Ricorre in questi giorni l’anniversario della tragedia del Covid scoppiata in bergamasca. Una tragedia tramutatasi in una vera e propria strage che a partire dalla fine del febbraio 2020 ha mietuto migliaia e migliaia di morti. Non sapremo mai realmente quante morti ma certamente molte di più di quelle che sono state riconosciute ufficialmente.
Questo è il periodo in cui nei due anni precedenti si sono istituiti i giardini della memoria ai “caduti”. In cui le autorità cittadine, regionali, nazionali hanno promosso cerimonie paludate in memoria dei defunti il cui accesso veniva impedito con l’uso della forza pubblica ai familiari delle vittime. Cerimonie che hanno consentito di lucrare il riconoscimento a Bergamo e Brescia di “città della cultura 2023”, con iniziative cosiddette culturali che hanno consentito solo di accelerare i fenomeni di gentrificazione delle due città.
Quest’anno nulla, niente cerimonie, niente lacrime di circostanza. Forse perché lentamente, troppo lentamente, stanno emergendo gravi responsabilità e cointeressenze che in quel periodo, in avvio di pandemia, sono intercorse tra amministratori locali e regionali e l’imprenditoria orobica confindustriale. Quella imprenditoria che con tutta probabilità il Covid lo ha propagato in Val Seriana non interrompendo gli stretti rapporti con la Cina in piena emergenza sanitaria quando questi rap-porti erano tassativamente vietati. Si è ricorsi a ogni sotterfugio possibile pur di non rinunciare ai propri profitti privati. Siamo gli unici che fin dall’inizio hanno denunciato questo quadro di rischio estremo, di insipienza e di malafede.
Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali operate dalla magistratura, che indagava per un’altra vicenda, si può ora fare la ricostruzione (forse parziale ma comunque indicativa) di quei primi spaventosi giorni nella bergamasca, all’insegna del caos totale.
La classe politica di governo locale e nazionale si è mossa senza sapere dove dirigersi e come comportarsi, le comunicazioni erano difficili e confuse. Di utilizzare gli strumenti adeguati – ovvero i piani pandemici – nemmeno a parlarne. Si è andati avanti improvvisando, basandosi sull’emotività più che sulla ragione, sotto la pressione degli interessi economici degli industriali. Ne esce un quadro di una classe dirigente complessivamente incapace, meschina, supina agli interessi imprenditoriali, poco sensibile alle conseguenze sui ceti popolari.
Attorno al 24 febbraio, il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori (Pd) che evidentemente era già cosciente della situazione di rischio, parlando con il direttore dell’Eco di Bergamo, auspicava: «che Bergamo non venga inquadrata in zona rossa, ma solamente gialla». Ciò nonostante il Sindaco pochi giorni dopo dichiarava ai giornali che non vi erano pericoli e per dimostrarlo cena, assieme all’intera giunta, in una nota pizzeria di Città Alta. Invita altresì nel fine settimana (sabato 28 febbraio e domenica 1 marzo) a recarsi in centro a fare compere, mettendo a disposizione viaggi gratuiti sui mezzi pubblici. Da parte sua Confindustria orobica produceva filmati per garantire che a Bergamo non c’erano problemi che l’economia correva come sempre.
Il 25 febbraio, il primo cittadino di Nembro, Claudio Cancelli (Pd), riferisce al sindaco Gori di es-sere stato contattato da Pierino Persico (grande sostenitore di Renzi), presidente dell’omonimo gruppo industriale di Nembro, famoso per aver realizzato lo scafo di Luna Rossa, «in quanto preoccupato per la chiusura dell’attività produttiva».
A questo punto entra in gioco Elena Carnevali, già deputata Pd (ora candidata a sindaco di Bergamo) che il 4 marzo del 2020, a pandemia esplosa e con decine di morti al giorno, telefona al sindaco Gori e lo informa di essere stata raggiunta sempre da Persico, «il quale la esortava di far sì che le zone industriali venissero escluse dal provvedimento di chiusura». E’ la stessa Carnevali che assieme al leghista bergamasco Alberto Ribolla e l’onorevole bresciano Paolo Formentini si fa promotrice nel giugno 2021 di emendamenti al provvedimento di istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sul Covid 19 che ne limita non casualmente i compiti «con riferimento al periodo antecedente alla dichiarazione dell’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale da parte dell’Oms, risalente al 30 gennaio».
L’11 marzo Gori rassicura il patron della Brembo Bombassei (suo grande sponsor elettorale con 50 mila euro versati tramite la moglie a sostegno della campagna per le comunali di Bergamo) che ci “sarebbe un accordo tra Fontana e Bonometti” – il primo presidente della giunta lombarda, il secondo presidente della Confindustria lombarda – “in cui veniva definito quali aziende chiudere e quali no”, accordo che salvaguardia alcune grandi imprese come la sua Brembo e la Tenaris dei Rocca, chiudendo solo le medie e piccole imprese. Svelando che anche il centrodestra lombardo subiva e accettava pressioni politiche dal padronato.
Il 21 marzo Gori in una telefonata sintetizza “le difficoltà nel dichiarare la Val Seriana zona rossa” sono dipese “dalle pressioni ricevuta da Confindustria” e che la volontà di non chiudere partiva anche dal sindaco leghista di Alzano Lombardo unitamente ad alcuni industriali della zona tra cui la ditta Persico.
Un vero e proprio ricatto da parte del grande padronato che ha ritardato colpevolmente l’istituzione della zona rossa in Val Seriana decretando invece la zona arancione in tutta Italia che a differenza della zona rossa non chiudeva tutte le attività produttive, col risultato di una repentina e in-controllata diffusione della pandemia e migliaia e migliaia di bergamaschi che hanno perso irrimediabilmente la vita. Una strage che si poteva e doveva evitare. Se migliaia di persone, di lavoratrici e lavoratori si sono potuti salvare è perché di propria iniziativa si sono rifiutati di immolarsi sui posti di lavoro.
Ecco perché i familiari delle vittime e le cittadine e i cittadini non hanno mai potuto accedere alle cerimonie di commemorazione dei loro morti. Ecco perché in questo anno elettorale a Bergamo non ci saranno cerimonie ufficiali a ricordo delle vittime di una strage. Tantissime morti e sofferenze che di colpo sono diventate scomode, da rimuovere insieme alla montagna delle responsabilità politiche ed economiche. Per lorsignori si deve andare avanti come prima, peggio di prima privatizzando la sanità, riducendo la prevenzione, mercificando la vita umana.
Ma il re è nudo, e noi non intendiamo né tacere né dimenticare. Più che mai vi è la necessità di costruire l’opposizione a un sistema liberista che disprezza la vita umana, che considera l’esistenza fisica una variabile dipendente dagli interessi del capitale.
Ezio Locatelli, segreteria nazionale
Francesco Macario, segretario provinciale Bergamo del Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea