È una sentenza che fa discutere quella con cui il giudice monocratico di primo grado del tribunale di Teramo Emanuele Ursini ha assolto, perché il fatto non sussiste, 18 imputati del gruppo Snam Rete Gas, finiti sotto processo per l’esplosione di un gasdotto della multinazionale avvenuta a Mutignano di Pineto (Teramo) il 6 marzo del 2015. Le motivazioni delle assoluzioni saranno note solo tra 90 giorni, quando il giudice spiegherà il perché della decisione.
Il pubblico ministero Silvia Scamurra, nell’udienza svoltasi nel dicembre scorso, aveva chiesto 4 assoluzioni e 14 condanne per complessivi 24 anni di pena. A tutti gli imputati era stato contestato il reato di disastro colposo, mentre per l’incendio boschivo colposo, sviluppatosi in seguito all’esplosione, era stato lo stesso pm a chiedere l’assoluzione perché nel frattempo era intervenuta la prescrizione. I proprietari delle case danneggiate e gli enti locali avevano ottenuto risarcimenti per i danni provocati dall’esplosione, per cui non si erano costituiti come parti civili.
Per due imputati, responsabili della sicurezza Snam nel distretto centro orientale e nel centro di Chieti, era stata chiesta una condanna a due anni ciascuno; anche per altri quattro imputati erano stati richiesti due anni di reclusione ciascuno in quanto responsabili tecnici del distretto centro orientale nel periodo in cui erano stati eseguiti lavori di messa in sicurezza del gasdotto. Secondo l’accusa della Procura al riguardo “insorgevano le problematiche di aggravio di tensione della condotta nel tratto esploso e venivano eseguiti interventi di stress release”.
Un anno e sei mesi ciascuno erano stati richiesti invece per gli altri otto imputati, tutti responsabili tecnici della sicurezza Snam nello stesso distretto dall’ottobre 2010 fino al giorno dell’esplosione. Ad essi veniva contestata “la mancata pianificazione e predisposizione di misure supplementari per il controllo dei movimenti di versante”. Ad avviso della Procura dal 2008 la Snam avrebbe svolto sul metanodotto attività di monitoraggio dalle quali sarebbe emerso che il tubo si era alzato di 26 centimetri rispetto al 2001 proprio nella parte che poi è esplosa.
L’esplosione del gasdotto, che ha una portata pari ad un quarto di quella della Linea Adriatica – il grande metanodotto di 430 chilometri che la Snam vuole realizzare da Sulmona a Minerbio – avvenne intorno alle otto di mattina in seguito a uno smottamento di terreno in una zona collinare classificata a modesto rischio idrogeologico. Il boato si è sentito in tutta la costa, da Silvi a Roseto, e le fiamme altissime sono state viste anche a notevole distanza. La violenza dell’esplosione fu tale che una casa posta poco distante dalla condotta venne completamente sventrata, altre furono danneggiate, alcune auto finirono bruciate e gli alberi nelle vicinanze ridotti a tizzoni.
L’incendio si propagò nel piccolo bosco circostante fino a una distanza di oltre cento metri. Fortunatamente non ci furono vittime, ma sette persone, tra cui un bambino, rimasero ferite. Il caso volle che la casa distrutta dall’esplosione in quel momento non era occupata. Così come non era nella zona lo scuolabus che raccoglie quotidianamente i ragazzi del borgo perché il sindaco di Pineto Robert Verrocchio, causa maltempo, aveva disposto la chiusura delle scuole. Recatosi sul posto poco dopo il sindaco dichiarò: “poteva essere una tragedia”.
La Snam ha sempre asserito che i propri metanodotti sono sicuri, ma il caso di Mutignano di Pineto dimostra che non è così. Una esplosione può verificarsi anche a causa di piccole frane, non solo in aree ad elevato rischio idrogeologico ma anche in quelle che, come in questa circostanza, non sono considerate tali. Le frane, a loro volta, possono essere generate non solo da eventi alluvionali ma anche da terremoti. E’, questa, una delle ragioni per cui il passaggio della Linea Adriatica lungo l’Appennino, in aree classificate ad alto rischio sismico e nelle quali si sono verificati già diversi disastrosi terremoti, incontra l’opposizione delle popolazioni locali. Tanto più che gli studi della Snam sulla sismicità lasciano molto a desiderare, come è emerso nel caso della centrale di compressione di Sulmona, dove le simulazioni e i parametri applicati dalla Snam sono stati smentiti dalla verifica fatta dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV).
La sentenza sull’esplosione di Mutignano di Pineto pone pertanto degli interrogativi, non soltanto per il caso specifico ma anche per quello che è, nel nostro Paese, il livello di sicurezza degli impianti metaniferi (gasdotti, centrali e stoccaggi). Basti pensare che meno di un mese fa si è sviluppato un incendio, durato due ore, nella centrale dello stoccaggio di Cupello (Chieti), il più grande d’Italia.
Quello che più preoccupa è che la normativa relativa alle distanze dei metanodotti dalle abitazioni e dai luoghi frequentati dal pubblico mette fortemente a rischio la sicurezza e la salute dei cittadini. Infatti, in base alle norme vigenti, è possibile realizzare impianti così pericolosi anche a breve distanza (non più di trenta metri) dagli edifici, mentre, come dimostra il caso di Mutignano, gli effetti dell’esplosione, per di più di un metanodotto non di grandi dimensioni, possono coinvolgere luoghi distanti anche più di cento metri. Si tratta di norme che, evidentemente, sono state pensate più per venire incontro alle esigenze della Snam che per garantire l’incolumità pubblica.
Mario Pizzola