Lo slittamento verso la guerra in corso comporta fra gli altri effetti negativi anche la compressione del diritto di critica nei confronti delle potenze occidentali e dei loro alleati.
Tacciando come “putiniani” coloro che si oppongono all’attuale escalation propagandista e riarmista contro la Russia i guerrafondai vogliono mettere a tacere la volontà pacifista che è forte in seno ai popoli, anche di quelli europei e di quello statunitense e che si è di recente espressa anche nella solidarietà data al popolo russo contro l’attacco terrorista rivendicato dall’Isis che ha fatto 180 vittime a Mosca.
Ancora più evidente il carattere arbitrario di tale attacco alla libertà di espressione nel caso dell’offensiva israeliana in corso oramai da troppi mesi contro il popolo palestinese. Nel momento in cui finalmente perfino gli Stati Uniti si rifiutano di apporre al veto alla risoluzione del Consiglio di sicurezza che ha chiesto, il 25 marzo 2024, il cessate il fuoco e il via libera agli aiuti umanitari a una popolazione che sta letteralmente morendo di fame e di sete, il ministro israeliano della sicurezza nazionale Itamar Ben Gabir non ha trovato nulla di meglio da dichiarare che “tale decisione prova quanto si sapeva da tempo immemorabile, e cioè che si tratta di un’istituzione antisemita, con un Segretario generale antisemita che sta incoraggiando Hamas a conseguire la totale vittoria”, mentre il presidente statunitense Biden non porrebbe in modo adeguato la vittoria di Israele e del mondo libero contro il terrorismo in cima alle sue priorità. Ne consegue, secondo ben Gabir, che occorre accrescere l’intensità della guerra e continuare a perseguire ad ogni costo la sconfitta di Hamas.
Questa gravissima dichiarazione evidenzia da un lato che Israele non intende affatto ottemperare alla risoluzione del Consiglio di sicurezza, che va considerata a tutti gli effetti vincolante, e dall’altro continua ad avvalersi della categoria dell’antisemitismo per tentare di squalificare chiunque si permetta di opporsi alla sua politica genocida.
Dal canto suo, la comunità ebraica di Roma ha deciso di denunciare per istigazione all’odio razziale il professor Orsini e lo chef Rubio, per aver condannato in modo netto le politiche di Netanyahu e di Israele. Leggendo attentamente le prese di posizione dei due denunciati, non emerge tuttavia affatto la confusione tra ebrei e Israele che pure la denuncia asserisce. Orsini in particolare ha dichiarato sui social che Netanyahu è un terrorista di Stato, che lo stesso è a capo di una delle dittature più brutali e razziste del mondo e che sta continuando a massacrare un popolo. Entrambi fanno peraltro ricorso alla nozione di sionismo che è tutt’altra cosa da quella di ebraismo.
Si tratta in effetti di prese di posizione che non rivestono per nulla le caratteristiche dell’istigazione all’odio razziale, dato che le accuse sono rivolte al primo ministro israeliano e allo Stato di cui purtroppo egli è a capo, e non già alle persone di religione ebraica in quanto tali.
Va citata anche una recente Ordinanza della Sezione Prima Civile del Tribunale di Milano emessa a seguito di un’azione civile del direttore di Repubblica Maurizio Molinari contro il blogger palestinese Karem Rohana, caso seguito dall’European Legal Support Center (ELSC). In tale Ordinanza il Tribunale di Milano, pur condannando Rohana per le sue accuse di plagio mosse a Molinari, ha affermato che “le pur aspre e forti parole rivolte da Rohana a Molinari (…) appaiono costituire legittimo esercizio del diritto del resistente di libera manifestazione del pensiero e del diritto di critica, garantiti dall’art. 21 della Costituzione”, tenendo conto anche del fatto che “con ordinanza n. 192 del 26 gennaio 2024, la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, ha adottato misure cautelari nei confronti dello Stato di Israele, accusato, con ricorso presentato a dicembre 2023 dalla Repubblica del Sud Africa, di violazioni della Convenzione contro il crimine di genocidio” e che “con tale provvedimento interinale la suddetta Corte ha ritenuto “plausibile” l’esistenza di un genocidio”.
Insomma, il ricorso alla nozione di antisemitismo o a quella di odio razziale per difendere le politiche israeliane, quali esse siano, costituisce una prassi assolutamente deplorevole da vari punti di vista, come dimostrato anche dal fatto che settori sempre più importanti di persone di religione ebraica, all’interno stesso dello Stato di Israele, si oppongono chiaramente alle scelte genocide di Netanyahu e soci. E’ invece necessario difendere il diritto di critica contro guerre in preparazione e genocidi in atto, unica garanzia per il rispetto dei principi della nostra Costituzione e del diritto internazionale.
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