Il fascismo non è una catastrofe naturale, ma si sviluppa in base a delle condizioni storiche specifiche che possono variare a livello nazionale e regionale.
Pubblichiamo su Pressenza in tre parti questo interessante articolo. Ecco la seconda parte di 3:
Rendere i ricchi ancora più ricchi
Ai super-ricchi deve essere dato maggior potere e la pressione fiscale ridistribuita dall’alto verso il basso.
Fino a poco tempo fa, il notevole incremento della ricchezza in mano ad alcune minoranze non era un argomento trattato dai media a livello mondiale. Ora che se ne parla è essenzialmente da ricondursi alla sensibilizzazione al problema del clima, infatti, è proprio quell’1% più ricco dell’umanità che produce più del doppio delle emissioni di CO2 in circolo rispetto alla metà più povera dell’umanità nel suo insieme. Tuttavia, anche all’interno dell’1% più ricco c’è un’altra élite, e si tratta di 30.000 persone – il doppio rispetto a 20 anni fa – che possiedono un patrimonio dal valore di almeno 100 milioni di dollari a testa, l’equivalente di una persona ogni 300.000 nel mondo.
Queste persone rappresentano un mercato a sé stante. Solo per loro vengono costruiti in media 1.000 superyacht all’anno, dei quali i più grandi richiedono in media 2.000 litri di carburante all’ora, tradotto significa 1,5 milioni di dollari per ogni singolo pieno. Non c’è da stupirsi se i top miliardari causano tante emissioni di gas serra pro-capite quanto una città di mezzo milione di persone: ne bastano 125 di loro da soli per produrre la quantità di emissioni di gas serra pari a quelle della Francia. Tuttavia, il clima non è uno dei temi cruciali dei partiti di destra e della loro fanteria, ma non è difficile scoprire per chi lavorano e nell’interesse di chi vengono peggiorate le condizioni di lavoro, ridotti i sussidi sociali e scatenate le guerre.
Al di là della questione climatica, anche i politici che volano ai matrimoni a bordo di jet privati fanno un certo effetto agli elettori, suscitando un’immagine molto evocativa della politica: chi sta in alto, semplicemente, vive in un’altra realtà, messaggio al quale se ne aggiunge un altro con il classico paradigma della destra, ovvero chi è al vertice ha il potere di fare quello che vuole. Ciò che vi è di tragico in tutto questo è che, dietro a questa constatazione, si cela una buona parte della verità. Un esempio? Si veda il successo del referendum di Berlino sull’esproprio del gruppo immobiliare “Deutsche Wohnen” nel 2021 – completamente ignorato dal Senato, una delusione. Le destre non hanno intenzione di cambiare qualcosa, non comprendono il concetto di lotta di classe se non all’interno del razzismo, per non parlare delle proposte per una politica fiscale dell’AfD (Alternative für Deutschland è un partito politico tedesco di estrema destra, NdR). Tuttavia, dal suo canto, la sinistra extraparlamentare dovrebbe invece impegnarsi a denunciare la sfrenata ricchezza, mostrando quali sarebbero le alternative applicabili, non solo in termini di politica fiscale. Ma esiste ancora la sinistra?
Isolare le persone
Le persone devono essere sradicate e persuase che riusciranno a condurre una bella vita solo se si impegneranno abbastanza
Il fulcro dell’ideologia neoliberista, una forma del capitalismo che ha dominato la politica dei paesi industrializzati per circa quattro decenni, risiede proprio nell’isolamento delle persone. Questo avviene grazie alla divisione e all’isolamento delle persone, Una volta fatto questo, risulta più facile mettere gli uni contro gli altri e governarle. Non è un caso che il Cile, governato per decenni da una dittatura militare di destra, è stato il paese modello del neoliberismo. Con la strategia del divide et impera, le persone possono interiorizzare perfettamente il principio della competizione che viene presentato come “unica soluzione”, arrivando ad accettare le pratiche più crude di “auto-miglioramento”, solo per rimanere competitivi quanto basta rispetto agli altri. Questo rende il neoliberismo un’ideologia profondamente antisociale e anticomunitaria.
Una volta che le persone sono state condizionate, sono disposte ad accettare ogni tipo di ingiustizia come “autoinflitta”. Persino le malattie sono considerate ormai “autoinflitte” (le persone non si sono semplicemente comportate in modo abbastanza ragionevole), anche se la recente pandemia ha dimostrato chiaramente che le persone non sono tutte uguali di fronte al virus, non tutti hanno le stesse possibilità di proteggersi nel quotidiano.
Tuttavia, l’ideologia neoliberista sembra essersi dimostrata abbastanza forte per assorbire tali contraddizioni. Di fatto, questa ideologia non solo è sopravvissuta alla politica pandemica, anche quando sembrava raggiungere il punto di rottura con la sua dottrina. È riuscita persino a convincere che le famose “terapie d’urto” adottate per le popolazioni, come lo sradicamento socio-economico, la crisi, la disoccupazione ecc. fossero l’unica strada possibile da percorrere, come durante i processi di trasformazione nell’Europa dell’Est o nel contesto delle politiche del FMI e della Banca Mondiale. È riuscita anche a fare dimenticare le conseguenze scaturite da tali scelte. In fatto di guerre e guerre civili, ad esempio, la situazione della Russia prima dell’invasione dell’Ucraina, è anche il risultato di questa sorta di “terapia”, a tal punto che non ci si è nemmeno posti il problema di un possibile nesso.
Questi sconvolgimenti, spesso spacciati quasi cinicamente per “riforme sociali”, hanno portato a loro volta a processi di isolamenti su ampia scala. La ricetta di cura proposta ancora una volta è stata la competizione di tutti contro tutti: niente comunità, solo competizione, perché l’individuo è solo, non può più fidarsi delle “vecchie forze”. La promessa di felicità del neoliberalismo è una promessa esclusiva per alcuni individui. La dolce vita non è per tutti, per quanto ci si sforzi, spesso è semplicemente impossibile.
Il neoliberismo non fa altro che rafforzare le destre. Se alle persone si offre una medicina sotto forma di promessa futura di aiuto che sarà efficace solo quando i rifugiati saranno espatriati e le minacce saranno scongiurate, questa proposta purtroppo verrà abbracciata sempre più spesso. Non è una fine inevitabile, ma abbastanza scontata in assenza di alternative, in presenza di una semi-alfabetizzazione diffusa (nella migliore delle ipotesi), di sentimenti isterici, di campagne di paura e di ritorno del nazionalismo e del militarismo in ambienti (un tempo) di sinistra.
Digitalizzare le persone
I social media devono creare un’illusione sociale e alimentare così un’intera rete di messaggi di odio.
La società digitale è l’altra faccia dell’isolamento e dell’emarginazione. La collettività in senso stretto ha da tempo ceduto il posto all’onnipresenza del principio di competizione, creando una lacuna che è stata rimpiazzata da un surrogato della società: la connessione virtuale. Quest’ultima, purtroppo al posto di colmare il vuoto, non ha fatto altro che approfondire la solitudine anziché che eliminarla. Infatti, grazie alla rete abbiamo migliaia di relazioni nel mondo virtuale, e le persone non hanno nemmeno bisogno uscire di casa per instaurare delle amicizie. Tuttavia, l’isolamento, impossibile da controbilanciare con un numero qualsiasi di “amicizie” nel mondo virtuale, ha prodotto in risposta un forte desiderio di contatto, gli occhi costantemente fissi sullo smartphone alla ricerca degli ultimi post su WhatsApp. Una dipendenza data dal brivido dei continui bombardamenti mediatici, e la conseguente creazione di un forte bisogno di attenzione attraverso il tono dei commenti via via sempre più aggressivo. Ci deve essere sempre qualcosa su cui esprimersi, farsi sentire.
Ma il flusso delle “notizie” è travolgente. Non riuscire a imporsi un limite in significa non riuscire a calmarsi, perdere i sensi, correre con il branco, essere in uno stato di eccitabilità permanente. Si tratta proprio della volontà di fondersi con il branco, essere un tutt’uno per non sentirsi soli, per avere qualcosa in comune da “condividere” con gli altri anche all’interno di una pseudo-comunità dell’odio. La psicoanalisi sa che il vuoto interiore degli individui spersonalizzati genera paura, una paura che si muta in rabbia, inizialmente diretta contro sé stessi, e poi diventa aggressività e odio. La promessa di una comunità virtuale, con il contemporaneo rifiuto dell'”altro”, la suscettibilità di fronte a semplici e brevi “verità, l’insorgenza dell’isteria al dialogo, l’aggressività latente, sono tutti elementi appartenenti agli stati d’animo tipicamente fascisti.
I social media essendo in realtà tutt’altro che social, ovvero propriamente asociali, generano nelle persone comportamenti corrispondenti, che però non vanno intesi come “danno collaterale”. Non è certo colpa della tecnologia in sé, ma dell’uso che ne fanno le persone. D’altronde chi ha introdotto questa tecnologia nel mercato, l’ha fatto proprio con questo intento: l’individuo a-sociale sviluppa uno stato di ebbrezza derivante dal consumo di questi social media, ed è ciò che le aziende tecnologiche vogliono, anzi, ne hanno bisogno per trarre i propri profitti.
Oltre alle conseguenze socio-psicologiche di una società digitalizzata e isolata, la destra è stata estremamente abile nell’utilizzare le reti asociali per diffondere le loro idee ed ideologie, proprio perché questi mezzi di comunicazione sono l’ideale, anche se il mondo non può essere di certo spiegato in 140 o 280 caratteri, ma in un tweet sì. I media anti-sociali sono diventati per eccellenza dei mezzi di semplificazione, in grado di sminuire e fare leva sulle emozioni umane, fomentando al contempo l’agitazione, come se fossero stati inventati apposta per seminare odio. I media perfetti per la destra.
Elevare la salute a valore assoluto
È necessario instaurare un regime sanitario autoritario assieme a degli standard di politica sanitaria e portare i singoli all’isolamento e all’emarginazione.
La salute è stata al centro della politica, specie negli ultimi anni, quando è diventata addirittura un cavallo di battaglia. Tuttavia, il sistema sanitario stesso è stato consegnato al mercato privato, cioè al capitale. Questo dimostra che la salute non corrisponde più al suo senso letterale, bensì ad un’ideologia precisa. La pandemia di coronavirus ha imposto un regime sanitario autoritario, dove un rigido principio moralista di gruppo si è imposto sull’autodeterminazione individuale, accusando quest’ultima di essere una concezione eccessivamente individualista- e quindi “egoista” – della libertà. Le azioni moralizzanti e repressive di questa politica sanitaria sono state applicate sia nella società che nella vita privata, un comportamento tutt’altro che umano, perfino anti-illuminista.
Altrettanto grave si è rivelato l’atteggiamento di coloro che hanno aderito ai “nuovi comandamenti”, e si sono eretti a nuovi “superiori”, specialmente durante le campagne di vaccinazione, quando i sostenitori della vaccinazione anti-coronavirus hanno accolto gli scettici con disprezzo e cattiveria, sostenendo così l’esclusione sociale, dando persino luogo a fantasie di sterminio (compresi i paragoni con i parassiti come nel nazionalsocialismo). A prescindere dalle pandemie, oggigiorno stiamo assistendo all’affermazione di una concezione sempre più autoritaria della salute che include ad esempio, anche la discriminazione delle persone in sovrappeso, – senza considerare che un’alimentazione sana dipende dal fattore economico e non è alla portata di tutti. In questo modo la sanità non fa altro che alimentare i pregiudizi sugli strati sociali più poveri, assieme ad altri (presunti) comportamenti considerati “irragionevoli”.
Non si è nemmeno parlato delle persone che non sono in grado di creare condizioni di lavoro sane per sé stesse, o di persone per le quali lo “stare a casa” è stata vissuta come una punizione draconiana nei quartieri residenziali. Questo non significa necessariamente che si debba votare per un partito di estrema destra come l’AfD, ma l’etichettatura peggiorativa e l’esclusione hanno spesso spinto molte persone a passare alla destra, ovvero i nuovi manifestanti scesi in piazza, persone non inquadrate in alcuna ideologia, che non volevano semplicemente condannare la propria nonna alla morte in una casa di riposo o che erano preoccupate per le proprie condizioni precarie, e quindi per la propria sopravvivenza.
Gerarchizzare le persone e sminuirle
Le persone devono essere suddivise in base alle “razze”, in persone degne di protezione e in persone considerate “superflue”, generando così pregiudizi e sentimenti di superiorità.
Nel suo magnifico libro “African Europeans – An Untold Story”, Olivette Otele racconta la storia del continente africano da un nuovo punto di vista e allo stesso tempo sottolinea il grande contributo africano alla storia europea, un fatto che dovrebbe far riflettere. Nella storia coloniale, e in generale in tutta la storiografia fino al XX secolo, era molto diffuso il concetto secondo cui le persone di origine “straniera” non erano percepite come esseri umani e certamente non come uguali. L’altra faccia della schiavitù è stata l’esotizzazione, ovvero l’esposizione delle persone in zoo umani. La gerarchizzazione, la discriminazione e la svalutazione di gruppi di persone nel colonialismo, e la creazione di una “razza dominante” (per tutto il periodo coloniale le donne sono state considerate come oggetti quindi come vere colonie), hanno costituito la base dei movimenti fascisti che si sono sviluppati in seguito. Il rapporto tra colonialismo e razzismo nel passato e nel presente è un tema che meriterebbe di essere approfondito dall’educazione, se fosse ancora degna di questo nome.
Movimenti fascisti come il Ku Klux Klan e altre organizzazioni di stampo razzista simili, che considerano la subordinazione, persino la schiavitù come un diritto “naturale”, sono tuttora attivi nelle loro iniziative omicide. La disuguaglianza così come l’intendiamo continua ad essere applicata anche ai giorni nostri, a volte non viene nemmeno più notata, è stata interiorizzata.
Nell’estate del 2023, due eventi quasi simultanei hanno rivelato all’opinione pubblica quali vite umane contano e quali no. Il primo evento ha riguardato la morte di un centinaio di rifugiati durante il naufragio al largo di Pylos a bordo del peschereccio “Adriana”. Secondo un’inchiesta della rivista “Monitor”, le misure necessarie per il salvataggio in mare sarebbero state deliberatamente ignorate. Le morti nel Mediterraneo, la frontiera più mortale del mondo, fanno ormai parte di una tragedia che dura anni eppure, c’è ancora chi sostiene che le operazioni di salvataggio porterebbero ad un aumento dei rifugiati, quando questa teoria è stata da tempo smentita.
L’altro evento ha riguardato un sommergibile che è affondato mentre si dirigeva verso il relitto del Titanic. A bordo vi era un manipolo di persone estremamente ricche e di spicco, probabilmente alla ricerca del brivido dell’avventura, non di certo alla disperata ricerca di condizioni di vita migliori. Insomma, due tragedie agli antipodi. Tuttavia, secondo quanto trasmesso dai media, la morte di qualche centinaio di rifugiati extraeuropei, causata in parte dalla mancata assistenza da parte di uno Stato europeo, si è rivelata molto meno grave della morte di qualche membro “bianco” delle élite dell’Occidente, un messaggio molto chiaro che non può che andare a favore dei movimenti fascisti.
Ecco il link alla prima parte. La terza (e ultima) parte verrà pubblicata prossimamente su Pressenza.
Di Gerald Grüneklee
Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Thomas Schmid.