Che il nostro mondo stesse scivolando sempre più sulla china del militarismo l’avevamo già intuito durante gli anni della pandemia, con la nomina di un generale a capo dell’emergenza, con l’uso sempre più frequente di improprie terminologie belliche nel dibattito pubblico, con la semplificazione da caserma: o con noi o traditore della patria.
In questi ultimi due anni, dallo scoppio della terribile guerra in Ucraina fino all’attacco genocida alla striscia di Gaza, abbiamo potuto verificare quanto il potere dell’apparato militare e dell’industria di armamenti stia aumentando la sua influenza, non più solo con la connivenza grigia delle istituzioni politiche, ma col loro beneplacito diretto. Il militarismo s’insinua pesantemente nel mondo della scuola e della cultura, perfino in quello del consumismo e della moda.
In un contesto del genere non dovrebbe stupire che il governo italiano abbia convertito in legge, dopo il passaggio al Senato, il decreto col quale include le basi militari tra i siti idonei ad ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari.
Si tratta di un vero e proprio fallo da rigore nei confronti della procedura per l’assegnazione, gestita dalla SOGIN, che prevede innanzitutto le eventuali candidature delle amministrazioni locali e la “consultazione dei territori”. Ora basterebbe che il ministero della difesa candidasse, per esempio, il poligono di Capo Teulada, in Sardegna, perché questo entrasse automaticamente tra i “finalisti” dell’eterna e perpetua spazzatura nucleare.
La Sardegna, col suo poco invidiabile 62% di servitù militari di tutt’Italia, avrebbe un’alta probabilità di veder prescelta una delle sue basi.
Esistono però diversi motivi che renderebbero questa scelta improvvida e pericolosa:
- L’insularità renderebbe obbligatori stoccaggi nei porti e navigazioni potenzialmente pericolose.
- Gli apparati militari dovrebbero gestire un deposito unico nazionale pericolosissimo? Nella gestione dei poligoni sardi non hanno certo dimostrato attenzione all’ambiente, riducendo a montagne di scorie centinaia e centinaia di ettari, come nella famigerata Penisola Delta, nei pressi di zone faunistiche protette.
- Nel 2011 in un referendum regionale, i sardi hanno votato al 97% contro il nucleare: quel risultato oggi andrebbe ricordato e rispettato.
- Ma ancor prima è sbagliato e, probabilmente, anticostituzionale, dare ai militari la gestione di un problema civile, visto che si tratta delle scorie di impianti nucleari “civili”.
- Infine, ma l’ultimo sarà forse primo: le sarde, i sardi non potrebbero mai accettare senza ribellarsi un ulteriore peso sulla propria terra, tantomeno quello delle scorie nucleari, che equivarrebbero ad una sorta di dannazione eterna per i pronipoti.
Scorie nucleari in basi militari?
No grazie e, per favore, non insistere.