“Il grado di libertà e uguaglianza che le donne riusciranno ad ottenere, corrisponderà al grado di libertà ed uguaglianza di cui godrà ogni sezione della società”. Abdullah Ocalan.
Ci sono parole che agiscono, creano, fondano. Parole capaci di cambiare il mondo, Jineoloji – la scienza delle donne – è una di queste e sarà al centro dell’analisi, nella conferenza del 10 febbraio alla facoltà di giurisprudenza di Roma Tre. “Jin Jiyan Azadi, una filosofia di trasformazione della vita”, è scritto sul pieghevole di presentazione dell’evento.
Una conferenza zeppa di nomi di intellettuali curde che si specchiano nei titoli accademici delle ricercatrici che hanno promosso la giornata dedicata alla memoria di Sakine Cansiz, l’attivista trucidata a Parigi nel 2013. “Jin Jiyan Azadi”, significa, “Donna, vita, libertà”, ed è lo slogan scandito nelle capitali europee durante i mesi della resistenza laica al controllo iraniano degli Ayatolah.
Parole curde per affrontare la sfida estrema che sempre ha segnato il corpo delle donne, un luogo mai neutro, in cui si inscrivono le relazioni di potere basate su subordinazione e dominio. Un corpo conforme ai codici di comportamento imposti e definiti storicamente dalla cultura a dominanza maschile.
Una cultura che il pensiero curdo fa risalire all’epoca dei Sumeri, con l’invenzione dello Ziggurat che trattiene in nuce gli elementi che porteranno alla nascita dello stato moderno fondato sulla gerarchia del patriarcato e sull’egemonia del capitale.
Un salto lungo 4000 anni che prende il posto di quella civiltà policentrica diffusa e priva di poteri dominanti le cui tracce secondo l’archeologa Maria Gimbutas sono riscontrabili anche in Europa. Ma è nel Vicino Oriente, nel quadrante geografico che comprende Turchia, Siria, Iraq e Iran che affondano le radici di un matriarcato all’ombra della dea Ishtar, nella piana di Ninive, i cui lasciti linguistici – di genere – restano impressi in tante parole del dialetto curdo. Da qui, dalla civiltà dell’antica Mesopotamia – che si allarga all’attuale Iran – parte l’elaborazione politica di Abbdullah Ocalan che innalza la questione della donna a cardine della società: “la donna è stata la classe, il genere e la nazione che per prima è stata oppressa” e per questo: “La democratizzazione della donna svolge il ruolo fondamentale nella costituzione permanente della democrazia e del laicismo”. Un corpus di oltre 5000 pagine, una raccolta di saggi che supera la concezione marxiana degli inizi per approdare a una vera e propria de-costruzione del ruolo femminile nella società. Rinchiuso dal 1999 in Turchia, nel carcere dell’isola-prigione di Imrali, il leader curdo teorizza il superamento dello Stato nella dimensione istituzionale del Confederalismo Democratico. Un sistema di convivenza centrato su tre pilastri: autonomia all’interno dei singoli stati, ecologia e uguaglianza di genere. E’ la “terza via” – né con Asad né con i ribelli – lo slogan gridato nel 2011 dal movimento curdo nella Siria assediata dalle potenze mondiali. Chiave di volta per la pace in Medio Oriente e criterio ordinatore della “Civiltà democratica”, il pensiero femminile curdo rappresenta la pietra angolare su cui si è sviluppata l’esperienza del Rojava, striscia di terra nel nord est della Siria dove dal 2013 si sperimenta un modello di convivenza pacifica tra popoli di diverse etnie e confessioni. Arabi, curdi, circassi, assiri, cristiani.
Un modello politico rivoluzionario, specie per il quadrante geografico più ricco di risorse e instabile del pianeta, su cui continua a latitare una elaborazione organica da parte dell’occidente e della sinistra europea. La ginealogia, scienza che studia l’origine sociale della donna diventa negli scritti di Ocalan elemento fondativo della collettività e la contagia, fino a superare l’ordine gerarchico dello stato e l’appetito predatorio del capitale, che informa ogni angolo della società contemporanea.
Basata sull’inclusività e il doppio apicale, l’uguaglianza di genere implica che tutti i ruoli di vertice siano ricoperti da un uomo e una donna, dall’assemblea di quartiere fino al governo dello stato. In questo contesto il movimento per la libertà delle donne curde supera il femminismo occidentale, riconsegnando alla donna, prima e ultima colonia dell’umanità, l’identità perduta.