È il 1968 e si narra la vicenda della famiglia Accardo a Palermo: mentre i due genitori stanno nella “casa di campagna” nel cuore del Belìce, cinque dei sei figli vivono in città. “Ognuno di essi ha una sua personale vicissitudine”… sullo sfondo il terribile terremoto che colpi la Valle. Questa la traccia del libro di Licia Tumminello che sarà presentato (ore 16,30) dalla BCRS-Biblioteca Centrale Regione Sicilia (Via Vittorio Emanuele,31) il prossimo 31 gennaio. Assieme all’autrice parteciperanno Ketty Giannilivigni della RedPA di Pressenza (di cui pubblichiamo la recensione che segue) e Gisa Messina che leggerà alcuni brani del romanzo. Farà gli onori di casa Margherita Perez, direttrice della BCRS_
Nel 1946 in Italia le donne ottenevano, dopo un secolo di lotte, il diritto di voto e, pertanto, di partecipare alle elezioni al pari degli uomini. Paola Cortellesi in C’è ancora domani, grande successo cinematografico di questi mesi, ritrae Roma nei giorni che precedettero il memorabile 10 marzo che segnò l’ingresso delle donne nelle urna elettorali e una tappa fondamentale del cammino verso la democrazia e la conquista dei diritti per tutte e tutti.
Ma quasi un ventennio dopo nel 1968, soprattutto nel Mezzogiorno, le donne dei più diversi contesti sociali erano palesemente sottomesse agli uomini (padri, fratelli, mariti). Licia Tumminello in Undici giorni, una storia siciliana – romanzo ambientato tra Palermo e Salaparuta a pochi giorni dal terremoto del gennaio del ‘68 nel Belìce – racconta la storia di una famiglia originaria del trapanese, approdata nel capoluogo dell’Isola dove raggiunge una discreta posizione sociale grazie alla commercializzazione del tonno. Si tratta del clan degli Accardo in cui le donne, più numerose degli uomini e diverse d’età e personalità, costellano il racconto di episodi significativi per comprendere la condizione femminile nei giorni della contestazione studentesca in Italia che vide le giovani prendere parte attiva alla lotta anche per la propria emancipazione.
Nonostante l’arretratezza della Sicilia, la rivolta giunse a lambire le coste della città tutto porto, dove, nell’invenzione di Tumminello, Caterina – la figlia minore di Maria e Guglielmo, gli anziani genitori Accardo – è combattuta tra l’aspirazione a farsi strada grazie ai successi incassati alla facoltà di giurisprudenza con l’ambizione di diventare magistrata e il desiderio di prendere parte alla ribellione delle/dei giovani che allora come oggi si impegnano a realizzare un mondo più giusto e bello. La sollecita in questo senso l’amico del cuore Tommaso che le racconta di come abbia preso piede in Italia una mobilitazione generale degli studenti e in particolare a Torino dove “i colleghi della facoltà di architettura” avevano “trascorso le vacanze di Natale nell’università occupata”: «Hanno resistito un mese, poi la polizia è intervenuta. Saranno sospesi e perderanno l’anno. Molti rischiano il processo. Loro stanno combattendo per noi, per tutti!»
Caterina, d’altra parte, è una ragazza libera perché, caso più unico che raro nella Sicilia degli anni sessanta, il padre incoraggia figlie e figli a rincorrere i propri desideri. Ed infatti lo scontro della giovane Accardo avviene con il fratello maggiore Gaetano, il personaggio più arretrato, presuntuoso, la quintessenza del patriarcato e, a dire il vero, il più antipatico del romanzo, convinto com’è di tenere le redini del parentado – genitori inclusi –, uomo che si è fatto da sé nel conquistare la solida posizione sociale di cui si vanta: vicedirettore di un’agenzia del Banco di Sicilia. Nondimeno già la figlia adolescente Francesca gli sfugge di mano, per puro caso l’ha vista sfilare alla manifestazione contro la guerra in Vietnam: «Improvvisamente s’irrigidisce, strabuzza gli occhi […] Guarda meglio, non crede ai suoi occhi, scatta in piedi, si avvicina alla folla di passanti ferma lungo il marciapiede per veder sfilare il corteo: sua figlia, sua figlia, è lì in mezzo ai facinorosi, tra quegli ignobili scagnozzi urlanti! Sua figlia, appresso a uno striscione con falce e martello, insieme a quelle sceme delle sue compagne!»
La vera vittima sacrificale di Gaetano, però, è la moglie Assunta che non può permettersi di discutere le decisioni e gli ordini impartiti dal marito tanto più se si tratta dei figli. E tuttavia sarà proprio Assunta a intaccare le convinzioni del padre-padrone e lo farà in nome di Francesca e della cognata più sfortunata: «Dentro di lei monta qualcosa che chiede giustizia. La sua coscienza, sino a quel momento sopita dallo sconforto, adesso scalpita. Occorre un’azione per riscattarsi. Per sua figlia deve farlo, innanzitutto, ma anche per se stessa. E per Vittoria. Sì, anche per quella povera ragazza ….» caduta sotto le grinfie del viscido Giovanni Calascibetta – subalterno del fratello Gaetano in banca – che prima l’aveva circuita con la scusa di aiutarla a trovare un impiego e poi le aveva usato violenza senza che lei fosse riuscita a reagire, a ribellarsi. Così Assunta si è presa di coraggio: sfilati il grembiule e le ciabatte della casalinga indossa il cappotto nero con il collo di volpe bianca, calza le scarpe coi tacchi e bagna le orecchie con qualche goccia di profumo. In questa tenuta, fa irruzione in banca dove il marito “stupito dell’improvvisata” e dell’inusuale eleganza della moglie esclama: «Sei bellissima, oggi». Mentre lei per tutta risposta esordisce: «Dovresti parlare con tua figlia, invece di abbuscarla» […] «Se Francesca ha fatto sciopero, un motivo doveva averlo … Potevi chiederlo». Infatti, i veri problemi sono altri – osserva Assunta – «Ad esempio il comportamento di certi uomini». Richiamato a riconsiderare giudizi e azioni dalla moglie-serva, Gaetano prova a riprendere il controllo della situazione ma Assunta ormai senza freni, pur tremando, emette la sentenza: «Il tuo collega, quel Calascibetta … Chiedigli come si è comportato» […] «Chiediglielo, e poi mi dici quali sono i fatti gravi e quali no».
Così Licia Tumminello mette in scena il riscatto di una donna mite e succube del marito che trova la forza di prendere la parola per rendere giustizia alle altre a cui vuol bene, come Delia del film di Paola Cortellesi che si ribella al dominio maschile per amore della figlia. La Storia e le storie, in questo modo, vengono riscritte secondo la prospettiva femminile che riesuma le tante Assunta e Delia che hanno segnato il cammino delle donne perché hanno fatto della relazione con l’altra un punto di forza imprescindibile per contrastare e impedire prevaricazioni e violenze, contribuendo a rigenerare la società, anziché ricercare – come purtroppo abbiamo modo di constatare ogni giorno soprattutto ai livelli più alti della scala sociale – il successo personale che si realizza calpestando le altre e gli altri nelle forme del patriarcato imperante ancora oggi.