Riprendiamo questo articolo di Fabio Alberti ancora attualissimo, pubblicato su Comune.info il 2 marzo 2023, poco dopo il tragico naufragio di Cutro.
Ho negli occhi la scena tremenda delle onde di un mare nemico che dopo aver inghiottito decine di persone sballottola quanto rimane di una scialuppa della speranza, incagliata e poi distrutta, vicino a Crotone. Solo l’ultimo naufragio noto. Quanti quelli ignoti non lo sappiamo per definizione.
Ma sappiamo che ce ne saranno molte altre perché è in funzione una condotta forzata che costringe masse crescenti a emigrare, una sorta di idrovora che nessuno sembra voler spegnere. Quindi prendete questo come uno sfogo. E perdonate qualche imprecisione.
Ma mi chiedo perché su centinaia, forse migliaia, di comitati, associazioni, organizzazioni di assistenza, soccorso, difesa dei diritti degli immigrati non se ne trova nemmeno una che chieda al governo italiano e all’Unione Europea qualcosa di concreto per tutelare il diritto degli abitanti del Sud Globale a restare nella propria terra in dignità e sicurezza? Perché dobbiamo sentire dalla Lega il fatidico e peloso “aiutiamoli a casa loro” e non c’è invece da parte nostra un’indicazione concreta di cosa significa?
Perché continuiamo ad accettare e ripetere la locuzione “fuggono dalla guerra e dalla fame”, come se guerra e fame fossero fortunali di mezz’estate e non prodotti delle politiche umane, senza mai nominare chi la guerra e la fame la provoca, la organizza, la pratica.
Non abbiamo altro da chiedere oltre all’accoglienza? E se lo abbiamo perché non lo facciamo con lo stesso tono di voce? Perché le manifestazioni che facciamo sulla questione dell’emigrazione non portano alto in prima fila il cartello “Basta sfruttamento coloniale”.
Questa concentrazione sulla questione dell’accoglienza (non mi si fraintenda, necessaria e doverosa) ha finito però per spostare la questione dell’emigrazione da una questione politica e di diritti ad una mera questione umanitaria, per cui sembra quasi che l’accoglienza sia un piacere che si debba fare per buon cuore, “umanitaria”, appunto. E non, se non un diritto, come dovrebbe essere diritto di ogni essere umano poter stabilire la sua residenza dove desidera, almeno un dovere dell’Europa, essendo essa stessa con ogni evidenza, per debito ecologico, per traffico di armi, per passato coloniale, causa del male che tenta di confinare oltre frontiera. Perché questa è la verità che sappiamo tutti, ma troppo poco viene detta.
Le guerre da cui i migranti scappano sono alimentate, quando non provocate, volute, organizzate come parte della lotta per l’accaparramento di terre e materie prime per l’industria del nord. Certo ci sono cause locali, che si intrecciano però a lasciti del colonialismo e soprattutto all’attività che le ex potenze occupanti continuano imperterrite a produrre nel voler determinare governi e politiche. E non pochi sono stati i leader africani che per aver denunciato le ingerenze delle vecchie potenze coloniali hanno avuto problemi. Thomas Sankara per dirne uno.
Le condizioni climatiche avverse che costringono alla migrazione sono diretta conseguenza della produzione industriale occidentale, dato che è stato calcolato che le popolazioni africane hanno prodotto meno di un decimo dell’anidride carbonica causata dall’ipersviluppo europeo. Esiste quindi un debito europeo verso l’Africa che dovrebbe imporre l’accoglienza di una quota rilevate dei 216 milioni di potenziali sfollati ambientali previsti dalla Banca Mondiale. Altro che umanitaria. Qui l’accoglienza è un dovere.
La fame che costringe a cercare altrove fonti di vita non viene dal nulla e nemmeno “dalla natura”, ma tra l’altro, dalla trasformazione dell’agricoltura di sussistenza in monoculture per l’esportazione derivante dall’integrazione nel mercato mondiale, con i cui proventi le frazioni più ricche della popolazione comprano beni prodotti al nord, importati spesso a scapito di produzioni locali cui è stata negata la protezione a seguito di trattati commerciali liberisti.
I regimi corrotti, inghiottitoi di risorse, che tengono in ostaggio popolazioni sottraendo futuro e risorse sono spesso regimi “amici”, sostenuti, foraggiati, alle volte insediati da Paesi occidentali e le politiche economiche che non hanno permesso lo sviluppo sono spesso consigliate, quando non imposte da un Fondo Monetario dominato dagli Stati Uniti e dalle nazioni europee.
Tutto questo è noto a tutti. O almeno a noi. Non è tutto, certo, ma è parte rilevante del fenomeno. Perché allora chiediamo a gran voce la revisione, o la cancellazione a seconda della radicalità o del punto di vista di ciascuno, della legislazione che impedisce ai migranti di entrare in Europa e non chiediamo, manifestiamo, petizioniamo allo stesso modo e con la stessa forza ad esempio per chiedere una revisione delle politiche commerciali, dai BIT, agli accordi di libero scambio, attraverso i quali l’Unione Europa e l’Italia con essa, continua a mantenere ragioni di scambio ineguali con i Paesi africani?
Perché accettiamo che siano sul palco degli incriminati solo coloro che, milizie o scafisti, sono solo l’ultimo anello di una catena di cause che portano alla morte di migliaia di persone che ha all’origine multinazionali del crimine che saccheggiano le risorse sfruttando i lavoratori con paghe da fame.
So benissimo che c’è chi molto meglio di me ha già detto queste cose e che sulle politiche estere e commerciali italiane ed europee verso l’Africa ha studiato e scritto. So che non sto dicendo nulla di nuovo, ma non me ne vogliate se dico che il confronto pubblico sembra essere solo tra chi chiede accoglienza e chi non la vuole dare. Invece la responsabilità delle politiche estere, economiche, commerciali, militari, in sostanza neocoloniali, italiane ed europee come causa dell’emigrazione non sembra essere all’ordine del giorno e quindi nemmeno quella delle azioni per rovesciarle.
Forse c’è bisogno di costruire una piattaforma per una nuova politica estera che abbia seriamene al centro il diritto di restare oltre che quello di emigrare. Avrebbe forse anche più forza la lotta per l’accoglienza, perché inserita in un processo che almeno chiede, se non può ancora prevedere, una riduzione e poi una fine di questa epocale deportazione delle genti d’Africa (e non solo) che non il mare, ma la politica, trasforma in corpi portati dai flutti.
P.S. Il titolo è volutamente provocatorio. Per “politica dell’accoglienza” intendo qui le politiche rivendicative, di advocacy, le campagne che concentrano l’attenzione solo sull’aspetto umanitario dell’accoglienza finendo per essere a scapito, di fatto, di un discorso sui diritti, di una analisi delle cause e quindi della rivendicazione di azioni di modifica delle politiche estere e commerciali italiana ed europea necessarie per porre fine all’obbligo di emigrazione.