La Comunità Palestinese in Cile . Un appello dell’arcivescovo di Santiago del Cile
In generale l’emigrazione palestinese ha avuto inizio alla fine del 1800 e inizio del 1900, con destinazione maggioritaria verso i paesi dell’America Latina .
Con l’inizio della fine dell’impero Ottomano (che ha dominato tutta la zona del Medio Oriente per circa 400 anni) è cominciato il primo esodo verso il Cile da tutta la Palestina storica..
Si stima che questa prima ondata, via mare, fosse di oltre 10 mila persone, che hanno trovato una significativa accoglienza.
Loro, come tutti gli immigrati, cercavano di farsi strada e il Cile ha concesso a loro , oltre l’accoglienza , diverse opportunità.
Indubbiamente l’inserimento e l’integrazione dei palestinesi non era né facile in un paese conservatore e chiuso, come tutti i paesi dell’America Latina dell’epoca , che consideravano gli immigrati cittadini di serie B e C e non titolari di diritti.
La maggior parte dei primi immigrati erano contadini o artigiani, che sapevano leggere, scrivere e far di conto, per cui questo aspetto era determinante per il loro percorso migratorio .
La stragrande maggioranza dei palestinesi emigrati in Cile inizialmente provenivano dalle città e dai villaggi cristiani palestinesi delle zone di Betlemme, Gerusalemme, Ramallah, Belén, Beit Jala, Beit Sahour, Beit Safafa e di Taybeh.
Molti di questi villaggi e città all’epoca erano quasi a maggioranza cristiana.
Una storia unica del suo genere.
Si stima che i cittadini cileni di origine palestinese ( e i cittadini palestinesi che vivono in Cile) superino mezzo milione di persone .
E’ la comunità palestinese più grande al di fuori del mondo arabo.
Inoltre questa comunità, con questa lunga storia, è riuscita ad integrarsi a tutti i livelli, politico, economico, sociale e sportivo , mantenendo allo stesso tempo un legame con la madre patria Palestina.
Generazioni e generazioni che sono a tutti gli effetti cittadini cileni , non solo titolari di diritti e di doveri, ma che occupano anche dei posti chiave in certi campi, in modo trasversale nella politica , nei partiti di destra e di sinistra . Secondo una stima, i senatori d’origine palestinese sono il 10 % del Senato e l’ 11 % della Camera dei deputati.
Oltre a questo, i cileni palestinesi o i palestinesi cileni governano in 9 comuni e contano 26 consiglieri comunali.
Da tenere presente, inoltre, che sin dall’inizio del 1900 i nuovi arrivati hanno costruito dei siti industriali tessili, hanno aperto banche, avviando anche diverse attività assicurative .
In Cile all’inizio il clima sociale era ostile ai nuovi arrivati e di fronte a questa ostilità i palestinesi hanno iniziato a contrarre matrimoni misti .
Sempre secondo stime, negli anni 70 del secolo scorso il 70% dei matrimoni celebrati da palestinesi hanno visto come partner scelto una persona proveniente dal di fuori della comunità palestinese.
Anche qui questa scelta ha fatto sì di far superare certi pregiudizi e preconcetti, facilitando non solo l’integrazione dei nuovi cittadini ma addirittura favorendo il loro ingresso prima, e il successo dopo, in diversi campi.
All’inizio molti dei palestinesi nuovi arrivati sono stabiliti nella capitale Santiago, nei quartieri popolari scelti per motivi economici, ma non sono rimasti solo nella capitale, anzi sono diffusi in tutto il territorio nazionale .
C’è un detto popolare cileno che dice : “non c’è un solo villaggio cileno che non abbia il suo prete , il suo carabiniere e il suo palestinese”.
Questa palestinese è una comunità modello da diverse punti di vista, ha fondato scuole, addirittura ha una sua buona squadra di calcio che si chiama Palestino , ha un suo giornale e altri mezzi di comunicazione, una organizzazione di solidarietà sociale attiva non solo in Cile, ma anche in Palestina offrendo borse di studio e inviando medici in Palestina .
L’attuale Arcivescovo di Santiago del Cile, il palestinese Ferdinando Chomali Garib nei giorni scorsi ha pubblicato sul principale giornale cileno il suo grido : Basta guerra in Israele e Palestina denunciando il mercato delle armi , sottolineando la stanchezza della comunità umana nei confronti della guerra e chiede che vengano ascoltati gli appelli del Papa Francesco per mettere fine alla violenza. L’articolo è stato rilanciato a livello internazionale da Vatican.news .
Scrive l’Arcivescovo cileno-palestinese :
“ A Gaza e in Israele il grande assente è il comandamento di non uccidere.
Gridano al cielo i feriti e i morti a causa della violenza di Hamas e dell’ esercito israeliano. Gridano al cielo i milioni di palestinesi che hanno dovuto lasciare le loro case e i loro posti di lavoro per proteggere la loro vita.
Gridano al cielo gli ostaggi israeliani che vogliono solo tornare alle loro case e stare con le loro famiglie.
Grida al cielo il totale disprezzo per la vita, per i bambini, gli anziani e gli innocenti .
Questa è una guerra i cui autori ultimi non si rendono conto che la violenza genera solo violenza.
E’ triste che accecati dalla loro visione del mondo e della storia , ignorino che un cessate il fuoco sia urgente, perché ogni vita umana è sacra e perché ogni goccia di sangue versato è una vergogna per l’intera umanità che tutti condividiamo, un clamoroso fallimento della società” .
Non è arrivato il momento della pace, del dialogo e alla risoluzione pacifica delle controversie ?
È anche agghiacciante che per coloro che progettano, producono e vendono armi, la guerra sia un puro business e, secondo la loro logica, più dura e più si diffonde, meglio è. Trarre profitto dal dolore, dalla sofferenza e dalla morte di migliaia di persone è un crimine contro l’umanità. “
L’Arcivescovo di Santiago Chomali Garib , un uomo di pace, prega e fa di tutto perché il conflitto in atto non si trasferisca anche in Cile, come alcuni purtroppo stanno oggi tentando:
“ Le persone di origine palestinese ed ebraica in Cile hanno sempre convissuto pacificamente.
Si conoscono da quando erano bambini a scuola, hanno studiato nelle stesse Università, hanno avviato imprese insieme, hanno stretto profonde amicizie che si sono perpetuate di generazione in generazione. Inoltre, hanno lavorato insieme ad alte responsabilità politiche, accademiche, imprenditoriali e sociali.
Sarebbe triste, una perdita e un errore trasferire questo doloroso e sanguinoso conflitto nel nostro Paese e iniziare a far respirare l’odio presente in Medio Oriente, soprattutto alle nuove generazioni.
Questa è una strada senza ritorno e spetta a noi adulti evitarla.
Non è forse giunto il momento di avere più magnanimità, più apertura mentale, comprensione reciproca e desiderio di unire le forze per diffondere la speranza che la pace è possibile?
Prego Dio che la voce di coloro che vogliono una società libera dalla guerra venga ascoltata e che il il desiderio dei palestinesi di avere un proprio Stato si realizzi presto, in modo da costruire un futuro prospero nella regione, dove palestinesi e israeliani possano vivere in pace, professare la propria fede e costruire un futuro insieme.
Prego che i mercenari della guerra intraprendano il cammino della conversione e smettano di arricchirsi a costo della sofferenza di tanti innocenti”.
Infine dice : “Questa non è una guerra di religione anche perché in Palestina e prima della nascita del movimento sionista a fine ottocento ebrei, musulmani e cristiani vivevano assieme in modo pacifico e armonico, occorre rendere giustizia ad un popolo che lotta da oltre 100 anni per la sua libertà. Giustizia è il nuovo nome della pace”.