La chiamata arriva da oltre Tirreno, lanciata dai Giovani Palestinesi e da altre associazioni: a fronte del genocidio in corso in Palestina, bisogna passare dalla fase della solidarietà, ad azioni concrete che possano «costringere la Meloni e i suoi ministri a ritirarsi da una guerra in cui sono parte attiva con la propaganda, con la vendita di armi, con gli accordi commerciali e accademici».
Hanno subito risposto il sindacato Si-Cobas che ha lanciato uno sciopero generale dei settori privati e pubblici su tutto il territorio statale per l’intera giornata di venerdì 23.02.2024.
Dopo tre mesi di mobilitazioni a forte carattere interetnico, intergenerazionale, a Sassari, diverse forze associative e sociali, movimenti studenteschi e comunità migranti, lo scorso sabato 3 febbraio, hanno costituito un’Assemblea Cittadina per la Palestina che ha subito raccolto l’appello delle realtà palestinesi e del sindacalismo di base e ha rilanciato una forte mobilitazione, chiamando un corteo. Il concentramento è previsto la mattina dello sciopero, il 23 febbraio, alle ore 9:30, in piazza Azuni.
Ad essere contestato non è solo lo stato di Israele, sotto processo all’Aia per genocidio, ma appunto lo stato italiano, complice della condotta occidentale nella striscia di Gaza e attualmente impegnato in una vera e propria azione di guerra nel Mar Rosso, per sedare l’azione di boicottaggio economico del movimento filo palestinese degli Houthi diretto contro le navi battenti bandiera israeliana e statunitense.
L’obiettivo dello sciopero e della manifestazione sarda è chiaro: «vogliamo aprire un fronte di resistenza anche nella nostra terra, perché la Sardegna viene utilizzata direttamente dallo stato italiano e da tutto l’occidente come terreno di sperimentazione e di produzione della macchina di morte che lavora a pieno ritmo a Gaza» – sostiene lo scrittore Filippo Kalomenidis, uno degli organizzatori dell’evento.
Passare «dalla solidarietà all’azione» – sostengono gli organizzatori – vuol dire spostare l’asse della vertenza direttamente al cuore del Governo Meloni e rivolgersi a lavoratori e disoccupati chiamati a «bloccare tutto» e a «scendere in piazza perché lo Stato italiano, che spende milioni per le armi e per finanziare guerre a fondo perduto, è lo stesso che ha tolto il reddito di cittadinanza e gli altri dispositivi di sostegno sociale, perché la disoccupazione è il frutto di una crisi che ha nella guerra una delle sue cause principali».
Il primo settore che ha risposto è stato quello dei lavoratori della scuola che si sono organizzati per denunciare lo «scolasticidio», vale a dire il «deliberato e sistematico attacco da parte israeliana al sistema educativo e ai docenti come parte di una più ampia campagna di genocidio» – come specifica Antonella Pes, docente sassarese, promotrice dello sciopero.
E proprio alle università è rivolta l’attenzione della manifestazione che terminerà di fronte al Rettorato dell’Università di Sassari. Contestualmente al coordinamento di docenti è nata l’Assemblea studenti per la Palestina Sassari che ha organizzato un’assemblea pubblica «contro il genocidio coloniale, crimine della nostra epoca», presso il Dipartimento Disuff (piano terra), in via Zanfarino 62 alle ore 17, mercoledì 14 febbraio.
Gli studenti hanno le idee chiare su quale dovrebbe essere la collocazione delle Università sarde: «le nostre università sono complici – sostiene Mattia Uzzau, del coordinamento studentesco – attraverso i loro investimenti e le loro relazioni accademiche, sono complici dell’industria di morte legata a Leonardo S.p.A. e perfino del sistema militare-industriale che sta dietro i bombardamenti mirati alle università palestinesi e dell’assassinio di accademici, studiosi e studenti palestinesi. È l’ora di porre fine a questa vergogna».
La mobilitazione sarà sostenuta anche dai Cobas – Comitati di base della scuola – sede di Cagliari, che in comunicato pubblicato lo scorso 8 febbraio, aderiscono allo sciopero del 23 febbraio, allargando la critica all’Unione Europea per la mancata attività diplomatica ed esprimendo la più ferma «contrarietà alla corsa al riarmo che sta caratterizzando la politica di molti stati con l’adozione di un’economia “militarista”» a scapito per esempio della scuola pubblica «con la carenza di organico del personale, l’utilizzo massiccio di personale precario, e il continuo aumento dei carichi di lavoro, il dimensionamento scolastico, con la perdita di 36 autonomie scolastiche solo in Sardegna».