Il tasso di occupazione femminile in Italia risulta essere – secondo dati relativi al IV trimestre 2022 – quello più basso tra gli Stati dell’Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media UE: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio UE è stato pari al 69,3 per cento. Un divario significativo si registra anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro: le donne occupate, infatti, sono circa 9,5 milioni, laddove i maschi occupati sono circa 13 milioni. Sono alcuni dei dati presenti nel recente Dossier del Servizio Studi della Camera dei deputati dal titolo “L’occupazione femminile” (dicembre 2023).
Tra i dati del rapporto colpisce in modo particolare quello sulla fuoriuscita dal lavoro delle donne a seguito della maternità: una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità, a dimostrazione del fatto che – aldilà della perenne retorica su “inverni demografici” e denatalità e della pioggia di bonus – l’aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l’attività lavorativa. “La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata, si legge nel Rapporto, per oltre la metà, il 52 per cento, da esigenze di conciliazione e per il 19 per cento da considerazioni economiche. In generale, il divario lavorativo tra uomini e donne è pari al 17,5 per cento, divario che aumenta in presenza di figli ed arriva al 34 per cento in presenza di un figlio minore nella fascia di età 25-54 anni.”
Anche secondo il Rapporto ISTAT SDGs 2023, infatti, la distribuzione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne non migliora, anche se l’istruzione si conferma essere un fattore protettivo per l’occupazione delle donne con figli piccoli. Nel 2022, il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 55,5% (+1,6 p. p. rispetto al 2021), mentre quello delle donne della stessa età senza figli è del 76,6% (+2,7 p.p. rispetto al 2021). La differenza occupazionale tra lo status di madre e non madre è molto bassa in presenza di un livello di istruzione più elevato, con un valore dell’indicatore pari a 91,5%.
Altri elementi che caratterizzano l’occupazione femminile sono l’accentuato divario retributivo di genere e il tipo di lavoro svolto dalle donne. Per quanto concerne la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5 per cento, mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43 per cento. Dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, invece, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l’occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate (contro il 26,2 per cento degli uomini).
“La scarsa partecipazione della popolazione femminile al mondo del lavoro, si sottolinea nel rapporto del Servizio studi della Camera, è ascrivibile anche alla bassa quota di lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) tra le donne laureate.” L’ISTAT rileva infatti che lo svantaggio delle donne rispetto agli uomini nei ritorni occupazionali è più ampio nelle discipline socio-economiche e giuridiche e raggiunge il massimo nelle lauree STEM. Tale risultato, tuttavia, non dipende dalla bassa incidenza di donne laureate nelle aree disciplinari STEM che presentano le quote più elevate di occupati (informatica, ingegneria e architettura), poiché il forte divario di genere si osserva anche a parità di macro area STEM: il tasso di occupazione femminile sia per l’area “scienze e matematica” sia per l’area “informatica, ingegneria e architettura” è inferiore a quello maschile di 10 punti e la differenza scende appena tra i 25-44enni (7,5 e 9,2 punti rispettivamente). Le disuguaglianze di genere (e gli stereotipi) – prosegue il rapporto ISTAT – devono quindi essere combattute sia nelle scelte degli indirizzi di studio, sia nel mercato del lavoro.
Il Dossier del Servizio studi della Camera dei deputati dà conto anche delle strategie predisposte sia a livello sovranazionale – declinate in interventi nella legislazione italiana – sia a livello nazionale, che sono finalizzate accrescere la parità di genere nel mondo del lavoro. Nel quadro delle strategie sovranazionali, si collocano l’Agenda 2030, la Strategia per la parità di genere 2020-2025 dell’UE e la direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, per la parità retributiva. Nel quadro delle strategie nazionali, si collocano il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), la Strategia per la parità di genere 2021-2026 e il Bilancio di genere. Nel Dossier si passano in rassegna: la previsione di esoneri contributivi in favore dei datori di lavoro che assumono donne, anche in particolari condizioni di svantaggio; la realizzazione di azioni positive finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro, attraverso la tutela della maternità, della paternità, l’assistenza ai soggetti disabili, il lavoro agile e la trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale; il Codice di autodisciplina delle imprese; le misure per la parità di genere previste nel richiamato PNRR, sia di quelle dirette, quali la certificazione di parità di genere e la promozione della creazione di imprese femminili, sia di quelle trasversali, quali, da un lato, la promozione dell’accesso da parte delle donne all’acquisizione di competenze STEM, e dall’altro, il rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto all’assistenza domiciliare e il potenziamento dei servizi per l’infanzia.
Strategie e misure che ad oggi non sembrano tuttavia sufficienti a colmare un insostenibile divario di genere, con le donne che restano meno pagate rispetto ai colleghi uomini, che non di rado sono costrette in situazioni precarie e in settori poco strategici, che continuano a non avere a disposizione i servizi necessari a conciliare vita e lavoro e che restano ancora troppe volte sole a sopportare il carico di lavoro per le cure familiari.
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