Secondo le testimonianze dei rifugiati e le informazioni delle organizzazioni attive sul campo, nel sovraffollato Centro Chiuso ad Accesso Controllato (CCAC) dell’isola greca di Samos, la cui costruzione è stata finanziata al 100% dall’Unione Europea, vigono condizioni di vita vergognose. Come evidenziato nel presente rapporto di Refugee Support Aegean (RSA) e PRO ASYL, tra le altre cose si parla di una significativa mancanza di acqua corrente, di gravi carenze di beni e servizi di base e di strutture ricettive, con centinaia di persone costrette a dormire per terra nelle aree comuni.
La modernissima struttura, inaugurata nel settembre 2021 e situata in località “Zervou”, a 9 km da Vathi (capoluogo dell’isola), è attualmente sovraffollata. Secondo i dati ufficiali del 4 febbraio, 3.769 persone vivevano nel centro, che ha una capacità nominale di 3.650 persone. Secondo i dati dell’UNHCR, a fine gennaio, sul totale della popolazione registrata, la maggior parte delle persone proveniva da Siria (34%), Afghanistan (26%) e Palestina (18%). Gli uomini sono il 57% della popolazione, le donne il 20% e il 23% sono bambini.
Da quest’estate gli arrivi sono aumentati, mentre da dicembre sono diminuiti i trasferimenti verso le strutture della terraferma e c’è una significativa mancanza di spazio. Inoltre, ricordiamo che la notte del 28 settembre la capacità nominale del CCAC è stata aumentata del 79,36% – da 2.040 a 3.659 persone – senza fornire ad oggi alcun chiarimento. I rifugiati appena arrivati riferiscono a RSA di essere costretti a dormire per terra senza materassi in una stanza originariamente destinata a ristorante. Si tratta soprattutto di persone provenienti dall’Afghanistan e da Paesi africani.
A settembre, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha concesso misure provvisorie in un caso riguardante l’alloggio presso il CCAC di Samos, sulla base dell’articolo 39 del Regolamento della Corte relativo alla protezione da un pericolo imminente o da un danno irreparabile. La Corte ha invitato il governo greco a garantire che un bambino di sei mesi, affetto da problemi cardiaci, venisse sottoposto a cure mediche e che sia il bambino che la madre ricevessero un alloggio adeguato. Secondo lo Human Rights Legal Project (HRLP), che ha presentato il ricorso, i rifugiati erano stati detenuti illegalmente nel CCAC per più di 30 giorni, senza avere accesso a cure adeguate.
Durante l’autunno, molte persone sono state costrette a vivere in aree comuni come i ristoranti – compresi i minori non accompagnati che non sono stati identificati in tempo dal personale della struttura. Le condizioni in cui dormono i residenti in queste aree, in presenza di basse temperature, sono scioccanti:
“Hanno dato a ciascuno una coperta, da usare per dormire o per coprirsi. Alcuni dormono sui tavoli del ristorante”, racconta Amir*, un richiedente asilo che vive con la sua famiglia in uno di questi luoghi. “Ci sono più di 100 persone nella stanza. Ci sono altre stanze con un numero corrispondente di residenti. L’intera situazione all’interno della struttura influisce sulla psicologia dei nostri figli. Spesso non possono andare a scuola perché non ci sono posti nelle scuole dell’isola”.
A novembre, i rifugiati sono stati addirittura costretti a dormire in rifugi di fortuna fatti di pallet e teloni nei cortili del CCAC, secondo un rapporto dell’organizzazione I Have Rights.
Come sottolinea Amir*, in questi luoghi non ci sono bagni e docce:
“Usiamo quelli che appartengono ad altri residenti. L’acqua corrente nei servizi igienici è disponibile solo per una o due ore al giorno. I bagni sono molto sporchi e le donne cercano di pulirli durante quell’unica ora al giorno in cui c’è l’acqua corrente”.
Nasim*, un altro richiedente asilo con cui abbiamo parlato, che vive in un container con la sua famiglia, ci racconta della mancanza di acqua corrente:
“Sono 4 giorni che non faccio il bagno e quando c’è l’acqua è molto fredda. L’acqua calda non è sempre disponibile. Aspettiamo giorni per fare il bagno e lavarci. Non possiamo fare nulla per risparmiare acqua. Mi dicono di andare all’ufficio informazioni e di presentare un reclamo. Dicono che risolveranno il problema, ma poi non fanno nulla”.
Ricordiamo che secondo l’OHCHR, 20 litri per persona al giorno è la quantità minima richiesta per realizzare i livelli minimi essenziali del diritto all’accesso all’acqua e ai servizi igienici. Per garantire la piena realizzazione del diritto, gli Stati dovrebbero puntare ad almeno 50-100 litri per persona al giorno. Nessuno di questi standard internazionali è garantito nel centro chiuso “all’avanguardia” di Samos. Secondo quanto riferito, a causa della mancanza di un approvvigionamento idrico stabile, nemmeno i servizi igienici del personale che lavora nel CCAC possono essere puliti adeguatamente, con il risultato che i lavoratori evitano di usare i bagni. Secondo gli addetti ai lavori, la mancanza di un approvvigionamento idrico stabile nella struttura è nota fin da prima della sua costruzione. Inoltre, a Samos vi è un problema di approvvigionamento idrico in diverse altre aree. A settembre è stata presentata un’interrogazione parlamentare che sollevava il problema della mancanza di acqua corrente e potabile nel CCAC, ma anche quello della sicurezza antincendio, poiché è stato riferito che i serbatoi dell’acqua erano vuoti, mentre il Comune di Samos Est non era in grado di fornire l’acqua per il funzionamento della struttura (dato che il pozzo di trivellazione esistente non è in grado di soddisfare le esigenze della popolazione in costante aumento del CCAC).
Secondo le informazioni dei dipendenti della struttura, le lavatrici non funzionano e alla fine di gennaio si è verificata un’interruzione dell’erogazione continua di acqua corrente per quasi sette giorni, con tutto ciò che ne consegue per le condizioni igienico-sanitarie di una popolazione in cui si registrano casi di scabbia e altre malattie della pelle a causa del sovraffollamento. Secondo una pubblicazione, a settembre ai residenti con malattie trasmissibili sono stati dati cartoni al posto delle coperte.
Rifugiati, dipendenti e attivisti riferiscono di carenze di beni di prima necessità (ad esempio articoli per l’igiene come sapone e assorbenti), ma anche di vestiti e scarpe.
“Un’organizzazione ci ha dato delle ciabatte di plastica e noi andiamo in giro con quelle. Non ci sono abbastanza vestiti per i bambini piccoli e nemmeno pannolini per tutte le età”, sottolinea Amir*.
Queste carenze sono confermate dai dipendenti sul campo. Allo stesso tempo, a causa del sovraffollamento, i residenti sono costretti ad aspettare in coda per ore due volte al giorno per ricevere la colazione e il pranzo, oltre al pasto pomeridiano.
“A volte, quando arriva il mio turno, il cibo è finito, il che significa che danno cibo insufficiente e di pessima qualità. Le mie figlie a volte si ammalano a causa della scarsa alimentazione, del freddo e dei vestiti inadeguati”, dice Nasim*.
I rifugiati con cui abbiamo parlato sottolineano che ogni persona riceve solo 1,5 litri di acqua potabile al giorno, per coprire tutti i suoi bisogni. Le pubblicazioni riportano che in precedenza venivano date 6 bottiglie d’acqua al giorno ai residenti, mentre sottolineano che, secondo le testimonianze, in autunno la polizia gettava (!) il cibo [tra la folla] “a chiunque lo raccoglieva”. Secondo le testimonianze dei rifugiati, nelle code in attesa dei pasti si creano spesso tensioni che sfociano in interventi violenti della polizia.
Un altro problema importante rimane la mancanza di un dottore nella struttura. Medici senza Frontiere dispone di un’unità mobile che visita il centro tre volte alla settimana. Un medico militare visita occasionalmente la struttura, mentre l’ospedale locale presenta una grave carenza di personale. I rifugiati riferiscono anche di un supporto farmaceutico insufficiente.
“Se hai un problema di salute, di solito ti danno una o due pillole, ad esempio il depon”, racconta Ahsan*.
Per quanto riguarda il supporto psicologico, ci sono uno psicologo dell’Organizzazione nazionale di sanità pubblica (EODY) e tre psicologi di Medici senza Frontiere. Anche il supporto psicosociale per i minori presenta notevoli carenze.
Secondo quanto riferito, il CCAC è carente di personale, con conseguenti ritardi significativi nelle procedure di asilo, soprattutto per i rifugiati provenienti dall’Afghanistan e dai Paesi africani, il che è probabilmente legato alla mancanza di un servizio di interpretariato adeguato. Di conseguenza, molti richiedenti asilo non vengono registrati e vivono in condizioni di detenzione, non avendo i documenti necessari per muoversi liberamente sull’isola. Il ritmo delle registrazioni ha iniziato a migliorare nelle ultime settimane, come ci hanno riferito i dipendenti sul campo.
I rifugiati che possono lasciare la struttura riferiscono di essere stati sottoposti a controlli approfonditi al momento dell’ingresso nel CCAC.
“Quando si entra nella struttura, anche se si ha con sé una fetta di pane, la controllano. Dobbiamo toglierci le scarpe e le giacche”, dice Amir*.
“Ci sono molti controlli quando si entra e si esce e molte persone soffrono. Non gli importa se sono bambini. Ti fanno aspettare in fila finché non arriva il tuo turno, anche se fa molto freddo. Anche i bambini devono passare i controlli”, racconta Nasim*.
Anche coloro che si trovano nelle aree comuni devono affrontare una condizione di costante sorveglianza, le telecamere di sorveglianza all’interno dei ristoranti funzionano 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Ciò viola la privacy di questi individui, costretti a vivere in condizioni di sovraffollamento.
“Stiamo presentando dei reclami, dicendo che abbiamo bisogno di stare in un container, per avere un po’ di privacy. Ci rispondono che non hanno spazio”, dice Amir*.
La questione della violenza della polizia nel CCAC è stata menzionata in una pubblicazione di RSA del maggio 2023. Come sottolinea Joanna Begiazi dello Human Rights Legal Project (HRLP), purtroppo si sono ancora verificati casi di violenza della polizia all’interno della struttura. In particolare, cita un episodio in cui lei e un altro collega erano presenti durante un’operazione della squadra antisommossa nel corso di una protesta pacifica dei residenti all’inizio di gennaio.
“C’erano molte persone in attesa vicino al cancello per usufruire dei servizi, tra cui quelli forniti dall’Organizzazione nazionale della sanità pubblica. C’è stata una protesta spontanea, con le persone che gridavano: ‘Asilo, asilo’. C’erano bambini, donne e uomini. Non sembrava qualcosa di violento o che potesse degenerare. All’improvviso è apparsa una squadra antisommossa e li ha attaccati. Noi eravamo vicini. Abbiamo chiesto di esaminare le riprese delle telecamere e probabilmente ci verranno consegnate. Hanno anche arrestato una persona con l’accusa di incitamento alla disobbedienza e disturbo della quiete pubblica. Una bambina piangeva e i suoi genitori si lamentavano perché era stata picchiata. Non c’era personale amministrativo per servire la gente e la risposta è stata una violenza eccessiva”, ha raccontato Joanna Begiazi del Progetto legale per i diritti umani (HRLP).
A Samos ci sono ora famiglie di rifugiati senza casa, in attesa di ricevere i documenti di viaggio. Questi problemi sono stati aggravati dalle ricorrenti interruzioni del programma HELIOS, che è l’unico programma in Grecia per l’integrazione e l’alloggio.
“Le persone che seguono le procedure veloci ottengono lo status di protezione, ma devono aspettare 2-3 mesi per ricevere i passaporti. Non hanno soldi. Abbiamo identificato famiglie con bambini, anche neonati, che avevano ottenuto il riconoscimento e vivevano per strada. Gli uomini soli vivono in edifici abbandonati. Hanno pochissime opzioni a Samos e non hanno soldi”, sottolinea un dipendente del settore che desidera rimanere anonimo.
Fino a poco tempo fa c’era una certa tolleranza riguardo alla loro permanenza nel CCAC per motivi umanitari e non gli veniva chiesto di lasciarlo immediatamente una volta ottenuto lo status di rifugiato. Secondo le informazioni raccolte sul campo, a causa del sovraffollamento ora invece viene inviato loro un avviso in cui si chiede di lasciare la struttura entro un mese.
Dichiarazione congiunta di 20 organizzazioni della società civile
In merito alle vergognose condizioni di vita, alla mancanza di accesso all’assistenza sanitaria e alla detenzione di fatto dei nuovi arrivati, 20 organizzazioni della società civile, tra cui Refugee Support Aegean (RSA), hanno co-firmato e pubblicato mercoledì 31 gennaio una dichiarazione congiunta dal titolo “Not again in 2024: Appello per il rispetto dei diritti umani nel Centro ad accesso controllato di Samos”. Con questa dichiarazione, chiediamo la chiusura del CCAC di Samos, il rispetto dei diritti umani fondamentali e una sistemazione adeguata per le persone all’interno delle comunità e negli alloggi, in condizioni umane e dignitose.
*Le testimonianze sono anonime per proteggere la sicurezza e la privacy.
Traduzione dall’inglese di Anna Polo. Revisione di Thomas Schmid.