Il 6 febbraio il noto giornalista Tucker Carlson ha realizzato a Mosca un’intervista al Presidente della Federazione russa, Vladimir Putin. Per alcuni media indipendenti si tratta di una intervista ‘storica’, che, cioè, potrebbe cambiare la storia. Per i media generalisti o mainstream si è trattato di pura propaganda e per altri, come me, vale la pena osservare e analizzare questo avvenimento e valutarne l’effetto da ‘colpo di scena’.
Quando ho saputo di questa intervista, confesso, mi è venuto da ridere seguendo il ritmo saltellante delle mie sinapsi. E ho pensato, mentre sorgeva in me un sottile apprezzamento per la genialità della cinematografia nordamericana: è l’uomo giusto, al momento giusto…
Tenendo conto che cinematografia e politica sono ogni volta più interrelazionate nel nostro mondo, non solo negli stati uniti, che certamente ne sono maestri, vorrei fare alcune brevi considerazioni su questo evento.
L’effetto ‘annuncio’
Già l’annuncio dell’intervista ha generato una vibrazione nei media di tutte le categorie e correnti. Il solo fatto che un giornalista occidentale che su X vanta qualche centinaio di milioni di follower statunitensi e non solo, potesse entrare nei luoghi del potere a parlare con Putin per offrire al suo pubblico l’altra versione della guerra in Ucraina, è sicuramente stato irritante per tutti quei giornalisti che, in buona fede o meno, hanno contribuito alla mostrificazione del presidente russo e alla russofobia in questi ultimi anni. Nel frattempo a molti di loro, ma anche ad alcuni dei loro colleghi dissenzienti dalla linea ufficiale, deve essere sorta quella sottile invidia per lo scoop giornalistico, generando internamente un’ambivalenza quasi ridicola.
Che ci si creda o no, Carlson ha dichiarato di compiere questa azione in nome del pluralismo giornalistico americano, valore incontrastabile dell’occidente da sempre contrapposto al modello della dittatura russa. L’effetto annuncio ha generato curiosità e aspettative.
Curiosamente, dopo due anni dall’inizio del conflitto Russo Ucraino e dopo dieci anni dallo scoppio della guerra in Ucraina, questa brillante idea pluralista è stata realizzata a pochi mesi dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti e in Russia.
Il personaggio Tucker Carlson
Per chi non sa chi è, stiamo parlando di un mio quasi coetaneo che, al contrario di me, è stato commentatore della CNN per cinque anni, dal 2009 ha lavorato come analista politico per Fox News diventandone uno dei volti più noti, fino a quando pochi mesi fa (aprile 2023) è stato licenziato in tronco. Da qui l’accoglienza su X dei suoi contenuti, spesso provocatori ma non privi di lavoro investigativo. Se andiamo adesso sul suo sito, troviamo in evidenza le interviste a Donald Trump, a Vladimir Putin e a Javier Milei come pietre miliari del suo lavoro.
Il personaggio è controverso e ambivalente e, proprio per questo, è il personaggio giusto per questa operazione che è caduta proprio al momento giusto, come se ci fosse un accordo win-win silente fra i due uomini politici che stanno per sfidare le urne nei rispettivi paesi. Non ci è dato sapere come siano andate le cose, stiamo parlando di persone che, in un modo o nell’altro si conoscono, fanno parte di uno stesso ambiente o livello sociale. E a quei livelli tutto è scivoloso.
Parliamo sul serio o facciamo spettacolo?
Entrando nel merito del contenuto dell’intervista, mi ha colpito il lungo prologo storico proposto da Putin (con copia dei documenti che lui cita in una cartellina sul tavolo, in omaggio a Carlson). Nonostante le piccole interruzioni il presidente russo ha ripreso più di una volta il discorso ricordando al giornalista che all’inizio dell’intervista gli aveva chiesto se voleva ‘parlare seriamente o fare spettacolo’. E così si è pappato quasi un’ora di intervista! Devo dire che per me è stata la parte più interessante e istruttiva, ignorante e affamata di storia come sono, ma dal punto di vista editoriale, credo che abbia ammazzato l’attenzione di oltre la metà del pubblico statunitense e non solo. E questo Carlson lo sa. Mentre ascoltavo la ricostruzione storica, mi venivano in mente i discorsi fiume di Fidel Castro o le argomentazioni infinite dei Serbi e dei Kossovari riguardo alle origini delle proprie terre. La prospettiva storica non può giustificare nessuna azione di aggressione o ritorsione nel momento attuale, ma senza alcun dubbio aiuta a comprendere la profondità degli elementi in gioco ed è un vero peccato che lo spettatore medio sia stato abituato a vedere e consumare la cultura come ‘spettacolo’ e a ridurre tutto a spot e slogan di pochi minuti.
La dietrologia negata
La ricostruzione storica fatta dal presidente russo tende a dimostrare che il popolo ucraino e quello russo sono da sempre amici e fratelli, che questa vicinanza è così profonda nella storia che, anche se nell’attualità l’occidente sta alimentando una separazione fra loro, nel futuro si riavvicineranno. Questo è il messaggio che ho colto in sintesi, un messaggio che evidenzia da una parte la capacità di riconciliazione dei popoli, dall’altra la forza dei governi illuminati, quelli che rispettano le culture di tutti all’interno di una ‘grande famiglia’. All’inizio dell’Operazione militare speciale, come è stata denominata dalla Russia l’invasione dell’Ucraina, in Occidente i media hanno bollato come “dietrologia” qualsiasi tentativo di ricostruzione storica che cercasse di fare chiarezza o almeno di dare più dati per comprendere quello che stava accadendo. Oggi chi cerca di raccontare la storia della Palestina è accusato di antisemitismo. A questo è giunta la nostra informazione, a ridurre la storia in simboliche date spartiacque: 11 settembre 2001, 24 febbraio 2022, 7 ottobre 2023. Molto peggio del Bignami.
Chi è più aggressivo?
In questi due anni abbiamo assistito impotenti all’abbrutimento giornalistico in cui, prima di parlare della guerra in Ucraina, i giornalisti o gli esperti invitati a parlare erano costretti a ripetere la litania ‘dell’aggressore e dell’aggredito’. Nei media indipendenti si è fatto luce in modo esaustivo sulla storia dell’occidente e delle sue politiche in ambito internazionale, che fino ad oggi di pacifico non hanno quasi niente. Chi è più aggressivo? Non c’è modo di rispondere a questa domanda. Quando il diritto internazionale, che si basa sui trattati firmati e sulla consuetudine nei rapporti internazionali, è stato più volte infranto e interpretato come ricatto, estorsione o prepotenza; quando si parla di un nuovo diritto internazionale basato su fantomatiche regole, che non si sa quali sono ma si sa chi le ha dettate in modo unilaterale, è difficile parlare di ragione e torto. Ma non possiamo neanche ignorare che mentre il blocco orientale, dopo la caduto del muro di Berlino nel 1989, si è dissolto implodendo da dentro (non senza vittime) e ha cercato nuove forme per ricostruire legami e relazioni, il blocco occidentale si è trincerato dietro all’alleanza militare capeggiata dagli USA e dietro a una vittoria che, in realtà, non c’è mai stata. La serie di crisi finanziarie degli ultimi decenni, la decolonizzazione, la dedollarizzazione sono i segnali concreti dell’imminente crollo del blocco legato al Dollaro USA e alle politiche sfruttatrici dei paesi del cosiddetto ‘miliardo d’oro’.
Chi ha paura di solito diventa anche aggressivo.
Anche su questo punto un conciliante Putin ricorda a Carlson che i Russi hanno firmato gli accordi di Minsk e hanno lavorato per gli accordi di Istanbul e che sono ancora in attesa della possibilità di negoziare, se l’Ucraina annullerà il decreto che glielo impedisce. Ricorda anche al pubblico che non esiste solo la popolazione dei G7, che il resto del mondo sta crescendo e si sta riorganizzando.
E questi due importanti elementi della dinamica attuale sono innegabili.
Conclusioni
Da osservatrice ignorante trovo che questa intervista si presenta come un importante bug nel sistema di informazione occidentale, indipendentemente dal suo contenuto che presumo sarà visualizzato integralmente da una percentuale minima della popolazione che avrà fatto click sull’icona del video. Ci sono coloro che, sicuramente, staranno pensando che tutto ciò è solo un piccolo passo verso l’apertura (con l’assunzione della presidenza USA da parte di Trump) che porterà al governo mondiale a cui siamo destinati per un oscuro complotto, un governo che adotterà le milizie delle potenze militari e la tecnologia e delle potenze tecnologiche per controllare e assoggettare i popoli del mondo.
Senza negare che esistano correnti elitarie che considerano il pianeta con tutti i suoi abitanti come la propria scacchiera dove giocare al governo mondiale, penso che niente sia scritto e che oggi più che mai sia interessante e importante non evitare di ascoltare le diverse voci e non degradare chi non la pensa come noi, poiché siamo tutti su questo pianeta e, come dice Putin nell’intervista, i vicini di casa non si scelgono ma si deve imparare a conviverci.