La strage di 5 lavoratori edili dello scorso 16 febbraio avvenuta a Firenze nel cantiere della costruenda ennesima cattedrale del consumismo targata Esselunga ha lasciato la città di Firenze sotto shock. Non era mai accaduta in città una strage sul lavoro di queste dimensioni.

La strage che va più correttamente definita Omicidio Lavorativo Plurimo ha fatto sussultare le coscienze della parte migliore di Firenze (lavoratori, sindacalisti, intellettuali giuristi).

Ci sono state reazioni diffuse tra l’altro da parte degli esperti, da parte delle Organizzazioni Sindacali confederali e di Base ed è stato posto l’accento su alcune storture normative come il Nuovo Codice degli appalti che permetti subappalti a cascata, l’utilizzo improprio per i lavoratori edili del contratto dei metalmeccanici, meno pressante sulla formazione intensiva alla prevenzione rispetto al contratto dell’Edilizia.

Altri due punti sono stati toccati a livello di media: l’introduzione possibile del reato di Omicidio Lavorativo e la questione della mercificazione del lavoro, con fenomeni di neo-schiavismo ( alcuni lavoratori immigrati deceduti nel cantiere non avevano neppure il Permesso di Soggiorno);in quest’ultimo caso appare lampante l’anteposizione da parte della stragrande maggioranza del Sistema delle Imprese e delle aziende del profitto rispetto alle misure di prevenzione di salute e sicurezza del lavoro.   E’ l’organizzazione capitalistica del lavoro che non solo  provoca un diffuso disagio e stress lavorativo ( orari di lavoro protratti, ritmi eccessivi, ecc) ma molto spesso anche malattie e morte.

Queste due questioni basilari sono attualmente oggetto di particolari approfondimenti da parte del Gruppo Salute Sicurezza Lavoro e Ambiente di Medicina Democratica, all’interno di un pacchetto di proposte molto dettagliate per le quali ci accingiamo a coinvolgere vari interlocutori tra i quali anche i decisori politici.

La  rivista MEDICINA DEMOCRATICA ha già ospitato degli interventi su queste due tematiche che sintetizzeremo brevemente nel presente  articolo.

OMICIDIO LAVORATIVO

Come testimonia Carlo Soricelli (http://cadutisullavoro.blogspot.it) i dati sui morti sul lavoro sono impietosi. Ogni anni migliaia di lavoratori perdono la vita o subiscono gravi menomazioni alla salute a causa della mancata osservanza ( non sempre solamente colposa)  delle norme di sicurezza.

A fronte di tale situazione occorre chiedersi come intervenire. Indubbiamente sarà necessaria una opera culturale  di prevenzione   basata sul  convincimento di tutti gli interessati ma, come sempre in questi casi, saranno necessari lunghi anni mentre, invece, le prime risposte concrete non  dovranno e potranno farsi attendere.

Ormai da tempo è in corso un acceso dibattito tra gli addetti ai lavori circa l’opportunità ( ma sarebbe meglio parlare di necessità) di introdurre nell’ordinamento giuridico la nuova figura criminale del reato di omicidio lavorativo. Le voci contrarie sono molteplici ed autorevoli, basti pensare a buona parte della magistratura e (ahime’…..) delle maggiori rappresentanze sindacali. I motivi di tale contrarietà sono essenzialmente di due tipi: il rischio di moltiplicare la legislazione in un paese che soffre di troppe leggi; l’inutilità di un semplice aumento delle pene per questi tipi di illeciti penali.

Tali opinioni ( seppure serie ed autorevoli)  non convincono  per una evidente considerazione che può tradursi in una domanda retorica: l’attuale normativa serve a combattere la piaga delle morti sul lavoro ? Evidentemente la risposta non può essere che negativa dato che, come visto, il numero delle vittime è in drammatico, costante aumento.

Ma allora occorre chiedersi se la novella legislativa che andrebbe ad introdurre il reato di omicidio lavorativo sarebbe un valido strumento di prevenzione e contrasto al fenomeno. La risposta è la seguente: dipende dalle caratteristiche della nuova norma incriminatrice nel senso che se il quid novi dovesse consistere in  un mero inasprimento delle pene edittali allora siamo d’accordo con gli scettici; se invece fosse qualcosa di totalmente diverso, la conclusione sarebbe ben diversa. Il punto focale della discussione è proprio questo: l’eventuale nuova norma dovrebbe avere, sotto il profilo giuridico,  caratteristiche totalmente diverse rispetto all’attuale norma incriminatrice; insomma si tratterebbe di giudicare il reato in termini totalmente diversi rispetto al metro sinora applicato e, come è facile comprendere, soltanto in questo caso una diversa disciplina ( che non si ridurrebbe in un mero aumento della pena, forse neppure necessario) potrebbe avere un senso.

Allora, brevemente e soltanto come punto di partenza per un auspicabile ampio dibattito sul tema, vediamo quali potrebbero essere gli elementi di novità.

Primo punto: introdurre il concetto del cd “dolo eventuale. Attualmente, in caso di morte di un lavoratore, l’imputazione contestata ai responsabili è quella dell’art. 589 c.p. con l’aggravante di cui al secondo comma (“se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro).

Quindi si rimane nell’ambito della colpa e questo comporta pene relativamente sin troppo miti che poi, in sede processuale,  sono destinate ad ulteriore riduzione nel caso che l’imputato decida di optare per un rito alternativo quali  il patteggiamento o il giudizio abbreviato che prevedono considerevoli sconti di pena per il quale è previsto, in ogni caso, uno sconto di pena di nella misura di un terzo

L’eventuale novella dovrebbe invece prevedere espressamente, sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato e, nei casi di maggiore gravità da valutarsi caso per caso, il così detto “dolo eventuale” ovverossia il colpevole sarebbe chiamato a  rispondere di omicidio doloso volontario e la condanna irrogata sarebbe  molto più severa rispetto all’ipotesi del semplice omicidio colposo aggravato.

Dolo eventuale significa che l’imputato risponde a titolo appunto di dolo anche nel caso in cui, pur non volendo l’evento (la morte del lavoratore), ha tenuto condotte illecite, anche omissive (omettendo di adottare le misure di sicurezza oppure manomettendo consapevomente  i sistemi di sicurezza del macchinario ), accettando in tal modo il rischio che l’evento possa accadere.

Sinora la giurisprudenza si è mossa con estrema prudenza a tale riguardo.

 Secondo punto: escludere, o quantomeno limitare fortemente negli eventi  di maggiore gravità , nell’ovvio rispetto dei principi costituzionali,  la possibilità di ricorrere a riti alternativi, in primis il patteggiamento o il giudizio abbreviato, che, come accennato in precedenza, comportano un considerevole sconto di pena.

Terzo punto: in caso di mancata adozione dei sistemi di sicurezza o di loro colpevole manomissione, escludere che l’eventuale comportamento imprudente del lavoratore possa evitare o attenuare la responsabilità penale del datore di lavoro e dell’addetto alla sicurezza. Ipotesi questa che spesso si legge nelle sentenze di assoluzione: non vi è responsabilità di parte datoriale perchè il lavoratore è stato   “imprudente”, imprudenza spesso dovuta alle condizioni oggettive in cui si trova ad operare, ad esempio turni di lavoro massacranti. D’altronde le norme sulla sicurezza sul luogo di lavoro dovrebbero servire proprio ad evitare tragedie anche nel caso di comportamenti poco prudenti del lavoratore.

Quarto punto: prevedere espressamente che la responsabilità sulla sicurezza del titolare dell’azienda non possa essere esclusa o ridotta in caso di delega della relativa funzione a institori o collaboratori; in tali ipotesi deve rimanere la solidarietà, anche sotto il profilo della responsabilità penale, del datore di lavoro.

Quinto punto: prevedere una sorta di patente a punti per le aziende, documento che dovrebbe essere valutato anche per la partecipazione a bandi di lavori pubblici.

Sesto punto:  discutere anche l’ipotesi che, nel caso di infortuni più gravi (morte di uno o più lavoratori), la competenza delle indagini sia riservata ad una procura nazionale, composta da operatori (magistrati e consulenti) che abbiano maturato una specifica esperienza nel settore.

Un nuovo conflitto di Classe per Democratizzare Demercificare Disinquinare

 La grave perdita di potere, ma anche di coscienza di classe, che i lavoratori hanno subito negli ultimi 40 anni, dopo la fine delle grandi lotte del periodo 1969-1980 ( la conclusione di quel periodo avvenne con la sconfitta alla FIAT dell’ottobre 1980) ha condotto il Movimento dei Lavoratori ad un’estrema debolezza.

Qualche segnale positivo viene da alcuni esempi  di resistenza e di ribellione operaia come quello dell’ex GKN di Campi Bisenzio (FI) (Insorgiamo!) la cui lotta è tuttora in corso. che andrebbero fatti propri dall’intero movimento sindacale per ridare speranza a tutti quei lavoratori oggi senza voce.

E proprio l’ex  GKN rappresenta oggi  la realtà più all’avanguardia dell’intero territorio nazionale. La lotta iniziata con la chiusura dell’azienda (un indotto FIAT di proprietà del Fondo inglese Melrose) il 9 luglio 2021, immediatamente occupata dai lavoratori, da allora in presidio permanente, sta arrivando ormai all’unico sbocco possibile: il recupero e l’autogestione dell’azienda,  previo passaggio della stessa  in mano pubblica, con la costituzione di una cooperativa. Le varie proposte di soluzione prospettate con la regia del MISE non hanno infatti portato ad alcun risultato concreto.  E la nuova proprietà dell’imprenditore Borgomeo con la costituzione  dell’azienda  Qf.

Il Collettivo di Fabbrica, che esisteva anche prima della chiusura dell’azienda,  ha fatto nella lotta un grande salto di qualità rappresentando un vero e proprio contropotere  con valenza  politico-sindacale, e andando molto oltre le prerogative  di contrattazione aziendale che sono in capo alla RSU. Il progetto di riconversione ecologica dell’azienda ha avuto come  estensori  i lavoratori ex GKN e gli ingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Il Collettivo della GKN ha in qualche modo ereditato, adattandolo alla situazione data, il modo di operare che negli anni 70 del 900 ebbero i Consigli di Fabbrica.

E’ proprio questo “ritorno al futuro”, ai Consigli di Fabbrica, Aziendali o del Lavoro (ogni realtà produttiva si darà il nome più opportuno), che forse potrebbe essere lo snodo per un riequilibrio di poteri nei luoghi di lavoro, ritornando ad un sano conflitto di classe.

Ovviamente occorrerà un movimento di lotta che generalizzi le esperienze più avanzate presenti a livello nazionale  partendo magari dalle aziende recuperate/autogestite: un vero risveglio collettivo della classe dei lavoratori. Gli scioperi indetti da CGIL e UIL nel mese di novembre 2023 sembrano essere un prezioso viatico e le lotte a Mirafiori presso lo stabilimento Stellantis proprio di questi giorni lasciano ben sperare.

Come generalizzare queste esperienze? Da una collaborazione tra lavoratori, intellettuali e giuristi potrebbe scaturire una proposta di legge apposita che sancisca che i rappresentanti dei lavoratori tornino ad essere i Consigli di Fabbrica e per le situazioni di non fabbrica  i Consigli del  Lavoro. Tali organismi saranno eletti sulla base di autocandidature o su scheda bianca,   azienda per azienda,  con un’election day. Potranno essere eletti tutti i lavoratori,  indipendentemente dall’appartenenza  ad una sigla sindacale. I  Consigli di Fabbrica e  del Lavoro potrebbero tra l’altro imporre un budget percentualmente collegato all’entità del profitto delle aziende, da utilizzare per la prevenzione degli infortuni sul lavoro  e delle malattie professionali.  Per le aziende molto piccole si potranno riproporre invece i Consigli Unitari di Zona territoriali (CUZ), anch’essi esistenti negli anni 70 del 900, ma poi estintisi con il riflusso, da eleggersi con analoghe modalità dei Consigli di Fabbrica e del Lavoro; i CUZ rappresenteranno i lavoratori delle piccole  e piccolissime aziende.

A tal fine   sarà necessario  lavorare a una nuova legge anche in applicazione dell’art.46 della Costituzione (tale articolo è inapplicato da 75 anni),  che  prevede la partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione delle aziende, con diritto di veto sulle decisioni strategiche. La legge andrà elaborata da parte delle avanguardie più coscienti  dei lavoratori (ex GKN in primis), dalle OOSS confederali e da quelle di base, da Associazioni come Medicina Democratica  e dai giuristi democratici, con la stessa modalità (l collaborazione tra lavoratori e intellettuali) con cui è stata già scritta la proposta di Legge contro le Delocalizzazioni. Si potrebbe pensare come ha proposto in un comizio il Segretario della CGIL Maurizio Landini ad un nuovo Statuto dei Lavoratori che superi in avanti la Legge 300/70, ovviamente ripristinando anche l’art 18.

Tali concetti sono stati ripresi ed ampliati nel libro “ IL MANIFESTO DEL LAVORO- DEMOCRATIZZARE DEMERCIFICARE DISINQUINARE “ a cura di Isabelle Ferreras, Julie Battilana, Dominique Meda – Castelvecchi 2022. Secondo le estensore del libro <<la dimensione sociale è inseparabile dalla transizione ecologica>>

Senza democrazia nei luoghi di lavoro e senza recupero della dignità dei lavoratori attraverso una lotta a fondo alla mercificazione e al neo-schiavismo non sarà possibile avere il consenso dei lavoratori alla necessaria opera di disinquinamento delle fabbriche e del territorio per una vera riconversione ecologica.

CONCLUSIONI

Abbiamo cercato di dimostrare  in questo articolo come, per combattere sul serio le morti sul lavoro proponendosi il loro azzeramento (o almeno una riduzione consistente) sia necessario agire sia dal basso da parte dei lavoratori attraverso un nuovo conflitto di classe sia dall’alto introducendo normative apposite:  di deterrenza nei confronti del Sistema delle Imprese e Aziende con l’introduzione del reato di Omicidio lavorativo; di passaggio  dalla fase di difesa  al  contrattacco usando come strumento un Nuovo Statuto dei Lavoratori. Per ottenere tali risultati occorrerà una grande alleanza (o Coalizione Sociale) tra il mondo delle Associazioni (Medicina Democratica, Noi 9 ottobre, l’Associazione Ruggero Toffolutti , Il Mondo che Vorrei ecc), le organizzazioni sindacali dei lavoratori, intellettuali, giuristi, ambientalisti. Riprendendo  Primo Levi, <<Se non ora quando?>>.

Ovviamente Si tratta di spunti per una riflessione collettiva. Discutiamone.

Gino Carpentiero e Alessandro Rombolà – Medicina Democratica