Il 27 gennaio si celebra la “giornata della memoria”, per ricordare la violenta persecuzione e l’eliminazione programmata di ebrei, rom, sinti, omosessuali, disabili, dissidenti politici e disertori da parte dell’apparato militare e poliziesco nazista nella Germania hitleriana. In questa stessa data, nel 1945, venne infatti liberato il campo di sterminio di Auschwitz.
La giornata della memoria è stata istituita dallo Stato italiano per ricordare le vittime di quello sterminio, affinché le persone tutte possano prenderne coscienza e lavorare insieme affinché non si ripeta.
Purtroppo, dal 1945 ad oggi, sono accaduti numerosi altri esempi di persecuzione etnica, religiosa e politica, che sono sconfinati nell’apartheid e nel tentativo di genocidio o di deportazione forzata, che meriterebbero una memoria che, invece, spesso non viene trasmessa, o viene volutamente oscurata.
La memoria è una cosa importante, ma deve avere un’equivalenza globale. Per questo, nel ricordare l’olocausto degli ebrei nei campi di concentramento della Germania nazista, dovremo al contempo ricordare la Nakba del 1948, ovvero la deportazione forzata dei palestinesi, il regime di apartheid in cui da decenni sono costretti a vivere nei territori occupati dall’attuale Stato ebraico ed il vero e proprio tentativo di genocidio nei confronti degli abitanti della Striscia di Gaza, tutt’ora in atto.
La memoria globale non può essere selettiva, deve ricordarsi di Hiroshima e Nagasaki, dei defolianti in Vietnam, della Cambogia di Pol Pot, degli stermini nelle regioni centroafricane nelle guerre per l’oro e i diamanti, dell’etnocidio in Tibet, del continuo massacro del popolo kurdo, fino alle attuali guerre in Ucraina e in Palestina. Nella consapevolezza che là dove i popoli potrebbero trovare equilibri e convivenze, sono per primi gli Stati, coi loro apparati militari e le loro industrie d’armamenti, a fomentare le persecuzioni, le guerre e lo sterminio, allo scopo di espandere le proprie zone d’influenza economico-politica e di tenere i popoli stessi soggiogati e divisi.
La memoria che occorrerebbe ricordare in questa data, è la memoria dei popoli, di tutti i popoli, che sono stati vittime di segregazioni, massacri e violenze d’ogni genere. La memoria serve a dare dignità alle vittime, ad elaborare i lutti, ma anche ad imparare qualcosa per il futuro.
Il governo italiano, naturalmente, non la pensa così e il ministro Piantedosi arriva a vietare per il giorno 27 gennaio le manifestazioni indette per il cessate il fuoco in Palestina. Viene così sancita una memoria a senso unico, evitando di inzaccherare la memoria dell’Olocausto col sangue fresco dei civili palestinesi. Come se fossimo tutti ciechi e non vedessimo cosa si sta consumando fra le macerie della striscia di Gaza: un nuovo genocidio.
Ma non tutti sono stati accecati: la Corte Internazionale di Giustizia ha accolto le istanze presentate dal Sudafrica e annunciato tre misure provvisorie alle quali Israele dovrebbe adeguarsi: la cessazione immediata di uccidere e di causare gravi danni fisici o mentali al popolo palestinese, o costringere gli stessi verso un danno per loro. E’ stato aperto un caso giuridico internazionale di grande importanza. Anche se si può dubitare che ciò basti a fermare l’escalation ormai innescata.
Riguardo al divieto di manifestazioni per il 27 gennaio, è importante che la società civile e la cultura prendano posizione sulla sospensione di un diritto fondamentale, sancito dalla Costituzione e che i cittadini e le cittadine possano esercitare il proprio diritto alla disobbedienza civile.