Negli ultimi mesi stiamo assistendo a un’intensa e insolita campagna mediatica promossa dalle rappresentanze sindacali di Poste Italiane, in particolare dalla triplice Cgil, Cisl e Uil, rivolta contro l’abuso dei contratti a termine e le condizioni di lavoro degradanti e irregolari a cui spesso sarebbero sottoposti i lavoratori precari addetti al servizio di recapito. Ma questo – nel silenzio e nell’indifferenza generale – si sapeva già da tempo!
La crescente precarizzazione del lavoro in Poste non è un fenomeno recente, bensì fa da contraltare, per così dire, alla “decantata” privatizzazione avviata durante il governo Renzi: il numero degli occupati a tempo determinato, stando ai dati forniti dall’azienda, sale da circa 4.200 unità nel 2016 a oltre 9 mila negli anni 2017-18 e 2020-21; 6.900 nel 2019 e 7.600 nel 2022. Tali valori espressi in posti a tempo pieno (FTE) non sono indicativi del numero dei dipendenti realmente assunti. Il conteggio “per testa” è di gran lunga superiore.
Non v’è dubbio che le politiche di precarizzazione del lavoro favoriscano lo sfruttamento, come dimostrato dalle numerose testimonianze di lavoratrici e lavoratori precari di Poste Italiane pubblicate dalla stampa locale nell’ultimo anno. E dal caso, ancora tutto da chiarire, degli straordinari “fantasma”, per la riscossione dei quali in tanti si sono rivolti all’Ispettorato del lavoro o hanno avviato azioni legali: sarebbero un’infinità le ore di straordinario sistematicamente non pagate da Poste Italiane ai dipendenti precari, nel complice silenzio dei sindacati conniventi e in favore della parte aziendale.
Nella desolante cornice di precarietà e sfruttamento emersa grazie alla volontà e alla tenacia delle lavoratrici e dei lavoratori in lotta, senza alcun ancoraggio sindacale, per la rivendicazione dei propri diritti, le parti sociali scoprono i precari. Si potrebbe dire meglio tardi che mai, se non fosse una scelta dettata da puro opportunismo politico. Cosa hanno fatto i tre confederali in tutti questi anni e cosa intendono fare per limitare il ricorso ad assunzioni a tempo determinato?
Sebbene conformi ai dettami di legge, i contratti a termine stipulati da Poste non si esauriscono nell’ambito delle esigenze straordinarie o temporanee, ma rispondono anche a esigenze stabili e durevoli mascherando, di fatto, una carenza di organico. Ciò consente di disporre di forza lavoro a minor costo, ricattabile e flessibile. Una prassi contra legem, costantemente attuata dall’azienda, osservata e mai denunciata dalle organizzazioni sindacali.
I sindacati complici – con le vele a segno e la barca lanciata – hanno guadagnato sulle spalle dei precari sottoscrivendo accordi al ribasso sui diritti dei lavoratori e contestualmente assecondato la logica del lavare in casa i panni sporchi facendo da scudo all’azienda. Ora che il vento sta cambiando per evitare di prendersi le proprie responsabilità, si accodano nel denunciare un eccesso di precariato e situazioni di sfruttamento che quasi sempre sono state tollerate.
Così i sindacati complici hanno scoperto i precari. Ovvero: quando la bolla speculativa dei postini sfruttati è esplosa, ma di certo non per merito loro. Quando la stampa ha acceso i riflettori sulle condizioni di sfruttamento “legalizzato” che molti lavoratori letteralmente invisibilizzati, soprattutto giovani, sono costretti a subire nella logistica di Poste. Insomma, quando sarebbe stato impossibile non vedere il disagio provocato a decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori dall’adozione di politiche di profitto economico approvate dagli stessi sindacati che ora invocano un cambio di rotta per salvare la faccia e la reputazione.
Carmine Pascale (ex dipendente Poste)