Il 18 marzo 2019, Sergio Rojas, leader indigeno Bribri e membro fondatore del Fronte nazionale dei popoli indigeni (Frenapi), è stato assassinato sotto una pioggia di proiettili. Un anno dopo, il 24 febbraio 2020, Jerhy Rivera, leader indigeno Bröran, è stato ucciso con cinque colpi di pistola. In entrambi i casi l’impunità è totale.
I due attivisti e dirigenti comunitari costaricani sono stati assassinati nel contesto di una recrudescenza della violenza contro i popoli Nasö-Brörán e Bribri, impegnati da decenni nel processo di riappropriazione dei territori ancestrali Térraba e Salitre.
Il fatto che lo Stato non si sia mai interessato alla riorganizzazione e regolamentazione dei territori indigeni, come dispone un’apposita legge, espone ulteriormente le popolazioni native agli attacchi, spesso mortali, dei latifondisti.
Secondo le statistiche dell’organizzazione ecologista Bloque Verde, negli ultimi tre decenni in Costa Rica ci sono state decine di attacchi contro chi difende la terra e i beni comuni, tra cui 13 omicidi.
Tra il 2020 e il 2022, 33 indigeni hanno subito minacce di morte nei comuni di Buenos Aires (Salitre) e Pérez Zeledón (China Kichá).
Sergio: caso chiuso
Nel caso di Sergio Rivera, già nel 2020 la Procura aveva ordinato l’archiviazione e la chiusura del procedimento penale che indagava sul crimine.
Solo grazie alle proteste nazionali e internazionali lo Stato ha dovuto finalmente respingere il provvedimento e chiedere che le indagini continuassero.
Tuttavia, lo scorso gennaio, il Tribunale penale del primo circuito della zona sud ha ordinato l’archiviazione definitiva del caso giudiziario che indagava sull’omicidio di Sergio Rojas, adducendo la mancanza di prove per portare il caso in giudizio.
La decisione è stata condannata con forza sia dai parenti del leader indigeno, sia da organizzazioni nazionali e internazionali e dallo stesso Sistema delle Nazioni Unite.
“Con questa decisione si rafforza l’impunità e il debito storico che lo Stato costaricano ha nei confronti dei popoli indigeni. Come se non bastasse, si rafforzano gli occupanti illegali, gli aggressori e tutti quei settori che ottengono benefici economici, sociali e politici dall’occupazione illegale, coloniale e razzista dei territori indigeni”, denunciano più di cento organizzazioni nazionali e internazionali.
Jerhy, nessuno è colpevole
Una situazione molto simile la sta vivendo la famiglia di Jerhy Rivera, un leader indigeno che, come Sergio Rojas, aveva ricevuto ripetute minacce di morte prima del suo assassinio, senza che le autorità facessero nulla per proteggere la sua vita.
Nel luglio dello scorso anno, tre anni dopo il suo omicidio, la Corte d’appello di Cartago ha ordinato la liberazione di Juan Eduardo Varela Rojas, condannato a 22 anni di carcere.
La decisione è stata presa dopo che gli avvocati difensori di Varela hanno presentato ricorso e la Corte ha annullato il processo e ne ha ordinato la ripetizione con nuovi giudici.
Per la Coordinadora de Lucha Sur Sur, la decisione del tribunale è “una pericolosa battuta d’arresto per i diritti dei popoli indigeni del Paese, nonché l’ennesimo esempio dell’impunità che protegge gli aggressori e la sistematica violazione dei diritti umani di questi popoli”.
La cortina di impunità che copre gli omicidi di Sergio e Jerhy contribuirà ad aumentare le minacce, le persecuzioni, l’isolamento e gli atti di violenza che, spesso, sfociano nell’omicidio.