[L’espressione nel titolo rimanda alla frase pronunciata da Roosevelt “Speak softly and carry a big stick; you will go far” (Parla dolcemente e porta con te un grosso bastone: farai molta strada) N.d.T.]

Un paio di mesi fa, in un’intervista ad Al Jazeera, il primo ministro del Kosovo Albin Kurti ha affermato che l’attacco di settembre alla polizia kosovara da parte di uomini armati serbi nel nord del Kosovo è stato pianificato dal presidente serbo Aleksandar Vučić nel tentativo di “destabilizzare” il Kosovo con la speranza di iniziare una guerra. Una simile affermazione non è d’aiuto all’interesse del pubblico né gli procura vantaggi politici o strategici. Inoltre, intraprendendo una guerra contro il Kosovo il presidente serbo Vučić non avrebbe nulla da guadagnare; rischierebbe solo di essere umiliato dalla NATO, impegnata nella sicurezza nazionale del Kosovo.

Anche se Vučić continua a compiacere Putin, apprezza il rapporto della Serbia con gli Stati Uniti e non intraprenderebbe un atto così sconsiderato. Come ha recentemente affermato: “Per noi è della massima importanza che la pace nella regione non venga disturbata e che la Serbia continui a comportarsi in modo responsabile e a contribuire alla stabilità nei Balcani”, aggiungendo che la Serbia e gli Stati Uniti lavoreranno per preservare le relazioni serbo-americane. Inoltre Vučić sa che, dopotutto, l’alleanza della Serbia con Stati Uniti e UE, piuttosto che con la Russia, è più adatta agli interessi nazionali a lungo termine di Belgrado.

Vučić vuole proiettare potere e una leadership sensata per rafforzarsi a livello nazionale, dimostrando al contempo all’Occidente di essere un leader responsabile che cercherà sempre di mantenere la stabilità regionale. Ciononostante, ha promesso di continuare ad acquistare armi dalla Cina e da altri paesi, compresi sistemi antiaerei, aerei da combattimento e droni che gli piace esibire mentre ha spostato più volte un piccolo contingente di truppe serbe al confine del Kosovo in ciò che la NATO considera azioni ostili.

Non bisogna dare per scontate le parole di Vučić; uno sguardo più attento al contesto politico e militare complessivo dei Balcani suggerisce che nessun paese della regione vuole aumentare la tensione, il che potrebbe involontariamente accelerare una violenta conflagrazione. La decisione della NATO, a inizio di ottobre, di inviare 200 soldati britannici e 130 soldati rumeni per rafforzare la sua missione di mantenimento della pace in Kosovo non è una forza così grande destinata a scoraggiare Belgrado. Vučić comprende appieno l’alta posta in gioco per lui se oltrepassa la linea.

Lo scopo del rafforzamento delle forze NATO in Kosovo, che include anche l’acquisto di droni e missili anticarro principalmente dalla Turchia, è quello di tenere sotto controllo le tensioni nei Balcani occidentali, come ha affermato il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg.

A questo proposito, la decisione degli Stati Uniti di vendere 240 sistemi missilistici portatili Javelin in grado di distruggere carri armati e altri veicoli corazzati è stata concepita per inviare un messaggio al presidente russo Putin che gli Stati Uniti sono pienamente impegnati e coinvolti a migliorare la sicurezza dei loro partner europei, fondamentale per la stabilità politica ed economica dell’Europa.

Per il kosovaro comune, però, l’avvertimento di Kurti su una potenziale guerra con la Serbia, l’invio di più forze dell’UE e la vendita di missili Javelin da parte degli Stati Uniti, nel loro insieme, potrebbero equivalere a una guerra imminente con la Serbia. In effetti, l’ultima cosa che Vučić vuole è una guerra contro il Kosovo che attirerebbe immediatamente la NATO nella mischia, una guerra che non solo perderebbe duramente, ma danneggerebbe anche in modo irreversibile la prospettiva della Serbia di aderire all’UE. Questo è qualcosa che Vučić vuole evitare a tutti i costi.

Anche se il Primo Ministro Kurti ha il dovere di garantire la sicurezza nazionale del Kosovo, dovrebbe considerarla nel contesto dell’impegno generale della NATO per la stabilità dei Balcani e del modo in cui altri conflitti potrebbero incidere su questo. Anche se è improbabile che le turbolenze in Medio Oriente si estendano ai Balcani, gli Stati Uniti dimostrano giustamente con parole e fatti che prendono molto sul serio la sicurezza e lo sviluppo degli eventi nella regione balcanica e che agiranno prontamente per prevenire qualsiasi errore di calcolo da parte di un potenziale nemico, in particolare della Russia.

La vendita, da parte degli Stati Uniti, di missili Javelin per potenziare le forze militari del Kosovo non sarà l’ultima spedizione di materiale militare; seguiranno altre forniture di equipaggiamento militare poiché le Forze di Sicurezza del Kosovo mirano a trasformarsi in una forza militare professionale entro il 2028 per soddisfare gli standard NATO.

Per questo motivo sarà prudente che Kurti prenda ciò che Vučić dice o fa con qualche riserva. Vučić non è interessato a coinvolgere violentemente il Kosovo in quanto è estremamente convinto che le sue perdite supereranno di gran lunga qualsiasi guadagno. Pertanto, il suggerimento di Kurti secondo cui la Serbia sta pianificando una guerra contro il Kosovo non fa altro che causare inutili tensioni pubbliche, destabilizzare l’economia e creare una corsa allo stoccaggio di beni non deperibili, facendo precipitare l’inflazione e creando difficoltà finanziarie e tensioni sociali.

A meno che l’avvertimento di Kurti su una potenziale guerra contro la Serbia non sia espressamente concepito per rafforzare la sua posizione politica e radunare l’opinione pubblica attorno a lui in un anno elettorale, cosa che non credo sia il caso, ormai dovrebbe sapere che Vučić parla a gran voce ma porta un bastone piccolo.

Di Alon Ben-Meir

Traduzione dall’inglese di Enrica Marchi. Revisione di Thomas Schmid.


Dr. Alon Ben-Meir è un docente in pensione di relazioni internazionali, più recentemente presso il Center for Global Affairs della New York University. Ha tenuto corsi di negoziazione internazionale e studi mediorientali.