Le motivazioni dei più recenti provvedimenti di fermo amministrativo inflitti alle navi delle ONG che operano attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale si basano sulla violazione del decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023 e delle conseguenti disposizioni del centro di coordinamento della Guardia costiera di Roma (IMRCC) che dopo le prime chiamate di soccorso avrebbe comunicato ai comandanti delle navi umanitarie di rivolgersi alla “competente” Centrale di coordinamento della sedicente Guardia costiera “libica”(JRCC), se non alla Centrale di coordinamento tunisina, quando l’area dei soccorsi si trovava più vicino al limite delle acque territoriali tunisine. In qualche provvedimento di fermo amministrativo si arriva ad ipotizzare che gli interventi di soccorso avrebbero messo a rischio i naufraghi, assumendo in modo evidente la stessa valutazione fornita dai libici, al termine di interventi in acque internazionali nei quali per interrompere le attività di ricerca e salvataggio delle ONG avevano fatto ricorso all’uso delle armi, ed avevano determinato situazioni di panico con conseguenze mortali.

Sullo sfondo delle prassi di fermo amministrativo delle navi delle ONG che non obbediscono al coordinamento delle autorità libiche si colloca la complicità dell’Unione europea che sostiene economicamente la Guardia costiera libica, curandone da anni la formazione, e agevola con gli assetti aerei di Frontex le intercettazioni dei barconi in fuga verso l’Europa, su quella rotta del Mediterraneo centrale che rimane l’unico canale di ingresso per i migranti abusati e intrappolati in Libia. Come se il contrasto dell’immigrazione clandestina che costituisce la base del coordinamento operativo con le autorità libiche potesse cancellare gli obblighi di ricerca e soccorso, fino allo sbarco in un porto sicuro (place of safetyPOS) imposti a Frontex, ed agli Stati europei ospitanti, dunque anche all’Italia, dal Regolamento europeo n.656 del 2014.

I rapporti elaborati dalle principali agenzie delle Nazioni Unite (OIM, UNHCR) e le ispezioni dei rappresentanti della missione UNSMIL dimostrano nel corso degli anni una persistente violazione dei diritti umani delle persone migranti intrappolate in Libia, durante i loro tentativi di transito verso l’Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale. Quella che è diventata la rotta migratoria più letale del mondo. Il quadro attuale della situazione dei migranti in Libia, fornito dalle Nazioni Unite ancora alla fine dello scorso anno, conferma che la situazione di gravi e diffuse violazioni dei diritti umani, rilevata dalla Corte di Cassazione nella pronuncia sul caso ASSO 28, che si riferiva al 2018, persiste ancora oggi.

Non basta impugnare i provvedimenti di fermo amministrativo che sanzionano le navi umanitarie che non si sono fatte coordinare dalle autorità libiche e che hanno condotto i naufraghi soccorsi in acque internazionali verso un porto sicuro che nè la Libia, nè la Tunisia potevano garantire. Occorre denunciare a livello internazionale tutte quelle autorità e quelle centrali di coordinamento che collaborando nelle intercettazioni in mare delegate alle autorità libiche si rendono complici dei trattamenti inumani o degradanti riservati alle persone bloccate in acque internazionali e riportate in territorio libico. Vanno altresì denunciate tutte le responsabilità istituzionali nei casi di omessa o ritardata attività di ricerca e salvataggio (SAR) derivante dalla mancata risposta alle chiamate di soccorso.

Si può anche ritenere che quando le centrali di coordinamento di Frontex o le autorità italiane ospitanti i mezzi di Frontex, comunichino con i libici la presenza di imbarcazioni tracciate in acque internazionali, all’interno della zona SAR “libica” queste autorità esercitino una giurisdizione effettiva sulle persone che sono a bordo dei barconi intercettati, perchè ne determinano la sorte, e prima di quel tracciamento non vi era alcuna autorità statale che potesse esercitare su di loro la propria giurisdizione.

Non si può ammettere che per il gioco incrociato del riconoscimento di enormi zone SAR attribuite per ragioni politiche ed economiche alla Libia (ed a Malta), con gli accordi bilaterali che legano questi paesi tra loro ed all’Italia, ci siano persone abbandonate in acque internazionali su imbarcazioni fatiscenti prive di bandiera, in situazione di grave pericolo (distress), sottratte a qualsiasi giurisdizione, dunque persone i cui diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, non potrebbero trovare tutela. Persone private di ogni diritto, persino del diritto alla vita, come del diritto al soccorso, senza che ci sia nessun responsabile per la loro perdita. Fino al punto che chi osa soccorrerle e chiede di sbarcarle in un porto sicuro, testimone di una sistematica omissione di soccorso da parte degli Stati costieri, rischia di essere sanzionato.

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