Gli operatori umanitari che soccorrono nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale operano sotto stato di necessità (forza maggiore) e sotto la costante minaccia di intervento armato delle motovedette libiche donate dall’Italia e assistite con il tracciamento aereo da Frontex.
Non si può continuare dunque a ritenere che i comandanti delle navi svolgano attività illecite, dopo le sentenze dei Tribunali e della Corte di Cassazione che hanno archiviato i procedimenti penali avviati dal 2017 ad oggi ed hanno riconosciuto i loro soccorsi come adempimento di un dovere derivante dal diritto internazionale, richiamato dagli articoli 10 e 117 della Costituzione.
Secondo i più recenti provvedimenti di fermo amministrativo adottati nei confronti delle navi delle ONG sarebbero state violate le disposizioni introdotte con il Decreto legge n.1 del 2023, concernenti il mancato rispetto delle indicazioni della Guardia Costiera libica e il divieto di operare “salvataggi multipli”. Prosegue la prassi di assegnare dopo i soccorsi operati dalle ONG in acque internazionali porti sempre più lontani, da ultimo Genova e Ravenna, anche se le condizioni meteo obbligano sovente le centrali di coordinamento italiane a modificare la prima indicazione, ma tutto questo avviene a scapito del trattamento dei naufraghi.
Lo scorso 20 febbraio il Tribunale civile di Brindisi ha sospeso l’efficacia del provvedimento di fermo amministrativo e affidamento in custodia della nave Ocean Viking, della ONG SOS Mediterraneé, fissando l’udienza del 14 marzo per la discussione sul merito del ricorso. Nel sospendere il provvedimento di fermo amministrativo il Tribunale insiste soprattutto sulle violazioni dei diritti fondamentali, dunque con copertura costituzionale, con riferimento alla libertà di associazione, e del diritto delle associazioni di perseguire i fini statutari, tra cui nel caso di specie rientrava lo svolgimento di attività di ricerca e salvataggio in alto mare.
Ma oltre i diritti delle Organizzazioni non governative sotto il profilo della libertà di associazione vanno posti in evidenza e tutelati i diritti delle persone, a partire dal diritto di non essere respinti in paesi non sicuri (art.33 Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951). Non si può imporre ai comandanti delle navi umanitarie l’obbligo di farsi coordinare da autorità di Stati che non garantiscono porti sicuri di sbarco. E vanno sanzionate anche sul piano risarcitorio, sul piano interno, e quindi con ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’Uomo, le omissioni e le condotte indebite da parte di agenti statali che costringono le navi umanitarie a rotte vessatorie ed a fermi amministrativi privi di base legale, se si considerano gli obblighi positivi di soccorso, anche con interventi multipli, imposti dalle Convenzioni internazionali in capo ai comandanti delle navi.
Nessun naufrago può essere abbandonato in mare perchè una centrale di coordinamento statale non fornisce tempestivamente istruzioni, oppure ordina uno stand-by in attesa che arrivino motovedette provenienti da paesi che non garantiscono porti sicuri di sbarco.