Nella primavera del 2014 Ibrain, Giuseppe, Renzo ed io, siamo ritornati in Burkina Faso per concordare con i funzionari del ministero della Sanità gli interventi per completare il Presidio Ospedaliero, che già da alcuni anni “L’ARNI”, l’associazione dei Burkinabè che vivono in Italia e l’Associazione “Volo Insieme” di San Mauro Pascoli, stavano costruendo a Niaogho.
A Niagho avevamo fatto amicizia con Moussa, un dinamico giovane che parlava bene l’italiano e che si era subito reso disponibile a farci da interprete durante tutto il nostro soggiorno nel villaggio.
Moussa da adolescente era venuto in Italia ed aveva trascorso un periodo in Campania alla raccolta dei pomodori, poi si era trasferito a Brindisi e successivamente era andato in Romagna dove aveva conseguito la qualifica di installatore elettrico, in un istituto professionale di Forlì.
Raggiunta la maggior età era ritornato a Niaogho.
Nelle settimane trascorse insieme, la sua presenza era stata fondamentale per noi e si era creata una amicizia che dura tutt’ora.
Quando alcuni anni fa era morto suo padre, mi aveva detto che per lui ero diventato come un suo secondo padre ed anche per me e per i miei famigliari lui è diventato: il “mio figlio d’anima”, come si suol dire in Sardegna, quando tra un anziano ed un giovane si creano rapporti simili al nostro.
Moussa fin dal suo rientro in Burkina Faso lavora i terreni della sua famiglia, dove produce ortaggi e cereali, vi è anche una piantagione di mango e all’occorrenza lavora anche come idraulico ed elettricista.
Alcuni anni fa mi aveva telefonato per chiedermi cosa ne pensassi di un suo eventuale ritorno in Italia.
Gli avevo risposto, senza esitazione, di restare a Niaogho (dove nel frattempo si era sposato ed erano nati una figlia ed un figlio) perché lui era una “risorsa” per il suo villaggio e gli avevo spiegato quale fosse realmente la situazione da noi, per nulla favorevole ai nuovi arrivi, molto diversa dagli anni di quando c’era lui.
Nei giorni successivi mi aveva espresso il desiderio di iniziare un allevamento di pecore, dato che avrebbe potuto destinare una parte dei terreni a foraggera e a pascolo.
Attualmente continua con determinazione il suo lavoro di allevatore-agricoltore, ha un piccolo gregge di ovini, alcune vacche e collabora con lui anche suo cugino Calù, un altro nostro amico che avevamo conosciuto a Niaogho.
La scorsa Primavera Mussa e Calù hanno proposto ad altri loro amici agricoltori-allevatori, con i quali si aiutano reciprocamente durante la raccolta dei prodotti, di unirsi in un’associazione ed hanno subito avuto molte adesioni.
All’inizio dell’estate Moussa mi telefona molto preoccupato per informarmi che parecchi giovani di Niaogho, compresi quelli che avevano aderito all’associazione, stavano vendendo il bestiame e indebitavano le loro famiglie per pagarsi il viaggio per venire in Italia, partendo dalla Tunisia.
Mi aveva anche detto che alcuni erano già partiti e che alcuni dei suoi conoscenti erano annegati durante la traversata.
Io gli avevo detto che in Italia la situazione era ulteriormente peggiorata e che alcuni componenti dell’attuale governo avevano addirittura proposto un blocco navale, per impedire le partenze dalla Libia e dalla Tunisia.
Ho fatto tutta questa premessa, per rendere più comprensibile il dialogo, intercorso con dei messaggi sonori tra Moussa e me e che riporto di seguito:
Gavino (domanda) – Come ti spiegavo ieri pomeriggio, quando mi hai detto che i tuoi amici continuano a partire, la situazione in Italia è sempre più problematica, a Lampedusa sbarcano quotidianamente centinaia e centinaia di creature e purtroppo arrivano anche notizie tragiche, riferite a naufragi con vari morti annegati. Molti arrivano stremati dal viaggio e recentemente una neonata e un neonato sono morti subito dopo il parto avvenuto durante la traversata.
Quando alcuni mesi fa mi avevi detto che anche da Niaogho parecchi tuoi amici erano partiti verso la Tunisia per poi imbarcarsi per l’Italia e che altri tuoi conoscenti stavano vendendo il bestiame per potersi pagare il viaggio, io ti avevo spiegato quale era ed è la situazione in Italia e non quella illusoria che invogliava i tuoi amici a partire.
Ti avevo anche chiesto di dissuaderli e di spiegare che non c’era solamente il pericolo di morire durante il viaggio e una volta giunti in Italia, avrebbero trovato una situazione tutt’altro che favorevole.
Hai notizie dei tuoi amici? Sai qualcosa di come stanno e dove sono ora?
Hanno ascoltato quello che dicevi o continuano a farsi ingannare e partono ugualmente?
Moussa – (risposta) – Dal nostro villaggio ne sono già andati via parecchi e solamente nel quartiere dove abito non ci sono più i giovani che conoscevo e ho calcolato che almeno in cinquecento sono partiti per la Tunisia e da quanto ne so, più di quaranta sono arrivati in Italia, alcuni di loro hanno detto che erano feriti ed ora le loro famiglie sono molto preoccupate.
Di un mio amico che si chiama Dauda, la cui madre è molto amica della mia, non si sa più nulla ed anche di altri due ragazzi non si hanno più notizie già da parecchio tempo. Di un altro gruppo di giovani, partiti insieme per la Tunisia, si sa che alcuni sono arrivati in Italia, altri invece sono ancora in Tunisia per cercare di imbarcarsi ed ogni tanto chiamano a casa per chiedere dei soldi per poter restare in quei luoghi.
Ce ne sono altri che sono là da quattro o cinque mesi e non hanno ancora ricevuto il denaro per pagarsi la traversata.
Ti posso dire con certezza che dal nostro villaggio se ne sono andati più di duemila giovani. Anche quasi tutti quelli che avevano aderito all’idea di costituire l’associazione per lavorare insieme se ne sono andati. Di quel gruppo siamo rimasti solamente Calù, io ed un altro ragazzo che sei mesi fa è rientrato dall’Algeria.
Quando era in Algeria una pattuglia di agenti di polizia lo aveva fermato e mandato via, si era fatto male ad una gamba ed era rientrato a Niaogho ed ora lavora con noi nell’allevamento.
Credimi è la verità quella che ti dico e sta accadendo proprio tutto questo nel nostro villaggio!
Qui da noi c’è un animaletto che in dialetto bissa noi chiamiamo : “sisi” e questo insetto ogni volta che vede una luce le si getta contro, anche se è quella del fuoco. Quando parlo con i ragazzi per spiegar loro le ragioni per non partire e vedo che non le vogliono capire, io dico che noi siamo come i “sisi”, perché andiamo a morire da soli.
Devo anche dirti che quelli che erano arrivati in Italia avevano subito chiamato i loro famigliari per rassicurarli che stavano bene e ormai sono trascorsi quattro o cinque mesi e non si sono più fatti sentire e questo, a mio avviso, significa che non si trovano un una buona situazione, perché altrimenti non avrebbero fatto trascorrere tutto questo tempo senza dare notizie alle loro famiglie.
Io cerco di dissuadere quelli che sono rimasti, però sono pochi quelli che mi ascoltano, ed anche adesso che sono diminuite le partenze, ci sono alcuni che vogliono andare via, io dico loro di parlare anche con i genitori e i parenti di quelli che sono partiti e chiedere come stanno i loro figli, se hanno telefonato per far sapere se stanno lavorando.
Proprio l’altro ieri, dopo che ci eravamo sentiti è arrivato un ragazzo di ritorno dalla Tunisia e quando è sceso dalla vettura che lo ha riportato a casa, ho notato che era ferito ad un ginocchio.
Lui era andato in Tunisia per tentare la traversata ma è stato scacciato.
Ho cercato di dargli una mano e l’ho accompagnato alla sua casa e poi gli ho detto che sarei passato più tardi a trovarlo.
Quando ieri insieme a Calù siamo andati a fargli visita, sua madre non ci ha fatto entrare in casa e ha detto che suo figlio non stava bene e di ritornare un’altra volta.
Ti avevo raccontato anche di quei due ragazzi che erano annegati e noi avevamo partecipato alla veglia funebre.
Avevo anche parlato di Dauda e di quei due ragazzi dei quali non si hanno più notizie e si pensa che non siano arrivati in Italia, perché se fossero arrivati avrebbero subito informato le loro famiglie.
Io comunque cercherò sempre di convincere quelli che sono rimasti a non partire.
Sono convinto che anche restando qua si possa realizzare qualcosa se ci si mette un po’ di convinzione.
E’ anche vero che da noi purtroppo c’è anche il problema del terrorismo, che un tempo non c’era ed anche se nella nostra Provincia i terroristi non sono arrivati perché loro sono al nord del Paese, a Niaogho sono già giunti parecchi profughi, costretti ad andare via proprio a causa dei terroristi.
Solamente alcuni giorni fa ne sono arrivati altri trentacinque e tra queste persone c’erano solamente due anziani e due giovani e il resto erano donne e bambini, sono fuggiti dal loro villaggio perché i terroristi hanno ucciso i loro famigliari.
Nella nostra zona fortunatamente non c’è questo problema che costringe i nostri giovani ad andarsene.
Devo anche dirti che quando un mio amico è partito io ho pianto, perché mi era dispiaciuto che se ne fosse andato.
Lui era più avanti di me nell’allevamento del bestiame, aveva otto vacche ed oltre cento pecore ed ora alla sua famiglia sono rimaste solamente sette pecore.
Le sette pecore le accudisce sua moglie insieme ad un bambino piccolo, le mucche e le altre pecore le ha vendute per andare in Italia.
Fino ad ora ha chiamato una sola volta sua moglie per dirle che era arrivato in Italia e sono passati già tre mesi e non si è più fatto sentire, ma ti tendi conto!
Adesso non hanno più nulla! Sono rimaste solamente le sette pecore che sua moglie accudisce con difficoltà, perché non ha un figlio grande che possa darle una mano.
Io lo avevo quasi pregato suo marito di non vendere tutto il bestiame e di non credere che in Italia avrebbe trovato il Paradiso.
Gli avevo detto :” Tu lo sai che io sono già stato in Italia, però non mi è andata bene. Non voglio augurarti che ti vada male, ma non ti conviene andare via”.
Quando gli ho parlato così, lui se l’era presa e non ha voluto più comunicare con me perché non gli davo coraggio”.
Un giorno, mentre ero al mercato del bestiame ho visto le sue mucche, aveva incaricato qualcuno per venderle.
Ora che lui è in Italia ogni tanto sua moglie viene a parlare con me per chiedere delle informazioni che io non posso darle perché non so niente.
Le dico che se lui non le telefona è perché telefonare dall’Italia costa almeno cinque euro, che sono oltre tremila franchi e se non lavora non può permettersi di telefonare.
Lei mi dice che è molto dispiaciuta e che è già passato molo tempo da quando suo marito era arrivato e avrebbe già dovuto lavorare. Mi dice anche che a loro non sono rimaste molte risorse.
Ti ripeto, a me dispiace tutto questo ed io spero che lui si faccia sentire, per farci sapere come sta ed anche perché vorrei chiedergli se ha capito che quello che gli avevo detto corrisponde a verità.
Gavino (domanda) – Vorrei chiederti anche cosa si aspettano dall’Italia quelli che sono partiti e quelli che vogliono partire e cosa dicono quelli che già da molto tempo si sono stabiliti e lavorano in Italia e perché , sapendo come è la situazione qui da noi, non hanno dissuaso i loro amici o parenti a partire?
Moussa ( risposta) – I loro parenti che vivono in Italia, quando durante le ferie ritornano a Niaogho, parlano sempre molto bene di come è la vita in Italia.
Le case nuove di Niaogho sono quasi tutte di gente che lavora all’estero ed anche le poche vetture che circolano nel villaggio o sono di funzionari che lavorano per il Governo o sono degli immigrati.
Non è perché io sono stato a lungo in Italia, devo consigliare gli altri a partire ed anche se non fossi stato in Italia io non ragionerei in questo modo.
Ti ho raccontato del mio amico che è ritornato dalla Tunisia con la gamba ferita e con il quale non sono ancora riuscito a parlare per sapere di come è stata la sua esperienza, però ti posso dire che in Tunisia ci sono più o meno delle “carceri”, costituite da muraglioni dove i tunisini rinchiudono i nostri amici e poi li obbligano a telefonare alle proprie famiglie per farsi inviare dei soldi.
Di fatto li sequestrano e questo lo hanno fatto con tante persone che conosco.
Giorni fa, mentre facevamo la preghiera, è venuta alla moschea una signora per chiedere aiuto perché ha venduto tutto quello che aveva e ha detto che suo figlio ha fatto molti tentativi per andare in Italia e varie volte i tunisini lo prendevano e lo rimandavano indietro. Ha detto che quelli che vengono respinti li riportano fino al deserto del Sahara, li picchiano fino a ferirli e poi li lasciano nella sabbia, a volte senza acqua e loro sono costretti a camminare per giorni per arrivare all’insediamento più vicino.
Molte volte vengono salvati dai passanti e qualcuno ha raccontato di aver visto per strada anche dei cadaveri.
Qui a Niaogho, tra gli esuli a causa dei terroristi c’è un signore con il quale sono diventato amico e mi ha detto che prima che arrivassero i terroristi non sarebbero mai andati via dai loro villaggi, come adesso fanno i ragazzi di Niaogho.
Finalmente poco fa sono riuscito a parlare con quel ragazzo ferito al ginocchio e adesso sta un po’ meglio, utilizza le stampelle per camminare ed è venuto alla moschea insieme a noi.
Riguardo a Dauda ed un altro ragazzo, abbiamo avuto la notizia che sono in un ospedale dell’isola di Malta, mentre del terzo ragazzo non sappiamo ancora nulla.
Quello che è in ospedale con Dauda ha un fratello che vive a Brindisi e questo, quando ha saputo che suo fratello era introvabile, ha fatto divulgare una sua fotografia e da questa è stato possibile rintracciarlo.
Hanno così rintracciato anche Dauda e lo hanno visto in ospedale tutto bendato ed in cattive condizioni, però nonostante queste ultime notizie ci sono ancora alcuni che vorrebbero partire, è veramente difficile la situazione da noi!
Adesso che molti uomini se ne sono andati, sono rimaste solamente le donne con i loro bambini a dover fare la raccolta dei prodotti dei loro campi e accade che molte di loro, al termine della nostra giornata di lavoro, vengano a chiederci se possiamo andare a dare loro una mano quando sarà il momento di raccogliere le arachidi.
Sono sicuro che quest’anno una parte dei prodotti non verranno raccolti e rimarranno nella terra, perché quelli che li hanno seminati se ne sono andati via e non ce nessuno che possa raccoglierli al loro posto.
Sia mia moglie che io stiamo facendo di tutto per aiutare una signora che vive vicino al nostro terreno, ma non è semplice per noi. Lei ha cinque bambini ancora piccoli ed anche suo marito se ne è andato è lei rimasta a accudire le pecore. Come famiglia condividiamo con lei il nostro cibo e ho aggregato le sue quattro pecore al nostro gregge e le sto portando al pascolo. Faccio questo per solidarietà e sia mia moglie che io cerchiamo di aiutare anche altre donne rimaste sole.
Adesso sono preoccupato perché siamo anche al termine della stagione delle piogge e quando non pioverà più la terra si seccherà e se le colture non verranno raccolte marciranno nei terreni.
Noi abbiamo già iniziato a raccogliere il mais un po’ alla volta, perché matura prima e ci aiutiamo tra di noi, quando però matureranno contemporaneamente il miglio, le arachidi ed altri prodotti, allora sarà difficile anche per noi riuscire a raccoglierli.
Penso a tutte le difficoltà che avranno queste donne, perché se i loro mariti dovranno rimanere altro tempo in Italia, in attesa del permesso di soggiorno e senza poter lavorare, per poter inviare qualcosa alle proprie famiglie, sarà veramente difficile per loro tirare avanti.
Penso anche a quando si ammalerà qualche bambino perché qui le medicine si pagano e se non ci sono i soldi per acquistarle, sarà veramente un problema grave.
In questi periodi sono parecchi i bambini che si ammalano e senza i loro padri che portavano i soldi per pagarle, come faranno adesso le loro mamme?
Tra di noi, rimasti, abbiamo discusso di tutti questi problemi, ma non sappiamo trovare una soluzione, perché, noi africani molte volte pensiamo solo all’immediato e quando ci viene una cosa in testa agiamo d’impeto, senza pensare alle conseguenze e pensiamo che ci possa andare bene tutto, invece molte volte ci pentiamo dopo averla fatta.
Gavino (domanda) – Moussa, vorrei farti ancora un’altra domanda, ma non so se mi potrai dare una risposta e se tu ne sai qualcosa.
Ho sentito dire, in un filmato, che anche i Francesi sono implicati e d’accordo con i terroristi per scacciare le popolazioni dai loro territori, tu hai sentito qualcosa a riguardo?
Moussa ( risposta) – Riguardo il terrorismo, come ti ho già detto, anche pochi giorni fa sono arrivate trentacinque persone, costrette ad abbandonare il proprio villaggio a causa dei terroristi. Un tempo in Burkina Faso non c’era il terrorismo e ne sentivamo parlare solamente attraverso i telegiornali. Gli atti terroristici avvenivano nel Sahara, lontano da noi, però adesso si sta avvicinando sempre più.
Le persone che sono arrivate vengono ospitate vicino a casa nostra e tutto il villaggio li aiuta e la gente della chiesa ha portato loro il miglio e il mais ed anche noi, vicini, condividiamo con loro quello che possiamo donare.
Quel ragazzo con il quale ho fatto amicizia, mi ha detto che quando i terroristi arrivavano nei loro villaggi, in un primo momento costringevano quelli che non erano Mussulmani a cambiare religione e a diventare Mussulmani, successivamente arrivavano e senza più parlare incominciavano ad uccidere le persone, compresi i bambini.
Riguardo i sospetti della complicità dei Francesi, credo che sia vero perché mi ricordo che nel mese di febbraio o marzo di questo anno è transitata nel territorio di Niaogho una colonna militare francese, lunga quattro o cinque chilometri, proveniente dal Togo e diretta verso il Niger. Noi, in quella occasione siamo scesi tutti in strada per cercare di impedire questo transito, perché erano tutti mezzi da guerra e qui non c’era la guerra ed allora cosa venivano a fare?
Quando questa colonna è arrivata in Mali è stata bloccata anche lì.
Per quanto riguarda i terroristi, alcuni di loro hanno dichiarato, attraverso i social, che loro erano militari e venivano trattati bene perché i Francesi li finanziavano e li fornivano le armi.
Quando il nostro Presidente ha iniziato a reclutare dei nuovi volontari per difendere il Burkina Faso, i terroristi hanno detto ai volontari di non arruolarsi e hanno intimato che se in qualche villaggio avessero visto gente armata, loro avrebbero ammazzato tutta la popolazione.
Ho sentito dire alla TV che dopo uno scontro tra i terroristi e i militari burkinabè, siano state trovate addosso a dei cadaveri delle carte di identità francesi.
Adesso anche i canali TV e i programmi francesi sono stati oscurati dalla nostra televisione e i tecnici francesi sono stati allontanati.
Nel pomeriggio ho incontrato un anziano rifugiato che mi ha informato che anche sua figlia ed il suocero di lei, stanno arrivando a Niaogho.
Mi ha detto che loro hanno tentato di resistere, però è stato impossibile restare perché i terroristi ammazzano tutti: uomini, donne, bambini e animali.
E’ veramente brutta questa situazione!
Sto cercando la possibilità di coltivare insieme a loro alcuni dei nostri terreni, perchè ho la sensazione che quest’anno ci sarà la fame a Niaogho…
Gavino Cocco