L’Unione Europea, con 37,5 milioni di residenti stranieri, si conferma come una destinazione privilegiata per i migranti internazionali, portatori di una vasta gamma di talenti e competenze sui quali spesso poggiano interessanti aspirazioni imprenditoriali. Le imprese gestite dagli stranieri non solo contribuiscono in modo significativo alla crescita economica dell’UE, peraltro esercitando un impatto “per induzione” sulla generazione di ulteriori imprese e opportunità occupazionali, ma arricchiscono anche il tessuto sociale e culturale del continente, fungendo in molti casi da “ponti transnazionali” tra Paesi di arrivo e di origine, e consentendo così fruttuosi scambi e intrecci interculturali. Tuttavia, nonostante il notevole potenziale imprenditoriale presente nella variegata popolazione immigrata dell’Ue, l’assenza di misure di sostegno mirate e la conseguente permanenza di ostacoli di natura giuridica, culturale e linguistica frenano il pieno sviluppo dell’imprenditorialità di origine straniera. È quanto si legge nel recente Rapporto Immigrazione e Imprenditoria curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS, in collaborazione con CNA.
In Italia, dove si concentra un sesto dei lavoratori autonomi stranieri rilevati nell’Ue, il Rapporto evidenzia una ininterrotta espansione dell’imprenditoria immigrata, anche in periodi di crisi e in controtendenza con l’andamento delle imprese autoctone, tendenti al ristagno o addirittura alla contrazione. Nel periodo 2011-2022, mentre le imprese gestite da italiani hanno conosciuto una flessione del 5,0%, quelle condotte da migranti hanno registrato un aumento di ben il 42,7%. Questo trend ha portato il numero totale di imprese gestite da migranti a 647.797 nel 2022, con una incidenza 10,8% del totale nazionale, a fronte del modesto 7,4% registrato nel 2011. L’imprenditorialità immigrata si conferma quindi non solo come un pilastro dell’economia italiana, ma anche come un esempio di dinamismo e resilienza, contribuendo in modo sostanziale al progresso sociale ed economico del Paese. La loro costante crescita, mai interrotta neppure in anni di crisi globale, si intreccia però con una persistente fragilità strutturale, che reclama una maggiore attenzione da parte dei decisori politici, tanto più considerando la più giovane età degli imprenditori immigrati (ha meno di 50 anni ben il 75,8% di loro, contro il 55,4% degli italiani).
Sebbene le imprese a gestione immigrata siano presenti su tutto il territorio italiano, influenzando l’economia in modo trasversale, tuttavia la loro maggiore concentrazione si osserva nelle regioni centro-settentrionali (77,3%), con la Lombardia e il Lazio che emergono come principali epicentri di queste strutture imprenditoriali, contando rispettivamente 124mila e 81mila imprese. Le ditte individuali dominano il panorama imprenditoriale tra gli immigrati, costituendo quasi i tre quarti (480mila, pari al 74,1%) di tutte le attività da loro gestite. Tuttavia, nel corso degli anni si è notato un continuo consolidamento della struttura imprenditoriale a guida alloctona, con un progressivo aumento delle società di capitale (119mila, il 18,4%). Guardando più da vicino, emerge chiaramente che i servizi sono il fulcro principale delle attività gestite dagli immigrati, costituendo il 59,0% del totale. A livello di comparti primeggia il commercio con il 31,8%, seguito da vicino dall’edilizia con il 23,9%. Il 79,1% dei titolari di imprese immigrate è di origine non comunitaria, con una marcata predominanza di marocchini (60mila), romeni (52mila) e cinesi (51mila).
Le donne immigrate, il cui protagonismo tra gli imprenditori stranieri appare in crescita, incidono tuttavia ancora per il 24,6% del totale e le attività da loro condotte si concentrano principalmente nei servizi, evidenziando una tendenza verso una diversificazione dei settori economici anche tra i gruppi nazionali di immigrati. “Un aspetto fondamentale dell’imprenditoria degli stranieri è il ruolo delle donne, si legge nel Rapporto, sebbene – da un punto di vista puramente quantitativo – si osservi generalmente una minore diffusione dell’iniziativa imprenditoriale tra il genere femminile. Tale constatazione si estende sia alle donne straniere, le quali – contando 610.200 lavoratrici autonome – rappresentano il 32,8% del totale, che alle donne native, pari a 8.026.000 con un’incidenza del 33,6%. Tuttavia risulta particolarmente interessante notare che percentuali superiori al 40% si registrano tra le donne straniere attive come lavoratrici autonome in Paesi quali Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo. Questi dati mettono in luce una dinamica complessa, sottolineando la presenza di differenze significative nelle scelte imprenditoriali tra donne straniere e native.” Aggiungendo che: “l’Italia si distingue per un andamento in controtendenza, registrando un tasso del 28,5% tra le donne straniere, ma al contempo evidenziando un rilevante 39,0% tra le donne comunitarie. Questa dissonanza potrebbe essere influenzata da dinamiche socio-economiche e culturali specifiche al nostro Paese, dalle reti comunitarie esistenti e dalle diverse opportunità presenti nel contesto italiano per le donne provenienti da Paesi comunitari.”
Il presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS, Luca Di Sciullo, nel Rapporto avanza alcune proposte: “1. valutare la notevole convenienza, per l’Italia, nel promuovere e rendere quanto più solido il sistema delle imprese immigrate sul territorio, nella misura in cui costituiscono una “fisiologica” rete-ponte tra l’economia e il mercato italiani e i Paesi e le aree di origine degli imprenditori immigrati (…); 2. privilegiare, alla luce della natura “endogena” e dell’origine “dal basso” dell’imprenditoria immigrata nel Paese, la rimozione degli ostacoli giuridici, burocratici, operativi e socio-economici che la soffocano e la scoraggiano,piuttosto che invocare dall’estero una immigrazione “selezionata” o “qualificata”, illudendosi che l’Italia possa diventare a breve un Paese attrattivo per migranti altamente specializzati o per imprenditori stranieri (…); 3. aiutare il potenziale di innovatività delle imprese immigrate, soprattutto quando siano guidate da giovani di nuova generazione, a esprimersi e realizzarsi compiutamente in un sistema produttivo, quale è quello nazionale, che proprio in capacità di innovazione e in conseguente competitività sui mercati internazionali ha i suoi strutturali punti di debolezza (…).”
Qui per approfondire: https://www.dossierimmigrazione.it/wp-content/uploads/2024/03/CS-CNA-IDOS-RII-2023-Linarrestabile-crescita-delle-imprese-immigrate-DEF.pdf.