Standing Together è un movimento di base che riunisce nella lotta contro l’occupazione militare dei territori palestinesi e la discriminazione razziale, la comunità araba e ebrea di Israele. Nato nel 2015, questo movimento, che oggi conta migliaia di militanti, ha preso un posizione forte sulla situazione attuale, organizzando marce e manifestazioni in tutta Israele per chiedere la pace. Partendo dall’idea che la società Israeliana sia ormai in uno stato di profonda crisi, Standing Together vuole rappresentare chi non si sente rappresentato. Abbiamo parlato del movimento e di quello che sta succedendo nella società israeliana con Alon Lee Green co-direttore, insieme a Rula Daood, di Standing Together.
Cos’è, com’è nata e quali sono gli obbiettivi di Standing Together?
Standing Together è un movimento ebreo e palestinese dal basso che organizza le persone in tutto Israele con il fine di combattere per la pace, l’uguaglianza, la giustizia sociale e contro l’occupazione. Negli ultimi mesi ci siamo concentrati sulla guerra in corso, per una pace tra israeliani e palestinesi. Io sono co-direttore del movimento insieme a Rula Daood, attivista palestinese.
Sul vostro sito dite di rappresentare la maggioranza del Paese, ma se questo è vero, come siamo arrivati a questo punto?
La maggioranza in Israele non è organizzata intorno a un nucleo di potere. Per esempio, la maggior parte delle persone hanno interesse ad alzare il minimo salariale, dato che molti israeliani lavorano molto e guadagnano molto poco in un paese estremamente caro. Il governo però non ha alzato il minimo salariale: non è questo nell’interesse della maggioranza delle persone? Lo è. Perché il governo non rappresenta il volere popolare? Perché ahimè il sistema non funziona e quindi dobbiamo cambiarlo. Lo stesso vale per la questione della pace. La maggior parte delle famiglie non ha interesse a mandare i propri figli in guerra e forse a morire. La maggior parte delle persone in Israele non ha alcun interesse a proteggere la colonia israeliana a Hebron: una colonia di 1.000 persone che vivono in una città palestinese di 100 mila persone. La maggioranza degli israeliani non supporta questa e le altre colonie. La maggioranza degli israeliani supporta invece lo smantellamento di queste colonie. Ma nonostante questo in qualche modo i figli degli israeliani si trovano mandati a proteggere queste colonie. Perché? Giusta domanda. Ma questo non vuol dire che le persone ne traggano qualche vantaggio. Lo stesso per quanto riguarda la guerra in corso, la maggior parte di noi vuole la pace. Una piccola minoranza in Israele detiene un grande potere politico per manovrare la realtà verso i propri interessi.
Sono stato la settimana scorsa a Masafer Yatta, dove sono molte le colonie e molti i coloni fortemente convinti di quello che stanno facendo. Tutto questo non va in contrasto con quello che mi hai appena detto?
Si, è vero, ci sono molti coloni che credono di dover riprendere la terre dell’area C e della valle del Giordano. Ma se tu chiedi alle persone in Israele, la maggioranza non li supporta. Non ci sono mai stati lì, non sanno nemmeno dov’è la valle del Giordano o Masafer Yatta, non sarebbero in grado di indicarla sulla mappa. Uno dei problemi è sicuramente che le persone non sanno nulla della realtà che li circonda. I media non raccontano questa realtà, è quindi molto facile ignorarla e concentrarsi sui propri problemi, e in Israele i problemi sono tanti: problemi di sicurezza, problemi economici e problemi sociali.
Cosa pensi dei media e quanto stanno influenzando la popolazione riguardo la guerra in corso?
Io penso che i mezzi d’informazione per molti anni sono stati attaccati, la stampa libera è stata attaccata dai governi di destra di Netanyahu, tanto quanto molti governi hanno fatto o provano a fare in giro per il mondo. All’inizio sono state trovate persone molto ricche che investissero in nuove piattaforme d’informazione creando una competizione impari con i media tradizionali, in modo tale da far perdere lettori e soldi a questi ultimi. Chiaramente tutto questo raccontando la realtà in una visione molto di parte. Dopodiché si è incominciata a restringere la libertà di parola e la libertà dei giornalisti di lavorare. Il governo ha smesso di finanziare i media pubblici, quindi la competizione con i nuovi magnati è iniziata ad essere solo in perdita. Lentamente, ma in un breve periodo, i media hanno incominciato ad autocensurarsi, perché la domanda è: a chi va di scrivere contro il governo se questo poi ti da la caccia e in alcuni casi ti fa chiudere? Quindi non è illegale raccontare quello che sta succedendo a Gaza per esempio, ma la censura è diventata un’auto-censura.
Quindi i media fondamentalmente sono parte della propaganda di stato. Gli israeliani, alla fine secondo te, non si fidano della propaganda?
Io penso che la fiducia nel parlamento e nel governo sia sempre più bassa, anche nelle forze dell’ordine direi. Ma questa non è un’opinione è un fatto, lo dicono i sondaggi, ma il problema è che non ci sono alternative. Per questo la gente si è girata verso l’anti establishment dell’estrema destra, gente come Ben Gvir. Lui è parte del governo, ma in tutto quello che dice e fa passa l’idea che è contro l’establishment: questa è l’unica alternativa ai vecchi poteri. Il vero problema in tutto questo è il collasso della sinistra israeliana.
Il vostro movimento punta ad essere un’alternativa di sinistra per le prossime elezioni?
Stiamo lavorando per un’alternativa, ma no non pensiamo a un partito. Il cambiamento che serve alla società israeliana è enorme. Dobbiamo porre fine all’occupazione, dobbiamo mettere fine alla supremazia degli ebrei e a ogni tipo di discriminazione. Abbiamo bisogno di creare una società in cui siamo tutti liberi e uguali. Non penso che per raggiungere questi obbiettivi serva un nuovo partito che prende qualche seggio in Parlamento. Penso che questo tipo di cambiamenti accadono per i movimenti sociali che sono in grado di sfidare il sistema politico.
Cosa pensi di quello che è successo il 7 ottobre ?
Penso che sia stato un brutale, violento e terribile attacco che non ha alcuna giustificazione anche se siamo d’accordo che i palestinesi vivono senza libertà e diritti. Ciò che ha fatto Hamas è un crimine contro l’umanità. Penso che Hamas abbia posto una sfida, ma penso che non tutto può essere risolto militarmente. Per esempio non è con l’esercito che riporteremo a casa gli ostaggi, ma con un accordo, che anche le famiglie chiedono. La guerra poi sta rendendo Hamas più forte nell’opinione pubblica palestinese da quando è incominciata. I sondaggi prima del 7 ottobre mostrano che solamente un terzo dei palestinesi di Gaza e meno della metà in West Bank supportava Hamas. Ma da quando è iniziata l’offensiva su Gaza Hamas ha raggiunto l’80% dei consensi in entrambe le parti. Quindi anche su questo punto la guerra non sta servendo a sconfiggere Hamas. E anche se vai a vedere quanto militarmente Hamas sia stata indebolita, anche qui i report dell’intelligence degli Usa ci dicono che sono morti meno di un terzo dei combattenti di Hamas e nessuno degli alti comandi è stato catturato o ucciso. Non tutto può essere risolto con la guerra.
Cosa pensi del processo iniziato due settimane fa che vede Israele accusato di genocidio?
Ho bisogno che la Corte Internazionale di Giustizia mi dica che il mio Paese sta commettendo crimini contro l’umanità? No, lo sappiamo e li vediamo. Penso che ognuno abbia il suo ruolo e che la corte internazionale debba fare quello che fa. Il nostro ruolo in Israele è organizzare la nostra società per dire che dobbiamo finire questa guerra non solo a causa dei crimini che stiamo commettendo e le violazioni dei diritti umani, ma anche perché è nel nostro interesse in quanto ebrei israeliani: questa guerra sta distruggendo anche il nostro futuro. Dobbiamo vincere la battaglia per la fine della guerra non solo per i palestinesi, ma per tutti.
Quale potrebbe essere secondo te una buona soluzione una volta finita questa devastante guerra?
Puoi disegnare una linea sulla mappa dove vuoi ma la soluzione deve avere come base la libertà, l’uguaglianza e l’indipendenza per tutti. Può essere uno stato, possono essere due, può essere una federazione, ma la radice della violenza, dell’odio e delle atrocità è il controllo militare di milioni di persone che non sono libere e indipendenti. Sempre più persone stanno capendo che questa guerra non serve a nessuno, stanno iniziando a criticare il governo, a fare domande. Il governo deve capire che non può cavalcare la paura per sempre. All’inizio le persone dicevano che era giusto attaccare con forza, ma il tempo sta passando e vediamo che i risultati non ci sono. Le domande incominciano ad arrivare e penso sia l’arma fondamentale. Dobbiamo creare un Paese dove siamo tutti uguali e liberi.