L’annuncio del ritiro del provvedimento sull’uso sostenibile dei pesticidi rappresenta un altro passo indietro della Commissione Europea sul green deal e sulla transizione ecologica.
Le mobilitazioni degli agricoltori europei con molte posizioni condivisibili, altre meno, stanno portando i primi risultati ma nella direzione sbagliata ed a vantaggio delle lobby dell’agroindustria e di un modello agricolo europeo sempre più insostenibile.
La Presidente della Commissione Europea, campione del Partito Popolare Europeo (per capirci il Partito di Tajani in Italia), pronta ad accasarsi al comando NATO ed a pochi mesi dalla fine del suo disastroso mandato, ha annunciato il ritiro da parte della Commissione del regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi (SUR).
Un provvedimento purtroppo già bocciato dal Parlamento Europeo con maggioranza di centro destra e arenato da tempo in Consiglio UE.
Il regolamento SUR è di fatto parte importante del green deal e dell’impegno della Commissione a favorire un futuro timidamente più verde e sostenibile per l’Unione Europea.
Il regolamento SUR presentato dalla Commissione lo scorso 22 Giugno vedeva l’obiettivo di una decisa riduzione dell’utilizzo di prodotti fitosanitari chimici a livello di ogni singolo stato membro entro il 2030. Nel caso dell’Italia il provvedimento avrebbe dovuto portare la riduzione del 62% per il consumo totale dei prodotti fitosanitari e del 54% dei prodotti declinati come sostanze pericolose con il divieto di tali sostanze nelle aree Natura 2000 e dove accertata la presenza di insetti impollinatori a rischio estinzione.
Il regolamento SUR da sempre è stato attaccato da tutte le destre europee, nonché dalle lobby dell’agroindustria e della chimica.
La proposta della Commissione sull’uso sostenibile dei fitofarmaci, meritava sicuramente un livello avanzato di interlocuzione con i cittadini e con gli stessi agricoltori mentre calata dall’alto è sembrata di fatto un atto punitivo nei confronti di un settore che vive già elementi di forte difficoltà
L’agricoltura europea e ovviamente l’agricoltura italiana, hanno bisogno di un profondo cambiamento e la transizione ecologica è un passaggio fondamentale che va però affrontato di concerto con gli agricoltori e non contro gli agricoltori.
I cambiamenti climatici ad esempio pongono scenari complessi per l’agricoltura e serve un cambio di paradigma a partire da investimenti pubblici e magari anche privati sulla ricerca, ovvero su come migliorare le rese delle produzioni, la qualità, la difese dalle fitopatie.
I tagli pubblici al settore dell’agricoltura europea negli ultimi anni sono stati devastanti: in pochi anni il bilancio della Politica Agricola Comunitaria ( PAC) è passato dal 50% dell’intero bilancio comunitario a poco più del 30%. Le risorse della PAC (ovvero risorse pubbliche! Lo ricordino i neoliberisti da operetta) restano però ancora risorse importanti (500 miliardi! In Europa, 55 miliardi in Italia in sette anni) per il settore anche se gestite malissimo con l’80% dei contributi al 20% delle aziende, spesso le più grandi e le più inquinanti, mentre il 20% dei contributi va all’80% delle aziende, spesso quelle più piccole, che operano nelle aree marginali e che danno un contributo importante all’economia delle aree rurali, all’ambiente, al paesaggio, nonché nella lotta al dissesto idrogeologico.
Le difficoltà dell’agricoltura europea non sono certo le politiche verdi anzi tra i motivi particolarmente sentiti anche dai manifestanti di questi giorni vi sono sicuramente i costi alle stelle dei combustibili fossili a partire dai fertilizzanti azotati verso cui pesa l’embargo con la Russia che ne è il primo produttore mondiale.
Gli agricoltori italiani ed europei hanno bisogno di investimenti qualificati in ricerca, risorse mirate che premino il lavoro, gli investimenti, la transizione ecologica, il benessere animale negli allevamenti e non la rendita fondiaria come avviene oggi.
Oggi i prodotti agricoli, che pure al consumatore finale costano tantissimo, vengono pagati pochissimo agli agricoltori che sempre più producono sotto gli stessi costi di produzione provando poi a sopravvivere con i contributi della PAC.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, coordinamento di Unione Popolare