[Un ricordo di Galtung del giornalista ed ex obiettore Carlo Gubitosa]
“Affidandosi alla scienza medica, come lampada per accendere piccoli lumi nel buio del rischio e dell’incertezza, l’umanita’ e’ stata in grado di reagire alla minaccia virus del Covid-19, scoprendo la sua capacita’ di ritrovarsi unita in uno sforzo di salvezza comune, con un abbraccio solidale finalizzato alla salvezza di vite umane, cancellando le divisioni posticce basate su confini, nazioni, etnie, lingue e passaporti.
La stessa famiglia umana sta cercando di salvarsi dalla crisi climatica con lo sforzo globale di climatologi, scienziati e ricercatori che indicano strumenti utili per riorganizzare le nostre attivita’ produttive, i nostri trasporti, la nostra produzione di energia, i nostri consumi e i nostri stili di vita in modo da proteggere la natura e gli ecosistemi indispensabili agli umani e agli altri animali che li abitano.
Cercando lo stesso sguardo che mette a fuoco la scienza e l’utopia, mentre penso alle scienze della pace, alle scienze umane, alle scienze sociali, alle scienze del diritto e alle scienze politiche (e anche alle esperienze di intervento civile, non armato e nonviolento fatte da tanti obiettori di coscienza, compreso chi scrive) si conferma la mia persuasione nel fatto che la famiglia umana e’ capace di debellare anche il virus della guerra, degli stermini, delle uccisioni sistematizzate, programmate e adottate come finti strumenti di pace e di giustizia, che generano solo morte e devastazione.
Un contributo determinante a questa scienza salvavita e’ quello che ha regalato al mondo con piu’ di 160 libri e 16.000 articoli accademici DA Johan Galtung, che il 17 febbraio scorso ha interrotto la sua esistenza fisica per restare piu’ vivo e piu’ attuale che mai nella disciplina di studio internazionale nota come “peace studies”, per la quale ha speso la sua vita culturale, pubblicistica, intellettuale, e accademica.
Una vita spesa al servizio della cultura della pace, del pensiero nonviolento, dello studio storico, sociologico, psicologico e politico attorno alla teoria e pratica della nonviolenza, che ci lascia una ricca e impegnativa eredita’, preziosa nei rapporti individuali tanto quanto in quelli sociali e internazionali.
Una eredita’ da non sperperare, che possiamo valorizzare e rivendicare come premessa scientifica vincolante per i politici e i governi, a cui l’umanita’ in agonia non puo’ piu’ consentire di ostinarsi negli atteggiamenti antiscientifici guidati da vecchie teorie sepolte sotto le macerie di Hiroshima e Nagasaki, come la teoria della realpolitik, dei mezzi giustificati dai fini, del “si vis pacem para bellum”, della mutua deterrenza nucleare e dell'”ombrello di protezione atlantico”, che abbiamo dovuto abbandonare di fronte alla minaccia dell'”inverno nucleare” col rischio di estinzione dell’umanita’, una minaccia che a detta del “Bulletin of the atomic scientists” non e’ mai stata cosi’ vicina, nemmeno negli anni della guerra fredda.
Le teorie primitive basate sull’uso della clava, e delle sue varianti tecnologicamente piu’ avanzate chiamate armi, sono state superate e sorpassate anche grazie al fondamentale contributo di Johan Galtung, che oggi ci consente di guardare alla follia bellica del novecento (e all’illusione imperialista della “pax armata”, che ha lasciato una lunghissima scia di sangue in tanti teatri di guerra del mondo) come guardiamo alle false teorie scientifiche che in passato pretendevano di portare la salute dissanguando le persone con salassi e sanguisughe.
Non e’ facile introdurre nella societa’ una nuova conoscenza scientifica, una nuova pratica, un nuovo modo di agire e di vedere: lo sa bene il dottor Ignac Semmelweis, che aveva scoperto l’importanza di lavarsi le mani come buona pratica di igiene e di protezione della salute, ma cio’ nonostante fu messo alla berlina dai suoi colleghi per concludere la sua esistenza in una clinica psichiatrica, senza poter vedere l’affermazione delle sue intuizioni ai piu’ alti livelli della scienza medica.
Come lui, anche Johan Galtung non potra’ vedere i frutti di quello che ha seminato, ne’ una piena applicazione della scienza dei conflitti e delle scienze della pace in situazioni dove la violenza ha creato piu’ problemi di quelli che si illudeva di risolvere.
Resta a noi il compito difficile, ma affascinante, di applicare la scienza della pace e della nonviolenza per affrontare le crisi del mondo, lavarci le mani dal sangue infetto e contagioso delle guerre che propagano il virus dell’odio, scegliere di costruire una nuova societa’ in grado di garantire pace, vita e sicurezza a tutti i popoli con gli strumenti piu’ evoluti che l’umanita’ e’ stata in grado di elaborare: la Costituzione Italiana, il diritto internazionale e umanitario, la democrazia internazionale, le sue istituzioni e le sue organizzazioni umanitarie, il multilateralismo che e’ alla base del progetto europeo e dei suoi trattati orientati alla costruzione politica della pace, la carta delle Nazioni Unite e la dichiarazione universale dei diritti umani, la teoria e la pratica della nonviolenza elaborata da Mohandas Gandhi, Aldo Capitini, Martin Luther King, Nelson Mandela, i giganti del pensiero nonviolento che oggi, grazie a Johan Galtung e tutto il corpus di ricerca dei “peace studies” ha anche un fondamento scientifico, accademico e istituzionale che si aggiunge a quello storico, filosofico, religioso e morale.
Pensando a Johan Galtung, dentro di me si fa strada una profonda gratitudine e una luminosa speranza: che un giorno le scienze della pace trovino lo spazio che meritano assieme alle altre discipline scientifiche nei programmi delle scuole dell’obbligo, nell’agenda della politica e dei mass-media, nel dibattito pubblico e nelle pratiche quotidiane di gestione dei conflitti, dai rapporti tra condomini fino a quelli tra stati sovrani.
Nel frattempo, col dolore che accompagna la fine di ogni esistenza umana, ma con la gioia di aver potuto ammirare una vita spesa bene, non mi resta che dirti grazie, caro Johan, per l’immenso contributo che hai dato con la tua vita, i tuoi studi e i tuoi scritti al desiderio di conoscenza e alle speranze di pace della nostra fragile famiglia umana.”