A un anno di distanza dal drammatico naufragio del 26 febbraio 2023, Cutro resta un luogo di dolore, di rabbia, di vergogna; 94 morti e 11 dispersi a meno di cento metri dalla costa calabrese rappresentano una strage che non si può dimenticare e non si può perdonare, avvenuta nel buio profondo della notte delle istituzioni. Se da un lato è stata grandissima la solidarietà della gente verso i superstiti e i familiari delle vittime, è anche vero che proprio questa vicinanza, questo conoscersi e riconoscersi reciproco come persone in diversi modi coinvolte in questa tragedia ha reso più forte e più rabbioso il grido: si potevano e si dovevano salvare.

Le manifestazioni del 25 febbraio, parte della tre giorni organizzata dalla Rete 26 Febbraio per questo anniversario, hanno fatto da cassa di risonanza a questa semplice e terribile frase, perché hanno rimesso insieme tutto ciò che in quei giorni si è vissuto a Cutro: il naufragio e la risposta della gente, ma anche la ricerca delle responsabilità, le storie del dopo, la contestazione a una politica disumana e criminale.

Dopo la giornata di sabato 24 – in cui si è dato spazio alle emozioni della testimonianza e della speranza con la partita di calcio antirazzista organizzata da ResQ, la mostra fotografica di Giuseppe Pipita e la rappresentazione teatrale del Théatre de Mahoor della comunità afgana in Italia – la giornata del 25 si è aperta con una manifestazione che prendendo il via da Piazzale Nettuno a Crotone ha attraversato il centro cittadino sostando al PalaMilone, altro luogo divenuto ferita aperta, per giungere infine al Museo Pitagora, dove si è svolto un dibattito articolato in più voci e narrazioni.

Il corteo, molto partecipato nonostante la pioggia battente, è stato segnato in tutto il suo percorso dallo slogan “Verità e giustizia” e dal dictat “Mai più morti in mare”. Nella sala del Museo Pitagora, stracolma, si è registrato invece un silenzio partecipe, raccolto, concentrato a seguire le voci di testimoni e di quanti hanno saputo mostrare come lo Stato abbia violato l’obbligo, morale prim’ancora che giuridico, di salvare coloro che erano imbarcati sulla Summer Love.

Il dibattito, coordinato da Manuelita Scigliano, portavoce della Rete 26 Febbraio, ha affrontato la vicenda da tutte le prospettive. L’intervento di Lidia Vicchio, avvocata ASGI, ha tratteggiato le norme che impongono il soccorso il mare. Ha poi ricordato la presenza di tutte le condizioni e di tutte le informazioni perché in questo frangente una simile operazione di soccorso venisse lanciata tempestivamente; la  scelta opposta, tutta politica ma non per questo legittima, è stata quella di trattare il caso come un’operazione di immigrazione clandestina e sicurezza, neanche condotta a termine, perché tardiva e fatta con mezzi inadeguati. Gli stessi aspetti sono stati ripresi, sotto angolazioni diverse, dall’Ammiraglio Vittorio Alessandro e dal dottor Orlando Amodeo, già Primo Dirigente Medico della Polizia di Stato, due uomini, come s’usa dire, delle istituzioni, che proprio per questo hanno potuto far luce sui meccanismi della catena di comando e dei soccorsi e sulle menzogne a più riprese dette da altri uomini delle istituzioni, nel tentativo vergognoso non solo di respingere ogni responsabilità, ma addirittura di addossarle a chi si trova costretto ad un viaggio reso rischioso solo da scelte politiche. Sul soccorso in mare si sono soffermati anche gli interventi dei rappresentanti di ResQ e quello di Silvia Di Meo di Mediterranea, che hanno ricordato anche l’altro fronte di battaglia, quello della criminalizzazione dei salvataggi in mare e dei fermi imposti alle navi delle ONG. Ogni fermo significa soccorsi non effettuati e vite perdute, crimini anche questi conosciuti e voluti come deterrenti all’immigrazione. Si è infine ribadita la vergogna del cosiddetto decreto Cutro, il provvedimento scritto proprio sulla spinta di questa tragedia, che rende ancora più dura e ancora più difficile la condizione di chi emigra, concludendo che ne è indegno anche il nome, che non rappresenta il territorio e le sue risposte.

A seguire, hanno avuto largo spazio le parole dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime, venuti nuovamente e con grande dignità a ricordare la loro esperienza e i loro morti e a ribadire la loro richiesta di giustizia, in primo luogo rivolta a capire cosa sia avvenuto la notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 nella “filiera di comando” e perché i soccorsi non siano stati attivati. Hanno rimarcato anche il trattamento ricevuto dalle più alte istituzioni, nel giorno e nei giorni successivi al naufragio: ignorati a Cutro dal governo che lì si era riunito; convocati e recapitati a Roma da ogni parte d’Italia come pacchi postali, a distanza di venti giorni; destinatari delle promesse/spot della premier, puntualmente svanite nel nulla; trattati insomma come postulanti fastidiosi e non come uomini e donne feriti nei loro sentimenti e censurati nei loro diritti proprio da chi avrebbe l’obbligo di difenderli.

In contemporanea al dibattito si è svolta la raccolta firme promossa da Stop Border Violence su una legge di iniziativa dei cittadini europei che impedisca torture e violenze alle frontiere d’Europa; in un intervento nel corso del dibattito, una delle attiviste del gruppo ha sottolineato come le stragi in mare appartengano alla violenza nella difesa delle frontiere e ha mostrato come questa iniziativa sia uno strumento concreto per contrastarla.

La manifestazione si è sciolta alla sera, sotto una pioggia ancora intensa, con la volontà e la coscienza di continuare a perseguire un “mai più” che oggi ha bisogno più che mai della partecipazione di tutt3 e ha avuto un ultimo, commovente momento nella veglia sulla spiaggia del naufragio.