggiore dei partecipanti all’iniziativa di Bruxelles. Un corteo lungo più di cinque chilometri, una comunità, un popolo, in marcia. Libertà per il popolo curdo e libertà per Ocalan, i due slogan più gridati.