Dal mese di luglio del 2023, il luglio più caldo mai registrato sulla terra, siamo entrati “nell’era dell’ebollizione globale”, come ha giustamente fatto notare il Segretario Generale delle Nazioni Unite [1].

Gli esperti sono stati chiari. Le più grandi minacce per il pianeta (non solo per la specie umana) sono attualmente due: la crisi climatica e le armi nucleari, entrambe frutto dell’attività umana e, in ultima analisi, totalmente interconnesse. Le armi nucleari, oltre a rappresentare il pericolo di un palese ritorno all’era delle amebe, contribuiscono alla spesa militare, ed è proprio qui che inizia il flirt con la distruzione ambientale…

Il celebre “bootprint”, ovvero l’impronta ambientale della spesa militare, è stato volutamente rimosso dal Protocollo di Kyoto, dall’Accordo di Parigi e dal Green Deal europeo. Il motivo? È abbastanza ovvio. Come dimostrano i due illuminanti studi del Transnational Institute (TNI) e dei suoi partner (2022 [2] e 2023 [3]), la spesa militare è causa del 5,5% delle emissioni di gas serra (GHG) e, secondo il rapporto annuale dell’International Policy Research Institute di Stoccolma (SIPRI) [4], nel 2022 la spesa militare globale ha raggiunto la cifra record di 2,2 trilloni di dollari! Al di là della militarizzazione in aumento a livello mondiale, divenuta una crescente minaccia per la pace, la democrazia e la libertà, è l’ambiente naturale a pagarne le spese.

Per parecchi anni, specialmente dopo il Summit tenutosi nel 2014 in Galles (Regno Unito), la NATO ha adottato una politica di incremento della spesa militare per tutti i suoi membri di almeno il 2% del PIL. A seguito dell’invasione russa in Ucraina questa richiesta è diventata sempre più pressante da parte dei vertici non solo della NATO, ma anche degli Stati Uniti nei confronti degli Stati membri che non si sono ancora adeguati.

Nel 2021, solo sei dei 31 Stati membri hanno speso più del 2% del PIL per il settore militare, paesi come Estonia, Grecia, Lettonia, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti. L’obiettivo è diventato un’ossessione per Trump che ha minacciato in più occasioni di ritirarsi dalla NATO, se le nazioni europee non avessero raggiunto “immediatamente” l’obiettivo del 2%. La Grecia è al primo posto con il 3,7% del PIL (dati del 2021) ed è anche nella top ten delle emissioni di tonnellate metriche di anidride carbonica (KtCO2e), uno dei principali gas serra, mentre il 26,3% della popolazione è, se non già da tempo, al di sotto della soglia di povertà ed esclusione sociale, secondo Eurostat (2022) [5].

Il recente sondaggio del TNI (2023) ha messo in luce un altro aspetto tragico della politica europea. Cosa accadrebbe se i Paesi europei membri dell’UE e della NATO aumentassero tutti le loro spese militari di oltre il 2% come richiesto? Il costo sarebbe semplicemente superiore a 1 miliardo di euro, il che equivale all’investimento necessario per attuare l’Agenda Verde europea. Mi domando allora: quale sarà la priorità nelle prossime elezioni europee?

Inoltre, l’analisi sulle esportazioni di armi dei membri della NATO mostra che attualmente vengono inviate a 39 dei 40 Paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico: 17 di questi sono già in conflitto armato, 22 sono sotto regimi autoritari, 26 hanno bassi punteggi negli indicatori di sviluppo umano e 9 sono soggetti a embargo sulle armi da parte delle Nazioni Unite o dell’UE. Queste esportazioni non fanno altro che alimentare conflitti e repressioni in un momento di pericolo per il clima.

La costante invocazione della “sicurezza” per giustificare la militarizzazione della società e la logica della “deterrenza”, per evitare l’eliminazione delle armi nucleari, come già previsto dal Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) [6], non sono altro che distrazioni politiche, che distolgono l’attenzione dalla più grande crisi di sicurezza che l’umanità intera abbia mai affrontato: il collasso climatico e/o l’estinzione di quasi tutta la vita sul pianeta.

I segnali sono chiari. Il verde cachi rischia di diventare il nuovo “green”. La lotta al cambiamento climatico e alla distruzione nucleare dipenderà, tra le altre cose, dalla riduzione della spesa militare globale, dall’eliminazione delle armi nucleari, dalla de-escalation delle tensioni e dalla promozione della diplomazia, della pace e della cooperazione internazionale. Tuttavia, sarà necessaria un’azione individuale e collettiva che dimostri quanto la guerra e gli armamenti sono assurdi e che la pace e la smilitarizzazione sono la cosa più sensata da fare.

Note:

[1] https://news.un.org/en/story/2023/07/1139162
[2] https://www.tni.org/en/publication/climate-collateral
[3] https://www.tni.org/en/publication/climate-crossfire
[4] https://www.sipri.org/sites/default/files/2023-06/yb23_summary_en_1.pdf

[5] https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Living_conditions_in_Europe_-_poverty_and_social_exclusion&oldid=584082
[6] https://www.icanw.org/three_years_on_how_the_tpnw_is_having_impact

Di Nikos Stergios, Presidente della sezione greca dell’organizzazione “Mondo senza Guerre e senza Violenza”.

Traduzione dall’inglese di Maria Sartori. Revisione di Daniela Bezzi