La mattina di giovedì 28 marzo verso le 8, davanti al Tribunale di Budapest, noi membri di una delegazione di giuristi e cittadini italiani solidali con Ilaria siamo stati minacciati (“vi spaccheremo la testa”) da un gruppo di neonazisti ungheresi. Il piccolo episodio è indicativo di un certo clima di tensione e del carattere sempre più apertamente politico assunto dal processo a Ilaria.
Tale carattere politico, oltre che dai gruppi di estrema destra, è stato impresso dal governo Orban, oggi in forte crisi proprio sulla questione della giustizia a partire dalle rivelazioni su vari atti di corruzione che coinvolgerebbero la ministra Judit Varga, oggi dimissionaria, e settori non trascurabili della magistratura inquirente. Quella stessa magistratura inquirente che ha voluto fare del processo contro la nostra connazionale un momento esemplare, l’affermazione della potestà punitiva dello Stato ungherese mediante la minaccia a Ilaria di pene chiaramente sproporzionate rispetto ai fatti di cui è imputata e dei quali pure continua coerentemente a proclamarsi innocente.
Giovedì il giudice ha confermato questa innegabile verità, accogliendo pienamente la richiesta del pubblico ministero di non concedere i domiciliari a Ilaria, nonostante le numerose e valide garanzie offerte dai difensori e dalla famiglia. Colpisce la discrepanza evidente tra questa decisione e quella resa in contemporanea, sempre giovedì, in Italia, che ha negato l’estradizione in Ungheria di un giovane accusato degli stessi reati di Ilaria. L’estradizione è stata negata dal giudice italiano sulla base di due ordini di considerazioni. La prima attiene al regime carcerario che, anche sulla base del trattamento inflitto a Ilaria nei suoi ormai quasi 15 mesi di prigionia, non garantisce il rispetto dei diritti fondamentali. La seconda, ancora più importante, riguarda l’evidente sproporzione tra l’entità dei fatti addebitati (una presunta aggressione da cui sarebbero passibili gli imputati). Il diverso rilievo attribuito ai fatti sottolinea in effetti un approccio inconciliabile all’azione penale.
La Procura ungherese, e il giudice totalmente sulla sua scia, muove da un teorema fantasioso e politicamente motivato che vede nei fatti la concretizzazione di un complotto internazionale volto a colpire una comunità degna di tutela (le persone ungheresi e di altra nazionalità che fanno apertamente professione di fede nazista). In tale ottica Ilaria va punita severamente, perché l’aggressione della quale si sarebbe resa protagonista, ancora tutta da dimostrare e che si basa su elementi probatori di estrema fragilità, costituirebbe per l’appunto un elemento di concretizzazione applicativa di tale complotto.
Il profitto politico che il governo di Orban trae da questa operazione giudiziario-propagandistica è anzitutto di natura interna, rafforzando l’immagine al tempo stesso di securitarismo, repressiva e nazionalista del governo, che non si fa dettare la propria condotta da nessun soggetto esterno e che gode di notevoli consensi tra la popolazione. Sul piano dei rapporti internazionali, tale atteggiamento di intransigenza riguarda principalmente il rapporto con l’Unione Europea, da sempre conflittuale e tormentato per vari motivi. In proposito occorre rilevare che l’Unione Europea, pur essendo tenuta a norma del suo Trattato istitutivo a rispettare l’identità nazionale dei suoi Stati membri, si basa su di un nucleo di principi inderogabili dettati dall’art. 2 dello stesso Trattato, tra i quali rientra quello dello Stato di diritto. Componenti essenziali di quest’ultimo sono fra l’altro quello dell’indipendenza della magistratura e quello della proporzionalità delle sanzioni penali, entrambi chiaramente lesi nel caso in esame.
L’impressione complessiva è che la nostra connazionale sia ostaggio di un gioco politico spregiudicato nel contesto di queste tensioni di natura anche valoriale e ideologica e che il suo destino personale costituisca in fondo una pedina di tale gioco.
Il governo italiano, al di là di ogni divergenza politica, dovrebbe ergersi a paladino dei diritti di Ilaria e dei valori di fondo che risultano violati. Ciò tuttavia non sta affatto accadendo. L’impegno del governo italiano è del tutto inadeguato. La presa di posizione del Ministro degli Affari esteri Tajani di fronte all’ennesimo schiaffo in faccia ricevuto giovedì rasenta il ridicolo nel momento in cui si affanna a esortare a non politicizzare un caso, il cui carattere politico è da tempo evidentissimo. Occorre invece un’azione ferma, determinata e coerente a livello di rapporti bilaterali con l’Ungheria e in seno agli organismi europei per riportare a casa Ilaria, ponendo fine alla spietata e ingiustificata persecuzione nei suoi confronti. Deve trattarsi di un’azione condotta sul piano dei principi e dei valori, a prescindere dai complessi e ardui rapporti esistenti sul piano delle contingenze politiche tra Orban, Meloni e Unione Europea.
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