Con il vento arriva un rumore di pannelli dorati: a Kharkiv, nell’Ucraina in guerra, sbattono sui supporti in ferro delle cupole della Chiesa dei santi portatori di pace. Di fronte, oltre il parco, c’è l’ex quartier generale dei servizi di sicurezza: è uno scheletro annerito che ha perso il tetto e l’ultimo piano.
Siamo a Kharkiv, due milioni di abitanti, la seconda città più grande dell’Ucraina, dove le cattedrali ortodosse stanno accanto ai palazzi art nouveau e alla facoltà di Fisica che fu gloria dell’Unione Sovietica. Il confine con la Russia, che alcuni qui chiamano “il nemico”, dista appena 30 chilometri.
“Un missile che parte dalle rampe di lancio nella regione di Belgorod ci mette anche meno di 45 secondi a colpire” calcola Vadim Hubar, descrivendo sistemi di rilevazione satellitare e pure il suo appartamento al settimo piano che in giornate di cielo limpido gli permette di osservare traiettorie: “E’ un lasso di tempo troppo breve per raggiungere un rifugio; e comunque tante volte le sirene di allarme suonano solo dopo le esplosioni”.
È il tempo che manca a Kharkiv. Il confine è troppo vicino e i missili arrivano troppo veloci. E allora mancano pure i vetri, saltati via per le onde d’urto delle esplosioni, come i pannelli dorati della Chiesa dei santi portatori di pace, nel quartiere di Saltivka alla periferia nord-est o nei palazzi del centro. Al loro posto ci sono tavole di compensato, messe lì solo per fermare l’inverno. “Bisogna proteggersi anche dal freddo” spiega Hubar, 33 anni, nato e cresciuto in città. “Ricostruire invece non vale la pena, almeno finché questa guerra folle non sarà finita”.
Dall’offensiva russa del 24 febbraio 2022 sono trascorsi due anni. Kharkiv, vicina al confine, era finita subito in prima linea. Il 27 e il 28 febbraio i reparti russi della Seconda brigata speciale erano avanzati in direzione di Saltivka ma poi erano stati circondati e respinti. Lo ricordano i manifesti con lo sfondo giallo e blu della bandiera ucraina e la scritta Kharkiv “città eroe”: un omaggio dal sapore sovietico, come i tram bianchi e rossi che sferragliano in città, il murale dedicato a un generale della “Grande guerra patriottica” contro i nazisti e le stelle dell’Armata rossa sulle ringhiere dei cavalcavia in ferro battuto.
Kharkiv è bella, sospesa tra un’eleganza fine Ottocento e la monumentalità staliniana. Capita però che le cupole neobizantine e i marmi rossi della cattedrale dell’Annunciazione stiano accanto a palazzi sventrati dai missili o al Palace Hotel, un grattacielo di 11 piani centrato da un razzo lo scorso 30 dicembre: la tesi russa è che nell’albergo ci fosse una riunione di ufficiali dell’esercito e dei servizi ucraini ma a rimanere feriti sono stati anche due giornalisti tedeschi.
Ecco, meglio i piani bassi. Quando suona la sirena d’allarme lo confermano gli operatori al lavoro in un centro di assistenza per persone sfollate che si trova a Holodna Gora, un quartiere di periferia. “La prima regola è stesi a terra e soprattutto lontano dalle finestre, perché si ha meno possibilità di essere colpiti dalle schegge” spiega Daria Kustanovych, responsabile degli interventi di emergenza di Intersos, una ong italiana che è al lavoro a Kharkiv e in altre città dell’Ucraina con il supporto dell’Unione Europea. “La verità è che però dopo due anni di bombardamenti e con diversi allarmi della contraerea ogni giorno le persone si sono abituate e tendono a ignorare il rischio” sottolinea l’operatrice. “Sono stanche: vogliono riposare almeno la notte, mentre di giorno non ne possono più di interrompere di continuo le proprie attività per cercare un rifugio”.
Il rischio, appunto, è che alla guerra ci si abitui. A Holodna Gora lo testimoniano le persone sfollate, più di 130, ospiti del centro. Come tante altre Olga Rotchnyakova è arrivata da Kupyansk, una cittadina che si trova a un centinaio di chilometri a est di Kharkiv. “Ci siamo potute spostare quando sono andati via i russi e sono tornati gli ucraini, nel settembre 2022” ricorda la donna, 65 anni, al suo fianco la nipote Oksana che è rimasta orfana proprio due anni fa: “Per settimane siamo state costrette a bere la neve o il ghiaccio rimasto nelle tubature”.
Grazie al supporto alimentare, alla biancheria e agli aiuti economici forniti da Intersos, Rotchnnyakova sta meglio. Con la nipote al fianco, non rinuncia però al suo piano pace: “Vorremmo che non ci fossero più esplosioni e che potessimo tornare a casa; nessuno dovrebbe più patire la fame o il freddo; e nessuno dovrebbe più avere paura di missili e colpi di artiglieria”.
Potrebbe non accadere presto. Secondo il governatore della regione di Kharkiv, solo giovedì un bombardamento su un villaggio situato a 12 chilometri dalla frontiera ha provocato tre morti: un uomo di 58 anni e sua moglie di 56, oltre a una ragazza di 17. Alcune ore prima era stato Vyacheslav Gladkov, capo dell’amministrazione di Belgorod, dall’altra parte del confine russo, a denunciare esplosioni di razzi presso un centro commerciale: sei le vittime, stando alle sue dichiarazioni, e 17 i feriti, cinque dei quali bambini.