La crescita demografica è stata sempre l’ossessione delle dittature (di Mussolini e di Hitler in particolare) per la crescita della potenza militare, economica e politica… E ora di nuovo torna alla ribalta tra gli obiettivi delle destre fasciste in Europa sia contro lo “spettro” dell’immigrazione che indebolirebbe il dominio bianco sia per le necessità dell’ossessione della crescita economica. Ed ecco che anche in Francia il regime Macron -ormai dominato dalle destre – ne fa il suo principale scopo. Come scrive Il celebre demografo Hervé Le Bras: “Il riarmo demografico [invocato da Macron] è grottesco” (mediapart.fr). Il bilancio demografico annuale dell’Insee (l’Istat francese) conferma che il calo delle nascite in Francia dal 2011 continua (6,6 % in meno nel 2023). E Macron ha annunciato la sua intenzione di rilanciare la natalità con un piano di riarmo demografico. La “nostra Francia sarà più forte con il rilancio della sua natalità”. Secondo Le Bras, l’espressione “riarmo” è grottesca: non si fanno più figli armati di fucili. Peraltro il legame tra natalità e potenza del paese è assai datato. In Francia in genere si cita Jean Bodin (in Les Six Livres de la République – del XVI secolo – il politologo scrive: “la ricchezza sono gli uomini”). Ci sono tanti studi sulla relazione tra crescita economica e crescita demografica, ma non si è mai potuta dimostrare la minima causalità. La Germania ne fornisce la prova: è il paese che è riuscito economicamente meglio che la Francia, pur avendo una fecondità, per quasi 50 anni, di un mezzo figlio meno della Francia. Su tale tema è più realistico ciò che dicono gli ecologisti: non si è più oggi dell’idea che il numero fa la forza_
Sulla diminuzione continua della fecondità…
Nel 2014, in Francia si avevano due figli per ogni donna. Nel 2022, 1,8. Si è assistito quindi a un calo lento, graduale. Poi di colpo, c’è stato un meno 6,6 %. Il lento calo, su lungo termine, è legato a un cambiamento profondo delle strutture sanitarie per le famiglie. Peraltro si constata una convergenza a livello europeo. Lo scarto tra i paesi dell’UE, infatti, si riduce da tanto tempo: l’indice della fecondità si abbassa nei paesi in cui era forte e si mantiene o aumenta nei paesi dove era debole. La seconda spiegazione poggia sull’evoluzione dei rapporti uomini-donne riguardanti i titoli di studio e i lavori domestici. Negli anni ’80, fu lanciato in Francia lo slogan secondo il quale bisognava conciliare vita famigliare e vita professionale. Consisteva nel cercare di fare in modo che la famiglia non fosse un ostacolo alla carriera delle donne.
Ma questo ha condotto le donne ad avere una doppia giornata di lavoro: una in impresa e una per i carichi domestici, la famiglia e i figli. Tale modello suppone, per funzionare bene, che gli uomini s’interessino di più ai lavori famigliari. Le inchieste dell’Insee mostrano che c’è un po’ di progresso, ma non molto.
Allo stesso tempo, e penso che sia il fattore più importante, negli ultimi quarant’anni, il numero di donne diplomate è nettamente cresciuto a fronte degli uomini. Quindi esse non vedono perché dovrebbero fare un doppio lavoro. E pensano che la loro carriera conti anche.
Prendiamo i tre paesi del Sud Europa, Grecia, Italia e Spagna: hanno degli indici di fecondità molto bassi. Lo si spiega con la difficoltà di conciliare vita famigliare e vita professionale. Una giovane che ha un figlio in Italia non ha quasi alcuna chance di trovare un impiego. Risultato: l’Italia è il paese d’Europa in cui l’età media della maternità è la più alta e quello in cui la fecondità è la più debole.
La possibilità per le donne d’accedere al lavoro in condizioni relativamente uguali a quelle degli uomini è veramente una variabile importante della fecondità. E Macron non ha pronunciato la parola maternità o asilo nido nel suo discorso. È il vero problema – che Macron ignora volutamente, per non riconoscere la necessità di un salario aggiuntivo per l’impegno multiplo delle donne, che garantiscono anche la riproduzione della società.
C’è una terza spiegazione: la vera causa del baby boom è stata il rigetto del figlio unico. Ci sono state ampie campagne fra le due guerre mondiali contro il figlio unico come male. Questa idea a lungo ha impregnato la mentalità francese. Ma questo tabù si è eroso. Gli psicologi hanno mostrato che i figli unici stanno altrettanto bene che gli altri e la proporzione di famiglie con un solo figlio è aumentata in Francia.
Bisogna preoccuparsi per il forte calo delle nascite?
Non ce lo si aspettava. Da anni si constatava un lento calo; ma nel 2023 c’è stata una caduta brusca. È assai misterioso. Ma non è inquietante. A breve termine, è anche piuttosto positivo: ci sarà meno pressione sul numero di alunni in ogni classe, sul numero di allievi per insegnante, a meno che lo Stato non chiuda delle classi. E poi, un figlio costa caro. Quindi le famiglie avranno un po’ più di soldi per i consumi o per il risparmio.
Nel frattempo, però, nei prossimi 20-25 anni, le nuove generazioni ‘vuote’ arriveranno all’età dell’impiego. E gli effetti del calo di fecondità costituiranno un problema per finanziare le pensioni. Ma si ha tempo. Soprattutto quando si fa una riforma delle pensioni ogni 4 o 5 anni!
Penso quindi che sia un errore preoccuparsi. Soprattutto se si ragiona, come sempre, a immigrazione nulla. L’immigrazione corregge, o correggerà questo calo della fecondità.
Questione demografica storicamente tema prediletto dalle destre: perché?
È un’evoluzione curiosa: all’inizio, il natalismo era – in Francia – un tema piuttosto repubblicano. Per esempio, c’era una grande associazione natalista fondata nel 1891, l’Alleanza nazionale per la crescita della popolazione francese. Tra i fondatori, Émile Zola. Natalista (ossia a favore dell’incremento demografico) era anche Jacques Bertillon, che era dreyfusardo (schierato a difesa di Dreyfus, perseguitato perché ebreo). Tale approccio era considerato patriottico, per paura della Germania.
Questo è cambiato negli anni Trenta del secolo scorso, e poi soprattutto sotto Pétain, il capo del governo collaborazionista con il nazismo, con lo slogan «Lavoro, famiglia, patria». La natalità è allora diventata un tema di destra. Da allora è un diffuso modo di dire e di sentire che bisogna fare figli e non accettare immigrati.
Oggi, l’estrema destra lega strettamente la questione della natalità all’immigrazione. Marine Le Pen parla di “sommersione migratoria”, Éric Zemmour di “grande rimpiazzamento”…
È un’assoluta finzione: non c’è alcun grande rimpiazzamento, non esiste. Il principale ostacolo al grande rimpiazzamento è la diversificazione dei sindacati. Il razzismo è l’odio verso la razza mista, è uno dei marcatori più profondi del pensiero di estrema destra. Non appena parliamo un po’ con quelli di Reconquest, ci accorgiamo che rifiutano assolutamente le cifre. Sfidano i modelli, sfidano le statistiche. In Italia e Ungheria, quando l’estrema destra è arrivata al potere, generalmente ha affrontato la questione del calo della fertilità. Proprio così. Orban, ad esempio, ha promosso una grande politica di incentivazione della natalità, con il ritorno delle donne a casa. In generale, però, le misure previste hanno scarsi effetti e vediamo che non funzionano. A questo proposito, la posizione dell’estrema destra francese è superata sull’argomento. In Italia Georgia Meloni è in definitiva più realista: ha capito che l’unica cosa che funziona è fare appello all’immigrazione.
Questo calo della fertilità è una specificità europea?
Per niente. Nel 2021, la Cina ha 1,16 figli per donna. Singapore è a 1 figlio per donna, il Giappone a 1,25; Taiwan a 1,11. In Corea del Sud nel 2023 il numero dei figli per donna è di 0,78. Quindi c’è una convergenza anche nell’Asia orientale con questi tassi di fertilità estremamente bassi. Questo è forse il miglior esempio della mancanza di efficacia delle politiche pronataliste. Nel 2017, quando era ancora in vigore la politica del figlio unico, la Cina aveva 1,8 figli per donna. Da allora questa politica è scomparsa: mentre viene data la possibilità di avere più figli, accade esattamente il contrario e la natalità decresce.